Alla carissima “Memoria” di Michela Murgia offro i
pensieri di Enzo Bianchi rinvenuti in “Sconfitti
ma non falliti” – così come lo è stata Michela nella Sua brevissima vita travolta
spesso dall’agone politico di un Paese disossato, ma non per questo fallita -,
pensieri pubblicati sul quotidiano “la Repubblica” di oggi 14 di agosto 2023: (…). Da
tutti la sconfitta viene rievocata come un evento doloroso. Massimo Cacciari,
in un’intelligente intervista pubblicata sull’Unità il 10 agosto 2023, confessa
come per lui e la sua generazione (Giorgio Agamben, Roberto Esposito, Mario
Tronti, ecc.) artefice di un discorso politico fortemente elaborato, dopo
alcuni lampanti e importanti risultati si sia manifestata la sconfitta.
Attenzione, fu una sconfitta, non una resa, e non fu neanche uno smentire se
stessi per passare all’avversario. Certamente quella generazione è fallita e lo
stesso si può dire anche di altre. E la sconfitta scuote la sicurezza del
progetto. Ma per poter essere sconfitta e non resa incondizionata deve essere
elaborata, rendendo più acuto il pensiero e più resistenti alla celebrazione
del vincitore. La sconfitta deve rinsaldare per poter preparare a un successivo
urto altre menti senza mai cedere al pensiero unico che, invece, impedisce
sempre di vedersi sconfitti. Perché in tale cedimento vengono meno il rigore,
il senso della giustizia, e giorno dopo giorno si cancella il pensiero antico,
si acquietano le domande di quelli che chiedevano: perché? (…). Eppure
risultare sconfitti non significa avere torto! Diceva Abba Pambo a Giovanni che
piangeva perché sconfitto dal demonio: “Se sei nella sconfitta hai intrapreso
la vita cristiana!”. Ai tanti che si credono sconfitti in questa Italia di oggi
mai dire: “Siete fuori”, e sotto la cenere la brace riprenderà ancora.
“Michela
Murgia ha vinto: era lei la vera opposizione”, testo di Tomaso Montanari
pubblicato su “il Fatto Quotidiano” di oggi, lunedì 14 di agosto: Michela
Murgia è stata la risposta a chi dice che letteratura e politica devono essere
separate, che la cultura non ha nulla a che fare con l'impegno, che
l'università è la fabbrica dei pezzi di ricambio per il mondo com'è. La sua
scrittura era indivisibile dal suo discorso pubblico, la sua invenzione
letteraria dalla sua vita. E a chi oggi insinua che della sua opera rimarrà
poco o nulla, aveva già risposto con un'idea di canone e di funzione della
letteratura che non è quella imbalsamata dei manuali, ma invece coincide con un
principio di liberazione. È questo l'unico modo di intendere scrittura e
letteratura? Certo che no: ma è un modo di cui oggi abbiamo terribilmente
bisogno. E non dimentichiamo che "la posizione secondo cui l'arte non
dovrebbe aver niente a che fare con la politica, è già una posizione
politica" (George Orwell). "Per me - ha detto Michela Murgia in una
intervista a Concita De Gregorio - scrivere e fare politica sono la stessa
cosa. Cominciare a raccontare è stato un gesto violento di reazione. Come fa il
topo quando è nell'angolo, ha mai ucciso un topo? Nelle case di paese quando
c'è un topo in casa le donne sanno che bisogna stancarlo. Allora cominciano a
battere per terra con la scopa, e lui scappa, e loro battono, e lui scappa, e loro
battono ancora finché non si stanca. Quando si stanca rallenta, e finisce in un
angolo. Proprio un momento prima di essere colpito il topo, vinto, fa una cosa
in apparenza insensata, l'unica che può fare: attacca. Non importa se tu sei
cento volte più grande di lui e stai per ucciderlo: lui ti si avventa contro,
attacca. Io ero quel topo. La mia storia è quella della mia generazione. Ho
lavorato in una centrale termoelettrica e ho fatto il portiere di notte, ho
insegnato a scuola e ho venduto aspirapolveri al telefono in un call center. Ti
dicono che è flessibilità, diventi un saltimbanco del precariato. Scadeva un
contratto e loro battevano, compromessi, battevano, umiliazioni e ricatti,
battevano e battevano. Allora ho fatto l'unica cosa che potevo ancora fare. La
scrittura come ribellione, un gesto politico. Se non puoi fare più niente
almeno dillo. Poi sono stata fortunata, certo. Ho trovato chi ha letto, ho
potuto scrivere ancora". Sono parole precise, tornite: con un'estrema
aderenza alle cose. In un Paese senza politica, in un Paese senza sinistra, in un Paese cattolico ma assai poco cristiano, Michela
Murgia è stata politica, di sinistra, cristiana: e lo è stata attraverso le
sue parole. Diceva la verità: e dunque il potere la odiava. La diceva sulla
sinistra che non c'è ("Il Pd ha smesso di scrivere la sua storia da tempo.
Ricordo quando Bersani disse agli industriali veneti: la Lega vi ha promesso il
federalismo fiscale ma non ve lo ha dato, lo faremo noi. Ricordo quando
Rutelli, per reagire alla campagna sulla sicurezza imbastita da Alemanno, fece
i manifesti che dicevano “Né quartieri alti né quartieri bassi solo quartieri
sicuri"), la diceva sulla destra che c'è ("il governo Meloni è un
governo fascista"), lo diceva sull'uso politico del cristianesimo (perché,
sono parole di Rosy Bindi in dialogo con Michela, "l'uso improprio della
religione come strumento di potere è il più grande tradimento del Vangelo").
Michela Murgia ha preso su di sé un grande peso: lasupplenza di una opposizione
di cultura e di idee che semplicemente non c'era. Il prezzo è stato altissimo:
è stata massacrata, denigrata, pubblicamente vilipesa come poche altre persone
("È l'unico Paese che si definisce democratico dove gli intellettuali sono
perseguitati dal potere", diceva lucidamente). Ma alla fine ha vinto lei:
perché, come ha spiegato Hannah Arendt, "la verità, anche se priva di potere,
e sempre sconfitta nel caso di uno scontro frontale con l'autorità costituita,
possiede una forza intrinseca: qualsiasi cosa possano escogitare coloro che
sono al potere, essi sono incapaci di scoprire o inventare un suo valido
sostituto. Persuasione e violenza possono distruggere la verità, ma non possono
rimpiazzarla". Michela ha vinto perché ha conservato fino in fondo la sua
leggerezza, la sua tenerezza. Se chiudo gli occhi la vedo che sorride: come in
questa fotografia, scattata nel marzo scorso, nella mia Università per
Stranieri di Siena. Sorride, insieme al gruppo delle e dei nostri docenti di
lingua e cultura coreane (una cultura che tanto amava). Dietro di lei, in un
dettaglio del grande murale dedicato ai Fratelli Rosselli, si legge "Non
mollare": il motto per eccellenza dell'antifascismo, il motto dell'intera
vita di Michela, fino all'ultimo. Ci aveva fatti incontrare la sua passione per
il meticciato, l'incontro, il multiculturalismo: perché, ha scritto, "il
confine non ci circonda, ma ci attraversa, e quel che avvertiamo come
contraddizione è in realtà uno spazio fecondo di cui non abbiamo ancora compreso
il potenziale vitale". Per questo le bandiere dell'Università per
Stranieri di Siena, sabato, erano a lutto per lei. Per questo continueremo a
sentirla tra noi.
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