"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

sabato 20 maggio 2023

Lamemoriadeigiornipassati. 37 Enrico Berlinguer: «Tra gli aspetti della "follia" di Francesco c'era la contestazione radicale e intransigente della guerra».

Il 9 di ottobre dell’anno 1983 l’indimenticabile Enrico Berlinguer partecipò alla “Marcia della Pace” allora organizzata dal Partito Comunista Italiano e dalla “gioventù” del Partito. In quella occasione, nel Suo intervento – riportato su “il Fatto Quotidiano” di ieri col titolo “Berlinguer e la Pace di San Francesco” -, così ebbe a dire: Nella vostra terra, qui tra Perugia e Assisi, ha ripreso più volte, a partire dal dopoguerra, il movimento pacifista italiano: e ogni volta, da questi paesi, da queste contrade, esso ha inaugurato una nuova fase di lotta. I grandi raduni del Lunedì di Pasqua all'inizio degli anni Cinquanta; la Marcia da Perugia ad Assisi nel settembre '61; quelle del '78 e dell'81. In quelle manifestazioni, si sono schierate e hanno lottato le forze più varie della società e della cultura italiana: comunisti, socialisti, forze del mondo cattolico e, qui in Umbria, quella corrente dalla ispirazione etica e civile originale, venata da una sua laica, missionaria religiosità che Aldo Capitini ha rappresentato al più alto livello e che è anch'essa patrimonio inestimabile della cultura italiana. (...). Ascoltate ora queste parole pronunciate da questa Rocca Maggiore di Assisi, a conclusione della Marcia del 1961: "Il tempo è maturo per una grande svolta del genere umano. Il passato è passato, basta con le torture, basta con le uccisioni per qualsiasi motivo; basta con il pericolo che enormi forze distruttive siano in mano alla decisione di pochi uomini... da questo orizzonte aperto, infinito e fraterno, sacro da più di sette secoli a ogni essere che nasce alla vita e alla compresenza di tutti, scenda una volontà intrepida e serena di resistere alla guerra, di propositi costruttivi di pace. Sono parole di Aldo Capitini. Ebbene, io credo che in esse ancora oggi si ritrovi un raccordo tra la storia antica dell'Umbria, lo spiritualismo di Francesco Bernardone, il poverello di Assisi, e di Jacopone da Todi - fratelli in pace e in povertà, e in radicale polemica con il loro tempo - e la realtà moderna del movimento operaio e la religiosità laica e riformista di Capitini. (...). Non sarò certo io a dire qui, a voi, il significato storico e attuale del francescanesimo. "Il Signore mi ha rivelato essere suo volere che io fossi un novello pazzo del mondo", racconta la Legenda perusina. E tra gli aspetti della "follia" di Francesco c'era la contestazione radicale e intransigente della guerra, della violenza, oltreché della proprietà e del potere. Di fronte alla gerarchia ecclesiastica, fino al vescovo di Roma, Francesco contestava la "ragionevolezza" della guerra, delle crociate. (...). Era una rottura profetica netta e totale, un rifiuto secco della '" pretesa "ragionevolezza", della accettabilità della cosiddetta "guerra giusta" o "guerra santa"; ed era, al tempo stesso, l'affermazione integrale del primato della pace e della ricerca del dialogo e dell'accordo con tutti gli uomini di buona volontà che è indispensabile perseguire a ogni costo perché la pace sia garantita. Questa lezione di Francesco è stata ripresa nei nostri tempi dal Concilio Vaticano II. In una delle costituzioni del Concilio, la Gaudium et Spes, si dice: "La corsa agli armamenti è una delle piaghe più gravi dell'umanità e danneggia in modo intollerabile i poveri. E c'è molto da temere che, se tale corsa continuerà, produrrà un giorno tutte le stragi delle quali già va preparando i mezzi". (...). Di fronte a questa realtà, dire che si tratta di un movimento strumentale o a senso unico o addirittura che esso sia dovuto all'opera di infiltrazioni straniere è una pura sciocchezza e magari anche indice di cattiva coscienza. Altra cosa è domandarsi in buonafede, come fanno tante persone, se un movimento per la difesa della pace sia veramente necessario e se esso possa davvero servire a qualcosa. È una domanda che sorge oggi in conseguenza di due convinzioni abbastanza diffuse, ma che a noi sembrano profondamente sbagliate e nocive. Secondo la prima si giudica impossibile che scoppi una terza guerra mondiale dato che la potenza distruttiva delle armi che vi sarebbero impiegate è giunta a tali livelli che la guerra equivarrebbe alla distruzione della civiltà umana e di gran parte della popolazione terrestre. Da questa constatazione indubbiamente veritiera sul carattere che avrebbe una guerra nucleare si trae la conclusione sbagliata che a essa non si può giungervi mai perché la saggezza dei responsabili degli Stati alla fin fine prevarrà. Le cose purtroppo, non stanno così. Gli sviluppi politici, militari e tecnologici sono già arrivati a un punto in cui la guerra nucleare può realmente scoppiare. Gli eventi che possono accenderla possono essere diversi e non tutti possono rimanere sotto controllo. (...). Ma alla guerra mondiale si può giungere anche per altre cause. Essa può essere provocata, ad esempio, da un coinvolgimento diretto, crescente e irreversibile, delle due massime potenze in una delle tante guerre o conflitti locali in corso in vari continenti, come quello nel Medio Oriente e in quel paese che è il Libano, dove anche le forze armate italiane sono impegnate. (...). Per salvare la pace, si deve operare con profondità e a lungo, su diversi terreni, per rimuovere le cause che possono portare alla guerra. Quali sono le cause da rimuovere? 1) gli squilibri e le disuguaglianze economiche, specie quelle tra il Nord e il Sud del mondo, lavorando per un nuovo e giusto ordine economico internazionale, contro la fame e la miseria che affliggono tanta parte dell'umanità e per un nuovo tipo di sviluppo nei Paesi industrializzati; 2) l'esistenza di conflitti tra gli Stati, adoperandosi per la loro composizione pacifica attraverso un negoziato che riconosca il diritto di ogni nazione alla sua indipendenza; 3) la rigidità dei blocchi, lavorando per il loro progressivo superamento; 4) la corsa agli armamenti, con l'obiettivo di giungere fino alla messa al bando totale di qualsiasi arma atomica e nucleare; (...). È a ciò che bisogna reagire con una mobilitazione di forze che sia al tempo stesso pluralista e universalista, e perciò unitariamente raccolta at-torno a quell'imperativo comune, universale e pluralista, che dice: prima di tutto la pace. (...). Di seguito, un testo di Lev Tolstoj contro la guerra e le menzogne per giustificarla riportato sulla edizione de’ “il Fatto Quotidiano” – “Patria mia, fai guerra o pace?” – del 18 di maggio ultimo: È come se non fossero mai esistiti Voltaire, Montaigne, Pascal, Swift, Kant, Spinoza e centinaia di altri scrittori che hanno denunciato con fermezza l'insensatezza e l'inutilità della guerra, descrivendone la crudeltà, l'immoralità, la ferocia; e, soprattutto, è come se non fosse mai esistito Cristo e il suo predicare la fratellanza fra uomini, l'amore per questi e per Dio. Uno rammenta tutto questo e, guardandosi attorno, non rimane più inorridito dagli orrori della guerra, ma da qualcosa che li supera tutti: la consapevolezza dell'impotenza della ragione umana... Tutta questa eccitazione innaturale, febbrile, folle, che si è impadronita degli strati sociali più alti della Russia, è unicamente segno della consapevolezza della criminalità della vicenda. Tutti questi discorsi insolenti e menzogneri sulla fedeltà e la devozione al monarca, sulla disponibilità a sacrificare la propria vita (o meglio, quella di qualcun altro); tutte queste promesse di battersi per terre straniere; tutte queste insensate benedizioni reciproche con stendardi vari e brutte icone, tutte queste preghiere; tutte queste scorte di lenzuola e bende, tutti questi drappelli di crocerossine, tutti questi sacrifici della Marina e la Croce Rossa per un governo che - potendo riscuotere dal popolo tutto il denaro di cui ha bisogno e avendo dichiarato guerra - dovrebbe organizzare la flotta e i mezzi necessari per assistere i feriti; tutte queste preghiere slave pompose, insensate e blasfeme, che i giornali riportano come fossero una notizia importante; tutte queste manifestazioni, inni, "urrà"; tutta questa terribile e disperata mendacia giornalistica che, essendo universale, non teme di venire smascherata; tutto questo sbigottimento e smarrimento in cui versa ora la società russa e che a poco a poco si trasmette alle masse, tutto questo è sintomo di consapevolezza dell'atto terribile che si va compiendo. Chiedete a un soldato semplice, a un appuntato, a un sottufficiale che ha abbandonato i suoi genitori anziani, la moglie e i figli, per quale ragione si prepara a uccidere persone a lui sconosciute: all'inizio sarà sorpreso dalla vostra domanda. È un soldato, ha prestato giuramento e deve obbedire agli ordini dei suoi superiori. Se gli si dice che la guerra, cioè l'uccisione di uomini, non rispetta il comandamento "non uccidere", questi dirà: "E quindi che si fa quando viene attaccato lo zar, la fede ortodossa?" (Uno mi ha detto, in risposta alla mia domanda: "E se attaccano quanto abbiamo di sacro? - Cioè? - La bandiera"). Se si cerca di spiegare a un soldato del genere che il comandamento di Dio è più importante non solo della bandiera, ma di qualsiasi altra cosa al mondo, si zittisce o si arrabbia e ti denuncia ai superiori. Se chiedete a un generale perché va in guerra, vi risponderà che è un soldato e che l'esercito è indispensabile per la difesa della patria. Il fatto che l'omicidio non sia conforme allo spirito della legge cristiana non lo turba. Ma più di tutto il generale, come il soldato, invece di rispondere in maniera personale alla domanda "cosa si può fare?", tirerà sempre in ballo lo Stato, la patria. Chiedete ai diplomatici, che con i loro raggiri creano terreno fertile per la guerra, perché lo fanno. Vi diranno che il loro obiettivo è instaurare la pace tra le nazioni, e che tale obiettivo non si persegue con teorie idealistiche e irrealizzabili, ma attraverso la diplomazia e la vocazione alla guerra. Così come i militari rispondono in modo generico anziché personale, allo stesso modo i diplomatici parlano degli interessi della Russia, della malafede delle altre potenze, dell'equilibrio europeo, e non della loro vita e delle loro attività. Se si chiede ai giornalisti perché incitano la gente alla guerra con i loro articoli, essi diranno che le guerre in generale sono necessari e utili, soprattutto quella attuale, e confermeranno questa opinione con vaghe frasi patriottiche. Tutti i promotori della guerra giustificheranno in questa maniera il proprio coinvolgimento. Potranno anche essere d'accordo sul fatto che sarebbe auspicabile stroncare la guerra, ma affermeranno che ormai ciò è impossibile, poiché loro, come russi e come persone che occupano le ben note posizioni di leader, cittadini, medici, volontari della Croce Rossa, sono chiamati ad agire, non a teorizzare. Lo stesso dirà lo zar, che sembrerebbe essere l'artefice dell'intera vicenda. Non vuole nemmeno prendere in considerazione l'idea di fermare il conflitto. Dirà che non può non fare ciò che l'intera nazione gli chiede; sebbene riconosca la guerra come un grande male, e abbia usato e sia pronto a usare tutti i mezzi per fermarla, date le circostanze attuali non poteva non dichiarare guerra e non può non portarla avanti. È necessario per il bene e la grandezza della Russia. Alla domanda sul perché lui, o Ivan, o Pietro, o Nicola, pur riconoscendo il dovere imposto dalla legge cristiana di non uccidere il prossimo, ma amarlo e servirlo, si permettano di partecipare a un conflitto, ossia di commettere violenza, rapina o omicidio, tutte queste persone risponderanno sempre che lo fanno in nome della patria, o della fede, o dell'onore, o della civiltà, o del bene futuro di tutta l'umanità, qualcosa di astratto e vago. Inoltre, tutte queste persone sono sempre così impegnate nei preparativi per la guerra, o negli ordini o nelle considerazioni su di essa, che nel tempo libero possono solo riposare dalle loro fatiche e non hanno tempo per discutere della loro vita; lo ritengono ozioso. 

Nessun commento:

Posta un commento