Ha scritto Michele Serra in “Quando il mondo ci sembra troppo” pubblicato sul quotidiano “la Repubblica” di ieri, giovedì 4 di maggio 2023:
(…). La guerra (…) – se non ci
sostenesse la coscienza di quello che è – rischia una specie di normalizzazione
grafica, scie luminose, macerie annerite, le evoluzioni dei carri, gli
elicotteri sopra i campi. Giorno dopo giorno, minuto per minuto, immagine per
immagine. Se è vero che ci si abitua a tutto, questa familiarità quotidiana del
nostro sguardo con la distruzione certo non aiuta a tenere vivo lo scandalo
della morte violenta di migliaia di persone, organizzata da poteri statali e
militari (credo sia una definizione oggettiva, “tecnica”, della guerra). Nella
società dell’immagine c’è un’inevitabile assuefazione alla guerra e alla
violenza, come se la coscienza ci facesse il callo: non si può vivere
costantemente nell’orrore, nella ripulsa, a un certo punto si allargano le
braccia, si spegne la televisione, si chiude il computer e si va a controllare
se la pasta è cotta. Una volta non si sapeva quasi niente e non si contava
niente, ora mi viene da dire che sappiamo tutto ma continuiamo a non contare
niente. Siamo minuziosamente informati di ogni strage, da quelle organizzate e
programmate (le guerre) a quelle, diciamo così, frutto della spontaneità
individuale (le stragi nelle scuole, nuova orrenda branca della cronaca nera).
Ma il nostro potere di interferire, di contrastare il male, di evitare il
sopruso, di quanto è davvero aumentato? Siamo diventati una specie di “mostro”
sensoriale, con occhi enormi, mobilissimi, ai quali niente può sfuggire, e mani
inerti, incapaci di intervenire, buone solo per scolare la pasta, o per
spegnere ogni connessione con il mondo quando il mondo ci sembra troppo,
davvero troppo. Di seguito, “L’antifascismo
nel 2023 è dire no alla guerra” di “Ipazia”, pubblicato su “il Fatto
Quotidiano” del 29 di aprile ultimo: (…). La Costituzione italiana è una
Costituzione antifascista. In essa ritroviamo una sintesi mirabile dei valori delle
famiglie politiche, dai democristiani ai liberali, ai socialisti e ai
comunisti, che si erano unite nel contrasto al fascismo. Una mediazione
"alta" tra principi diversi come raramente se ne vedono in Europa
dove i compromessi al più basso denominatore comune rischiano di smarrire per
strada le riforme di cui l'Ue necessita. Il problema non dovrebbe pertanto
essere rappresentato dall'interpretazione di un fatto storico ormai accertato,
che dovrebbe essere parte della nostra memoria collettiva. La sfida da cogliere
è invece riposta nella definizione dell'eredità che ci è stata lasciata
dall'antifascismo e della nostra capacità di farla vivere. L'antifascismo va
misurato come affermava Pasolini nel vissuto di una società. Dovremmo chiederci
se l'abolizione della violenza non solo fisica ma anche morale quale strumento
di potere sia stata debellata. Se nel discorso politico non si alimenti l'odio
verso un presunto nemico, peraltro mutevole. Se la libertà di stampa e di
pensiero sia pienamente rispettata. Se la tolleranza verso le minoranze e le
loro posizioni esista realmente o ci siano costanti tentativi di stigmatizzare
il dissenso. Bisognerebbe domandarsi se il discorso razionale prevale sulla
demagogia e sull'appello populistico all'istinto e alle emozioni dei popoli. Se
il nazionalismo vissuto a livello di patria o di appartenenza al mondo
occidentale torni a giustificare posizioni politiche e pregiudizi. Si hanno
motivi fondati per credere che purtroppo un esame onesto della situazione
politica e culturale prevalente oggi in Europa porrebbe in evidenza che la
mentalità fascista, prima descritta e secondo i parametri indicati, resiste e
si è accresciuta nei tempi più recenti, raggiungendo livelli sconcertanti dopo
lo scoppio del conflitto in Ucraina. È stato da alcuni smentito che Pasolini
negli, anni Settanta pregiudizi avesse previsto che un nuovo fascismo avrebbe
finto di contrastare il vecchio, eppure l'affermazione è consona a un sistema
di pensiero che l'intellettuale aveva delineato con la sua critica al
consumismo e alla omologazione. Nei suoi tanti scritti aveva descritto la
dittatura che si stava costruendo attraverso l'uniformità dei modelli,
l'edonismo materialista, il linguaggio povero e standardizzato dei mass media,
la distruzione della cultura. Un regime subdolo che si insinua nelle case senza
farsi notare, senza repressione, al contrario incoraggiando i comportamenti
ludici delle persone, il piacere consumistico. A prescindere dall'estetismo
pasoliniano che ha reso forse eccessive alcune sue analisi, è tuttavia da
riconoscere la lucidità con la quale il poeta aveva intuito sviluppi che si
sarebbero mostrati decenni dopo la sua morte. Ritornando alle celebrazioni del
25 Aprile appare sorprendente che nessuna forza politica di destra come di sinistra
si sia voluta cimentare in un onesto esame di coscienza. Tutti hanno imitato
chi è in grado di commuoversi a teatro per l'eroe perseguitato dal conformismo
sociale e dal potere per poi ritornare, alla fine della rappresentazione
teatrale, cieco e ignaro, ai pregiudizi sociali e politici, alla persecuzione
dell'innocente di turno (Assange e Navalny). È un vizio dell'umanità, la
scissione della morale. I nazisti ascoltavano Wagner, avevano il senso della
bellezza e la cultura, abbracciavano sereni i loro a bambini in famiglia dopo
aver trucidato gli ebrei nel campo di concentramento. Il paragone va o
naturalmente inteso con le dovute proporzioni. Oggi dopo aver tutti insieme
celebrato il Venticinque Aprile, si ritorna a stigmatizzare il dissenso e le posizioni
minoritarie, si inneggia alle vittorie militari degli ucraini in campo di
battaglia quale avamposto dell'Occidente, si demonizza l'avversario politico
alimentando l'odio, si distrugge la libertà di stampa censurando come
disinformazione le posizioni diverse dalla narrativa occidentale, si ricorre
alla retorica per far presa sulle emozioni delle persone, si rifiuta il
discorso razionale e la ricostruzione storica degli accadimenti con la
arroganza e la presunzione di chi si considera parte di una civiltà superiore. I molteplici interrogativi che tanti osservatori pongono alla strategia
occidentale restano senza risposta. Le élite al potere in Europa si trincerano
verso frasi stereotipate, veri e propri slogan, privi di ogni logica. "La
guerra non può finire con la sconfitta dell'Ucraina! Resteremo al fianco
dell'Ucraina non importa a quale prezzo! La vittoria sul campo non è vicina né
possibile! Ci si augura che il buon senso prevalga e si arrivi alla pace. Una
commedia surrealista con frasi gettate al vento che farebbero ridere se gli
eventi non fossero drammatici. Una politica antifascista dovrebbe rendere conto
alla società civile europea spiegando quali siano i veri obiettivi strategici
di una guerra che sta portando alla distruzione dell'Ucraina, alla crisi
economica e sociale in Europa, al rischio di allargamento del conflitto e di
utilizzo del nucleare tattico.
Nessun commento:
Posta un commento