"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

venerdì 5 maggio 2023

Memoriae. 52 Michele Serra: «C’è un’inevitabile assuefazione alla guerra e alla violenza, come se la coscienza ci facesse il callo».


Ha scritto Michele Serra in “Quando il mondo ci sembra troppo” pubblicato sul quotidiano “la Repubblica” di ieri, giovedì 4 di maggio 2023:

(…). La guerra (…) – se non ci sostenesse la coscienza di quello che è – rischia una specie di normalizzazione grafica, scie luminose, macerie annerite, le evoluzioni dei carri, gli elicotteri sopra i campi. Giorno dopo giorno, minuto per minuto, immagine per immagine. Se è vero che ci si abitua a tutto, questa familiarità quotidiana del nostro sguardo con la distruzione certo non aiuta a tenere vivo lo scandalo della morte violenta di migliaia di persone, organizzata da poteri statali e militari (credo sia una definizione oggettiva, “tecnica”, della guerra). Nella società dell’immagine c’è un’inevitabile assuefazione alla guerra e alla violenza, come se la coscienza ci facesse il callo: non si può vivere costantemente nell’orrore, nella ripulsa, a un certo punto si allargano le braccia, si spegne la televisione, si chiude il computer e si va a controllare se la pasta è cotta. Una volta non si sapeva quasi niente e non si contava niente, ora mi viene da dire che sappiamo tutto ma continuiamo a non contare niente. Siamo minuziosamente informati di ogni strage, da quelle organizzate e programmate (le guerre) a quelle, diciamo così, frutto della spontaneità individuale (le stragi nelle scuole, nuova orrenda branca della cronaca nera). Ma il nostro potere di interferire, di contrastare il male, di evitare il sopruso, di quanto è davvero aumentato? Siamo diventati una specie di “mostro” sensoriale, con occhi enormi, mobilissimi, ai quali niente può sfuggire, e mani inerti, incapaci di intervenire, buone solo per scolare la pasta, o per spegnere ogni connessione con il mondo quando il mondo ci sembra troppo, davvero troppo. Di seguito, “L’antifascismo nel 2023 è dire no alla guerra” di “Ipazia”, pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 29 di aprile ultimo: (…). La Costituzione italiana è una Costituzione antifascista. In essa ritroviamo una sintesi mirabile dei valori delle famiglie politiche, dai democristiani ai liberali, ai socialisti e ai comunisti, che si erano unite nel contrasto al fascismo. Una mediazione "alta" tra principi diversi come raramente se ne vedono in Europa dove i compromessi al più basso denominatore comune rischiano di smarrire per strada le riforme di cui l'Ue necessita. Il problema non dovrebbe pertanto essere rappresentato dall'interpretazione di un fatto storico ormai accertato, che dovrebbe essere parte della nostra memoria collettiva. La sfida da cogliere è invece riposta nella definizione dell'eredità che ci è stata lasciata dall'antifascismo e della nostra capacità di farla vivere. L'antifascismo va misurato come affermava Pasolini nel vissuto di una società. Dovremmo chiederci se l'abolizione della violenza non solo fisica ma anche morale quale strumento di potere sia stata debellata. Se nel discorso politico non si alimenti l'odio verso un presunto nemico, peraltro mutevole. Se la libertà di stampa e di pensiero sia pienamente rispettata. Se la tolleranza verso le minoranze e le loro posizioni esista realmente o ci siano costanti tentativi di stigmatizzare il dissenso. Bisognerebbe domandarsi se il discorso razionale prevale sulla demagogia e sull'appello populistico all'istinto e alle emozioni dei popoli. Se il nazionalismo vissuto a livello di patria o di appartenenza al mondo occidentale torni a giustificare posizioni politiche e pregiudizi. Si hanno motivi fondati per credere che purtroppo un esame onesto della situazione politica e culturale prevalente oggi in Europa porrebbe in evidenza che la mentalità fascista, prima descritta e secondo i parametri indicati, resiste e si è accresciuta nei tempi più recenti, raggiungendo livelli sconcertanti dopo lo scoppio del conflitto in Ucraina. È stato da alcuni smentito che Pasolini negli, anni Settanta pregiudizi avesse previsto che un nuovo fascismo avrebbe finto di contrastare il vecchio, eppure l'affermazione è consona a un sistema di pensiero che l'intellettuale aveva delineato con la sua critica al consumismo e alla omologazione. Nei suoi tanti scritti aveva descritto la dittatura che si stava costruendo attraverso l'uniformità dei modelli, l'edonismo materialista, il linguaggio povero e standardizzato dei mass media, la distruzione della cultura. Un regime subdolo che si insinua nelle case senza farsi notare, senza repressione, al contrario incoraggiando i comportamenti ludici delle persone, il piacere consumistico. A prescindere dall'estetismo pasoliniano che ha reso forse eccessive alcune sue analisi, è tuttavia da riconoscere la lucidità con la quale il poeta aveva intuito sviluppi che si sarebbero mostrati decenni dopo la sua morte. Ritornando alle celebrazioni del 25 Aprile appare sorprendente che nessuna forza politica di destra come di sinistra si sia voluta cimentare in un onesto esame di coscienza. Tutti hanno imitato chi è in grado di commuoversi a teatro per l'eroe perseguitato dal conformismo sociale e dal potere per poi ritornare, alla fine della rappresentazione teatrale, cieco e ignaro, ai pregiudizi sociali e politici, alla persecuzione dell'innocente di turno (Assange e Navalny). È un vizio dell'umanità, la scissione della morale. I nazisti ascoltavano Wagner, avevano il senso della bellezza e la cultura, abbracciavano sereni i loro a bambini in famiglia dopo aver trucidato gli ebrei nel campo di concentramento. Il paragone va o naturalmente inteso con le dovute proporzioni. Oggi dopo aver tutti insieme celebrato il Venticinque Aprile, si ritorna a stigmatizzare il dissenso e le posizioni minoritarie, si inneggia alle vittorie militari degli ucraini in campo di battaglia quale avamposto dell'Occidente, si demonizza l'avversario politico alimentando l'odio, si distrugge la libertà di stampa censurando come disinformazione le posizioni diverse dalla narrativa occidentale, si ricorre alla retorica per far presa sulle emozioni delle persone, si rifiuta il discorso razionale e la ricostruzione storica degli accadimenti con la arroganza e la presunzione di chi si considera parte di una civiltà superiore. I molteplici interrogativi che tanti osservatori pongono alla strategia occidentale restano senza risposta. Le élite al potere in Europa si trincerano verso frasi stereotipate, veri e propri slogan, privi di ogni logica. "La guerra non può finire con la sconfitta dell'Ucraina! Resteremo al fianco dell'Ucraina non importa a quale prezzo! La vittoria sul campo non è vicina né possibile! Ci si augura che il buon senso prevalga e si arrivi alla pace. Una commedia surrealista con frasi gettate al vento che farebbero ridere se gli eventi non fossero drammatici. Una politica antifascista dovrebbe rendere conto alla società civile europea spiegando quali siano i veri obiettivi strategici di una guerra che sta portando alla distruzione dell'Ucraina, alla crisi economica e sociale in Europa, al rischio di allargamento del conflitto e di utilizzo del nucleare tattico.

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