"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

sabato 13 maggio 2023

Dell’essere. 85 Raniero La Valle: «Contro l'idea di ridurre il mondo a un'unica misura».


Riporto, di seguito, la risposta del professor Umberto Galimberti al lettore M. M. letta sul settimanale “d” del quotidiano “la Repubblica” - in edicola da oggi sabato 13 di maggio 2023 - con il titolo “L’utopia pacifista”: Dire "pace" è facile, realizzarla è molto più difficile, soprattutto quando si ha a che fare con dittatori che invadono altri Paesi come hanno fatto Hitler e Putin. (…). I dittatori conoscono solo la vittoria militare sul campo, e si arrendono solo se sono sconfitti. Nel caso dell'Ucraina si raggiunge la pace solo se Putin depone le armi, se invece a deporle è l'Ucraìna non si raggiunge la pace, ma solo la cancellazione dell'Ucraina dalla carta geografica.

(…). …in questa guerra non c'è in gioco solo l’Ucraina, ma (…) molto di più". A mio parere, di più c'è l'ostilità di Putin nei confronti delle democrazie dell'Occidente e ai valori di libertà che la caratterizzano, per cui, fornendo armi all'Ucraìna, oltre a quel Paese, stiamo difendendo le nostre democrazie, anche a costo di notevoli sacrifici come la rinuncia alle forniture energetiche che provenivano dalla Russia e agli affari che le nostre aziende facevano legittimamente con quel Paese. (…). …le democrazie stanno in piedi se (…) le difendiamo. (…). …senza l'intervento militare degli alleati e la resistenza armata dei partigiani, non ci saremmo liberati dalla dittatura nazifascista. Lo stesso Bertrand Russell, (…) era giunto alle stesse conclusioni (…). Russell, che nella Prima guerra mondiale si era opposto all'intervento dell'Inghilterra, perse la cattedra all'Università di Cambridge, e nel 1918 fece sei mesi di carcere perché aveva protestato contro l'intervento degli Stati Uniti nel conflitto. Alla vigilia della Seconda guerra mondiale Russell era fautore di una politica di pacificazione con Hitler allo scopo di evitare il conflitto. Ma nel 1940, quando si rese conto che era impossibile trattare con il dittatore tedesco, ritenne che fosse necessario combattere il nazifascismo e definì questa sua nuova posizione "pacifismo relativo" ritenendo la guerra, date le circostanze, "il male minore". Analoga posizione assunse nei confronti di Stalin in una conferenza del 1948 dove sostenne la necessità di un attacco nucleare preventivo nei confronti dell'Unione Sovietica per evitare che Stalin riuscisse a ottenere la bomba atomica e fosse tentato di espandere il comunismo in Europa. Nel 1961, a seguito di una manifestazione contro la proliferazione delle armi nucleari, Russell fu condannato una seconda volta a sei mesi di carcere, poi ridotti a una settimana per l'età avanzata. (…). …anche Russell riteneva che contro i dittatori, e per giunta invasori di altri Stati, fosse inevitabile la guerra. A questo punto logica vorrebbe che quanti ritengono che per raggiungere la pace è necessario interrompere la fornitura di armi all'Ucraìna stanno di fatto sostenendo, al di là delle loro intenzioni, il disegno di Putin. E siccome io sono del parere del grande sociologo del Novecento, Max Weber, - il quale sosteneva che l'etica dell'intenzione non è di alcuna utilità e va sostituita dall'etica della responsabilità che, invece delle intenzioni, prende in considerazione gli effetti delle nostre azioni - gli effetti derivanti dalla sospensione della fornitura di armi all'Ucraìna avrebbero come esito la fine dell'esistenza dell'Ucraina aggredita e la vittoria della Russia che ha aggredito. Se questo principio dovesse diventare la regola con cui si definiscono i rapporti degli Stati, potremmo dire tranquillamente addio ai nostri valori democratici. E, (…) dovremmo dire addio anche ai nostri rapporti interpersonali e, in nome della pace, rinunciare a difendersi da chi entra in casa tua e te la distrugge. Non nascondo quale sconcerto la risposta, seppur dotta, mi abbia arrecato. Apprezzo in misura notevole l’insegnamento e l’argomentare del professor Umberto Galimberti sui molteplici aspetti dell’umano “vivere” e riconosco come essi siano stati per me, e lo saranno ancor più, “strumenti” indispensabili per illuminare al meglio quegli angoli oscuri del “vivere” che l’Autore è venuto, nel corso degli anni, a scandagliare, rendendo sempre più chiari quegli aspetti che il Suo dotto scrivere ci ha preziosamente consegnati. Però, nell’occasione, un qualcosa non mi torna chiaro. E penso alle “variabili” mancanti nell’argomentare dell’illustre Autore. È come se parlando di “guerra” o di “invasioni” di terre altrui, siano sfuggiti, nel quadro dianzi prospettato dall’Autore, quelle “variabili” alle quali ho fatto cenno, e si fosse ancor oggi rimasti fermi alle guerre di trincee, di camminamenti, e non si sia invece di fronte alla “variabile” atomica- e dico atomica - nella sua più tragica realtà. “Variabile” atomica che, seppur usata - con un termine tecnico utilizzato dagli esperti - sotto la meno devastante forma di “atomica tattica” risulterebbe essere mille e mille volte o ancor più devastante rispetto alle armi ed agli ordigni utilizzati in altri periodi della storia umana e dei quali l’illustre Autore ha argomentato nella Sua risposta al lettore M. M. E poi, ancora lo sconcerto laddove l’Illustre Autore discetta della “etica della responsabilità” di weberiana memoria. Ma in quale guerra, e in quale epoca dell’umano vivere, quell’“etica della responsabilità” ha fatto il Suo vittorioso ingresso tanto da indirizzare e/o condizionare il prosieguo dell’infame – e dico infame - attività della guerra? Ove e quando quell’“etica della responsabilità” ha potuto generare qualche briciola soltanto di quella umana “morale” nei confronti di tutti i morti innocenti, degli inermi, massacrati in un indistinto di assoluta indifferenza dei più che mi spinge ad affermare che non c’è guerra che non sia una colossale “infamia”. Donde alberga quell’“etica della responsabilità” nel corso di un qualsivoglia evento bellico? Quell’“etica della responsabilità”, propria degli uomini che si siano “umanizzati”, non può fiorire a margine di un indistinto massacro al quale concorrono sia gli uomini in armi, sia gli uomini che di quel “mestiere delle armi” ne facciano arte dell’intrattenimento o ne discettino tanto per filosofarne con far forbito, dimentichi di quegli innocenti senza più la vita. Unico obbligo che si configuri pienamente umano dell’“etica della responsabilità” è fermare il massacro. La guerra è sempre un’INFAMIA. Punto. Di seguito, “È un mondo di Leviatani tutti in lotta tra loro” di Raniero La Valle – Presidente di “Costituente Terra” – pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 5 di marzo 2023: C’è la guerra e nessuno in Occidente ha mai fatto un'autocritica. Noi, che tre anni fa abbiamo dato vita all'iniziativa di "Costituente Terra", amiamo tanto l'unità del mondo e la sua pace da aver compiuto l'azzardo di pensare che la Terra potesse darsi un'unica Costituzione e conformarsi a un unico diritto, quando per contro va riconosciuta la mirabile varietà delle culture e delle storie, fatti salvi i diritti e le garanzie universali umane. È stato questo il peccato dell'Occidente di pensare il mondo a sua misura. E ci troviamo ora con un mondo dilaniato tra Leviatani in lotta tra loro. Oggi, dopo un anno di guerra, a 9 anni dal tranello degli accordi diMinsk (secondo la Merkel), a 5 mesi dal sabotaggio americano del gasdotto russo-europeo del Baltico (secondo il Premio Pulitzer Seymour Hersh), "Costituente Terra" prende e mantiene il lutto per la "fine della pace", come subito la chiamò "Lìmes", anche se le pace dagli albori della civiltà fino a ora non c'è mai stata e ha sempre ceduto il posto alla guerra, mentre la guerra torna ora in gran forma a farsi accreditare in nome della ragione e del diritto, da cui dopo la "Pacem in Terris" di Giovanni XXIII era stata espulsa per sempre. Prendiamo il lutto per una guerra tornata a essere mondiale, ma anche per un'informazione che la mistifica, dopo che l'ultima guerra era finita con decine di milioni di morti, a cominciare dai sovietici, centinaia di migliaia di giapponesi arsi vivi dalle atomiche, e una fanciulla ebrea, Liliana Segre, rimasta in vita per poterci ancora dire che dopo la guerra resta l'amore. Prendiamo il lutto per l'umanità dismessa, l'informazione omologata, e la pietà perduta, fino al punto che al terremoto in Siria non si può dare soccorso per le sanzioni atlantiche ed europee che le sono inflitte. Occorre peraltro ricordare che pur nella varietà dei giudizi è stata unanime la condanna della sciagurata risposta aggressiva di Putin a una minaccia sia pure percepita come mortale e finale; ma inaccettabile è stata altresì l'intenzione, fin dall'inizio dichiarata da Biden, di bandire la Russia dalla comunità delle nazioni, infliggendole una sconfitta senza precedenti e sanzioni genocide, convogliando da tutto il mondo dollari e armi contro di essa, per ridurla a "paria". E ora ci viene annunciata in documenti ufficiali del 12 e del 27 ottobre scorsi di Biden e del capo del Pentagono Lloyd Austin sulle strategie di "sicurezza" e "difesa" degli Stati Uniti, una "sfida culminante" con la Cina per decidere nel prossimo decennio il futuro del mondo; e ciò attraverso una "competizione strategica" con o senza conflitti armati in cui l'America peraltro è sicura di "prevalere", la cui posta in gioco è lo stabilimento di un unico imperio e di una stessa società per tutto il mondo. Ma noi pensiamo che nemmeno la Cina si possa gettare fuori della storia, e che anzi le Nazioni della Terra dovrebbero accorrere al suo capezzale dopo che essa è stata stremata da un'epidemia devastante che si è abbattuta su di lei dopo essere uscita da una povertà che nel 1978 ancora gravava su 770 milioni di contadini, con un tasso di povertà del 97.5 per cento sulla popolazione totale (notizie ufficiali date in un libro di Zhang Yonge, La Cina e lo sforzo propositivo per un XXI secolo dei diritti, fatto distribuire dall'ambasciatore cinese in Italia). La Cina era tuttavia giunta oggi a assicurare cibo e sussistenza a una popolazione di oltre 1,3 miliardi di persone, e non merita che il mondo invece di contribuire a soccorrerla, ne aspetti l'annichilimento allo scopo di non averla più come concorrente. Dunque tutt'altro che una guerra e un impero ci sono da fare, né questa è una guerra dell'Italia; essa non ha più guerre né nemici da vincere. E nemmeno se ne può uscire dicendo "negoziato, negoziato", quando l'Ucraina, che ne ha bisogno più della vita, è l'unico Paese al mondo che ha proibito il negoziato per legge. Non è la nostra guerra, e nemmeno dovrebbe essere la guerra personale di Giorgia Meloni e dei suoi alleati riluttanti. Proprio perché sovrani non si ha licenza di uccidere, non di aggredire grandi e piccini, non di espellere dal mondo la Russia e di sgominare la Cina. Il bene di esistere è per tutti, se Giorgia Meloni fosse russa oggi starebbe sotto il castello di Varsavia a manifestare contro Biden per la sua patria e contro l'idea di ridurre il mondo a un'unica misura. In una guerra come ci sono due nemici, ci sono sempre due verità. Chi è sicuro della sua? Abbiamo giudici che giudicano dei diritti, non abbiamo quaggiù giudici della verità. O vogliamo dire, come Hobbes, come fece Bush per legittimare dopo la guerra fredda il ripristino della guerra nel Golfo: "auctoritas, non veritas facit legem"? E la democrazia? In cosa differirebbe dalle "autocrazie"? Il pensiero d'ordinanza non mi persuade. Io insisto a metterci il naso.

Nessun commento:

Posta un commento