"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

martedì 29 agosto 2023

Dell’essere. 100 Umberto Galimberti: «La comunicazione si dischiude quando il silenzio non è semplice "non dire", ma "ascoltare"».

Ha scritto Umberto Galimberti in “L'eco del silenzio” pubblicato sul settimanale “d” del quotidiano “la Repubblica” del 26 di agosto 2023: Presso i papuani, ci informa il geografo francese Émile Baron, il linguaggio è poverissimo.  Ogni tribù ha la propria lingua, il cui lessico si impoverisce di continuo perché, dopo ogni morte, vengono soppressi alcuni vocaboli in segno di lutto. Nel nostro linguaggio, invece, regna un'economia di profusione e di abbondanza, come se di parole ce ne fossero tante, e tante ce ne saranno sempre quante se ne vorrà, senza che mai si profili lo spettro della penuria. Viviamo, infatti, nel rumore del mondo, sottomessi a un regime acustico-visivo, per cui sempre meno esiste un posto silenzioso. Penetrando senza essere richiesto, in modo indiscreto e invadente, senza neppure bisogno del nostro esplicito consenso, il mondo delle parole e delle immagini è diventato lo sfondo da cui ciascuno non può ritagliare un brandello di silenzio per incontrare se stesso. Come se concedersi un minimo di riflessione su di sé fosse diventata un'esperienza così inquietante per cui ciascuno fugge da sé come dal più temibile nemico. Privati come siamo della possibilità di non ascoltare e di non vedere, immersi in quel mero recitare ciò che insieme si ascolta senza interruzione, il nostro udito e la nostra vista finiscono con l'essere organi della soppressione della nostra libertà. E questo perché, ridotti come siamo a puri ripetitori di quel monologo collettivo, dove chi ascolta finisce con ascoltare le cose che egli stesso potrebbe tranquillamente dire, e chi parla dice le stesse cose che potrebbe ascoltare da chiunque, celebriamo quel perfetto conformismo dove il nostro tratto specifico, la nostra individualità, ciò che rende ciascuno diverso dall'altro, non avendo un vocabolario a disposizione che non sia il monologo collettivo in cui non riesce a dirsi, tace in quel silenzio che ciascuno sempre più avverte quando incontra se stesso. Che ne è a questo punto di quei dialoghi interiori che non si articolano in suoni vocali? Che ne è di quelle emozioni che silenziosamente accompagnano lo stupore, di quegli sguardi intensi che, senza parole, dicono l'intensità di un amore, di quei soliloqui interiori dove un io e un tu danno vita a quel dialogo segreto che sempre accompagna chiunque voglia incontrare se stesso? Avvolti come siamo dal rumore del mondo, questi spazi, che solo il silenzio sa concedere, non solo si riducono, ma trasformano la natura stessa del silenzio che diventa qualcosa di sospetto. Mi riferisco a quei silenzi tesi, chiusi, impermeabili alla comunicazione che penetrano come una linea retta per ferire, o per respingere come una linea convessa tutto quello che incontrano, È il silenzio che diffonde intorno a sé un vuoto che caratterizza, soprattutto tra padri e figli, tutte le comunicazioni mancate, oppure è il silenzio insidioso, difficile da descrivere, ma che lo si scopre quando è già penetrato per devastare, far tacere, nascondere, negare la muta richiesta di chi vorrebbe sentire una parola. Come la parola, infatti, anche il silenzio può essere al servizio della comunicazione od opporvisi, perché la comunicazione si dischiude quando il silenzio non è sempliçe "non dire", ma "ascoltare", sapendo però che un ascolto è un vero ascolto se lascia l'altro nella sua irriducibile alterità. Scopriremo allora che quell'altro siamo anche noi stessi, di cui possiamo accorgerci solo quando saremo in grado di far tacere il discorso che quotidianamente facciamo per ribadire quell'identità che ci inchioda a quell'unico senso edificato per esorcizzare il terrore dello smarrimento di sé.

“Il potere dell’ascolto”, testo di Enzo Bianchi pubblicato sul quotidiano “la Repubblica” del 7 di agosto ultimo: (…). …mi sembra che non ci sia consapevolezza del fatto che quando viene meno l’ascolto la modalità delle relazioni diventa veramente patologica e a poco a poco prevale la barbarie. Sempre più ci accade di subire l’ascolto come una pratica fastidiosa, crediamo di dover impegnare ogni minuto del nostro tempo nel dire e nel fare, non certo nell’ascoltare, e quando siamo proprio costretti all’ascolto facciamo sì che questa “incombenza” duri il meno possibile. Eppure dovremmo sapere che per gli umani “in principio era l’ascolto…”, che è l’ascolto ciò che permette di situarci rispetto agli altri. Il rapporto con gli altri si fonda sulla capacità di articolare la parola pronunciata con l’ascolto e solo quest’ultimo rende feconda e significativa la parola ascoltata. Ascoltare è molto più che sentire e per questo è un atto di volontà, richiede una decisione. Quando ci si predispone all’ascolto occorre rientrare in sé, far tacere il brusio interiore e prestare attenzione a colui o colei che si ascolta. Va detto: ascoltare è anche un’operazione faticosa, richiede di essere presenti e svegli di fronte all’altro tentando di comprenderlo fino a sentirsi coinvolti con lui. L’altro non sempre pronuncia parole di reale interesse: per questo chi ascolta deve essere esercitato alla pazienza e impegnato in uno sforzo di interpretazione che sovente è pesante e a caro prezzo. Solo così si ascolta ciò che l’altro vuole comunicare e si conosce l’empatia. Un ascolto fatto perché “si deve”, un ascolto di routine, senza coinvolgimento e senza “eros”, cioè passione per l’altro, fallisce. Solo l’ascolto autentico fa vivere l’altro, solo l’ascolto reciproco crea un legame! Ma accanto all’ascolto dell’altro, altrettanto necessaria e ancora più difficile è l’arte dell’ascolto di sé, delle profondità del cuore, del proprio intimo. Talmente importante che i credenti dicono che quello è ascolto di Dio stesso: un ascolto della coscienza. Ognuno di noi ha nel proprio intimo il maestro interiore che gli indica ciò che è bene e ciò che è male. Ecco allora la necessità dell’ascolto delle intuizioni che provengono dal profondo, parole che emergono dal mistero del proprio “uomo nascosto del cuore”, che ispirano le parole che diciamo e offrono le chiavi per interpretare le parole che ascoltiamo. Ascoltare è dare ascolto! Se nella vita quotidiana lo praticassimo di più non giungeremmo a ipotizzare “stanze per l’ascolto”, di per sé insufficienti a rendere possibile quella grande esperienza umanizzante che è l’ascolto autentico.

1 commento:

  1. "Parlare è un bisogno, ascoltare è un'arte".(Johann Wolfgang Goethe). "Ascoltare è un atto di silenzio".(J.Krishnamurti). "Sempre ti ascolto in silenzioso stupore".(R.Tagore). "La conoscenza parla,ma la saggezza ascolta".(Jimi Hendrix). "Parlare è un mezzo per esprimere se stessi agli altri, ascoltare è un mezzo per accogliere gli altri in se stessi ".(WenTzu). "Crediamo di ascoltare,ma molto raramente ascoltiamo con vera comprensione,vera empatia. Eppure, l'ascolto di questo tipo, molto speciale, è una delle forze di cambiamento più potenti che io conosca ".(Carl Rogers). Grazie per questo post preziosissimo che ho apprezzato moltissimo e che farà parte di quei gioielli da conservare gelosamente... Ottimo l'accostamento di quanto espresso meravigliosamente da questi due grandi Pensatori, che tanto amo,su un tema, secondo me, particolarmente significativo e importante. Grazie di cuore ancora e buona continuazione.

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