"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

lunedì 14 agosto 2023

Dell’essere. 98 Tomaso Montanari: «In un Paese cattolico ma assai poco cristiano, Michela Murgia è stata politica, di sinistra, cristiana».


Alla carissima “Memoria” di Michela Murgia offro i pensieri di Enzo Bianchi rinvenuti in “Sconfitti ma non falliti” – così come lo è stata Michela nella Sua brevissima vita travolta spesso dall’agone politico di un Paese disossato, ma non per questo fallita -, pensieri pubblicati sul quotidiano “la Repubblica” di oggi 14 di agosto 2023: (…). Da tutti la sconfitta viene rievocata come un evento doloroso. Massimo Cacciari, in un’intelligente intervista pubblicata sull’Unità il 10 agosto 2023, confessa come per lui e la sua generazione (Giorgio Agamben, Roberto Esposito, Mario Tronti, ecc.) artefice di un discorso politico fortemente elaborato, dopo alcuni lampanti e importanti risultati si sia manifestata la sconfitta. Attenzione, fu una sconfitta, non una resa, e non fu neanche uno smentire se stessi per passare all’avversario. Certamente quella generazione è fallita e lo stesso si può dire anche di altre. E la sconfitta scuote la sicurezza del progetto. Ma per poter essere sconfitta e non resa incondizionata deve essere elaborata, rendendo più acuto il pensiero e più resistenti alla celebrazione del vincitore. La sconfitta deve rinsaldare per poter preparare a un successivo urto altre menti senza mai cedere al pensiero unico che, invece, impedisce sempre di vedersi sconfitti. Perché in tale cedimento vengono meno il rigore, il senso della giustizia, e giorno dopo giorno si cancella il pensiero antico, si acquietano le domande di quelli che chiedevano: perché? (…). Eppure risultare sconfitti non significa avere torto! Diceva Abba Pambo a Giovanni che piangeva perché sconfitto dal demonio: “Se sei nella sconfitta hai intrapreso la vita cristiana!”. Ai tanti che si credono sconfitti in questa Italia di oggi mai dire: “Siete fuori”, e sotto la cenere la brace riprenderà ancora.

“Michela Murgia ha vinto: era lei la vera opposizione”, testo di Tomaso Montanari pubblicato su “il Fatto Quotidiano” di oggi, lunedì 14 di agosto: Michela Murgia è stata la risposta a chi dice che letteratura e politica devono essere separate, che la cultura non ha nulla a che fare con l'impegno, che l'università è la fabbrica dei pezzi di ricambio per il mondo com'è. La sua scrittura era indivisibile dal suo discorso pubblico, la sua invenzione letteraria dalla sua vita. E a chi oggi insinua che della sua opera rimarrà poco o nulla, aveva già risposto con un'idea di canone e di funzione della letteratura che non è quella imbalsamata dei manuali, ma invece coincide con un principio di liberazione. È questo l'unico modo di intendere scrittura e letteratura? Certo che no: ma è un modo di cui oggi abbiamo terribilmente bisogno. E non dimentichiamo che "la posizione secondo cui l'arte non dovrebbe aver niente a che fare con la politica, è già una posizione politica" (George Orwell). "Per me - ha detto Michela Murgia in una intervista a Concita De Gregorio - scrivere e fare politica sono la stessa cosa. Cominciare a raccontare è stato un gesto violento di reazione. Come fa il topo quando è nell'angolo, ha mai ucciso un topo? Nelle case di paese quando c'è un topo in casa le donne sanno che bisogna stancarlo. Allora cominciano a battere per terra con la scopa, e lui scappa, e loro battono, e lui scappa, e loro battono ancora finché non si stanca. Quando si stanca rallenta, e finisce in un angolo. Proprio un momento prima di essere colpito il topo, vinto, fa una cosa in apparenza insensata, l'unica che può fare: attacca. Non importa se tu sei cento volte più grande di lui e stai per ucciderlo: lui ti si avventa contro, attacca. Io ero quel topo. La mia storia è quella della mia generazione. Ho lavorato in una centrale termoelettrica e ho fatto il portiere di notte, ho insegnato a scuola e ho venduto aspirapolveri al telefono in un call center. Ti dicono che è flessibilità, diventi un saltimbanco del precariato. Scadeva un contratto e loro battevano, compromessi, battevano, umiliazioni e ricatti, battevano e battevano. Allora ho fatto l'unica cosa che potevo ancora fare. La scrittura come ribellione, un gesto politico. Se non puoi fare più niente almeno dillo. Poi sono stata fortunata, certo. Ho trovato chi ha letto, ho potuto scrivere ancora". Sono parole precise, tornite: con un'estrema aderenza alle cose. In un Paese senza politica, in un Paese senza sinistra, in un Paese cattolico ma assai poco cristiano, Michela Murgia è stata politica, di sinistra, cristiana: e lo è stata attraverso le sue parole. Diceva la verità: e dunque il potere la odiava. La diceva sulla sinistra che non c'è ("Il Pd ha smesso di scrivere la sua storia da tempo. Ricordo quando Bersani disse agli industriali veneti: la Lega vi ha promesso il federalismo fiscale ma non ve lo ha dato, lo faremo noi. Ricordo quando Rutelli, per reagire alla campagna sulla sicurezza imbastita da Alemanno, fece i manifesti che dicevano “Né quartieri alti né quartieri bassi solo quartieri sicuri"), la diceva sulla destra che c'è ("il governo Meloni è un governo fascista"), lo diceva sull'uso politico del cristianesimo (perché, sono parole di Rosy Bindi in dialogo con Michela, "l'uso improprio della religione come strumento di potere è il più grande tradimento del Vangelo"). Michela Murgia ha preso su di sé un grande peso: lasupplenza di una opposizione di cultura e di idee che semplicemente non c'era. Il prezzo è stato altissimo: è stata massacrata, denigrata, pubblicamente vilipesa come poche altre persone ("È l'unico Paese che si definisce democratico dove gli intellettuali sono perseguitati dal potere", diceva lucidamente). Ma alla fine ha vinto lei: perché, come ha spiegato Hannah Arendt, "la verità, anche se priva di potere, e sempre sconfitta nel caso di uno scontro frontale con l'autorità costituita, possiede una forza intrinseca: qualsiasi cosa possano escogitare coloro che sono al potere, essi sono incapaci di scoprire o inventare un suo valido sostituto. Persuasione e violenza possono distruggere la verità, ma non possono rimpiazzarla". Michela ha vinto perché ha conservato fino in fondo la sua leggerezza, la sua tenerezza. Se chiudo gli occhi la vedo che sorride: come in questa fotografia, scattata nel marzo scorso, nella mia Università per Stranieri di Siena. Sorride, insieme al gruppo delle e dei nostri docenti di lingua e cultura coreane (una cultura che tanto amava). Dietro di lei, in un dettaglio del grande murale dedicato ai Fratelli Rosselli, si legge "Non mollare": il motto per eccellenza dell'antifascismo, il motto dell'intera vita di Michela, fino all'ultimo. Ci aveva fatti incontrare la sua passione per il meticciato, l'incontro, il multiculturalismo: perché, ha scritto, "il confine non ci circonda, ma ci attraversa, e quel che avvertiamo come contraddizione è in realtà uno spazio fecondo di cui non abbiamo ancora compreso il potenziale vitale". Per questo le bandiere dell'Università per Stranieri di Siena, sabato, erano a lutto per lei. Per questo continueremo a sentirla tra noi.

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