"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

venerdì 19 maggio 2023

ItalianGothic. 51 «La sfavorita».


Ha il “vezzo” la Giorgia nazionale, e ad ogni pie’ sospinto, di autodefinirsi come segue: “Sono Una Donna, Sono Una Madre, Sono Cristiana”. Passi pure per quell’essere “cristiana”, la qualcosa devierebbe e di molto l’argomento di lettura e di riflessione conseguente; e passi pure per quell’essere “una Madre”, per il quale merito conquistato o meno non si hanno conoscenze e/o dati oggettivi di valutazione. Ma per quell’essere “una Donna” c’è da farsi cadere di schianto le braccia alla luce di ciò che l’innominabile suo “duce”, ispiratore ideale e politico della nostra, ha potuto escogitare nei confronti delle donne tutte del suo tempo. Donde ne viene della limitatezza delle letture sue e delle conoscenze che ne derivino. Le si offre un breve soccorso alla conoscenza sua. Ha scritto Giacomo Papi – alle pagine 76-77-78 - di “Italica” – Rizzoli editore, 2022, pagg. 447, euro 20 – che:

(…). Nel 1901 una donna su due non sapeva scrivere, nel 1921 una su cinque, ma il divario tra i sessi continuava a essere spaventoso. Rispetto al 1901 c'erano 1 milione e 500 mila posti di lavoro in più, tutti per gli uomini: su 19 milioni di occupati censiti nel 1931, Anno IX E.F., le donne erano 5 milioni, 300 mila in meno che all'inizio del secolo. La politica nei confronti delle donne seguì una strategia avvolgente e ambigua. Sul voto femminile, per esempio, Mussolini fu ondivago. Nel 1925 fece approvare una legge che lo concedeva per le amministrative; sfortunatamente, però, dal 1926 le elezioni amministrative furono abolite, insieme a tutte le altre. L'accerchiamento avanzò per regi decreti. Nel 1923 si proibì alle donne la direzione di scuole medie e convitti, nel 1926 l'insegnamento di filosofia, letteratura, storia ed economia alle superiori e nel 1938 «l'assunzione di personale femminile agli impieghi pubblici e privati» fu limitata al ro per cento del totale. La cornice ideologica dei provvedimenti era stata chiarita da Mussolini alla Camera nel discorso dell'Ascensione del 26 maggio 1927: «Bisogna quindi vigilare seriamente sul destino della razza, bisogna curare la razza, a cominciare dalla maternità e dall'infanzia». Il programma era semplice, in fondo: per fare grande l'Italia le donne dovevano fare più figli, produrre italiani. I giornali di regime iniziarono a parlare di «peste demografica» e a lanciare allarmi sul dilagare della "famigliuola" benché nel 1936 la famiglia media fosse composta da 4,3 componenti, poco meno dei 4,5 del 1901. Quello che invece avveniva, e che il fascismo rilevava, era l'abbandono delle campagne: dal 1921 al 1936 si spostarono in città 326 mila donne contro 228 mila uomini. Andavano a servizio o in fabbrica dove si lavorava di più (300 giorni all'anno rispetto ai 185 dei campi) e si guadagnava il 30-40 per cento in meno dei maschi, non la metà come in agricoltura. E in città di domenica ci si poteva anche divertire. Il settimanale illustrato «La Piccola italiana» trabocca di bambine vanitose che finiscono in strada perché sognano il cinema e smaniano per andare in città. La libertà delle donne povere passava dal lavoro, la loro sottomissione dalla maternità. Come Mussolini nel 1934 sul «Popolo d'Italia» in un articolo intitolato Macchina e donna, il lavoro «ove non è diretto impedimento, distrae dalla generazione, fomenta un’indipendenza e conseguenti mode fisiche e morali contrarie al parto». Il lavoro femminile andava limitato al fare figli o alla soddisfazione dei maschi. Nel Codice Rocco del 1930, l’aborto o «il contagio di sifilide o blenorragia» sono collocati nella nuova categoria dei «delitti contro la integrità e la sanità della stirpe» che, in quanto tali, potevano essere considerati politici. Il destino della razza passava, cioè, dal controllo del corpo delle donne. Fu per preservare la razza tutelando la salute dei maschi che il regime inasprì le pene per le "veneri vaganti", spingendole nelle case di tolleranza dove erano periodicamente visitate da medici chiamati "tubisti". Per il regime i bordelli servivano a combattere il «dilagare delle malattie veneree» e a soddisfare «le esigenze fisiologiche dei soldati» e di tutti i maschi in tempo di pace, ma anche a tracciare un confine tra donne buone e cattive, tra madri e puttane. Per entrambe le tipologie, l'addestramento iniziava nell’infanzia e continuava fino alla morte. Nel 1925 fu istituita l’Opera nazionale per la maternità ed infanzia, a cui seguì, l'anno successivo, l'Opera nazionale Balilla dove le bambine entravano come Figlie della lupa a sei anni e ne uscivano Giovani fasciste a ventuno. Tra le «vere madri italiane» glorificate da Mussolini e gli «orinatoi di carne» (l'espressione è attribuita a Giovanni Papini), la modernità insinuava un terzo tipo di donna «minoritario in termini numerici, ma dominanti nel cinema, alla radio e sulle riviste femminili, che era libera, disinibita ed elegante, perfino perversa. La «donna di tipo tre», inventata nel 1929 dallo scrittore Umberto Notari, «nuova creatura di sesso femminile, frutto diretto della macchina». Sfogliando riviste come «La Donna», «Cordelia», «Grazia», «Eva», «Moda», «Fili-Moda», «Lei» ci si rende conto che l'ideale della donna era già molto lontano dalla figura di Rachel Guidi, la moglie del Duce, e più vicino a quello di Margherita Sarfatti, l'amante intellettuale ebrea. Perfino sul «Popolo d'Italia» c'erano le "Pagine delle signore" e i modelli dell'ultima ora. Nel 1931 furono prodotte 34.272 tonnellate (erano 1.480 nel 1921) di tessuti artificiali ricavati dalla cellulosa, come il rayon, o viscosa, «il più moderno dei tessuti italiani il più italiano dei tessuti moderni», che serviva a confezionare abiti per signora e divise in orbace sintetico. (…).

“Capitolo terzo”. Dal “Longform” «La sfavorita» pubblicato sul quotidiano “la Repubblica” del 14 di maggio 2023:

“Una casa e 100 milioni di lire a 32 anni”

Nell'epica delle tre donne che affrontano da sole ogni avversità, Anna Paratore è lo scoglio nella tempesta. Una donna forte che, come lei stessa racconta, regala un futuro alle due figlie lavorando come "ragioniera", "promoter nei supermercati", artigiana di ghirlande e altri oggetti da vendere nei mercatini di Natale. Si ingegna scrivendo "almeno 137 romanzi rosa" con il nom de plume di Josie Bell e Amanda King. "Avevo due ragazzine da mandare a scuola e da crescere. Eravamo sole. Ricordo le docce gelate perché non c'erano soldi per cambiare la vecchia caldaia, i mesi al buio tappate in casa, perché non potevamo aprire le persiane pericolanti", narra la madre di Giorgia Meloni. Una versione che combacia perfettamente con i ricordi della premier: "Mia madre lavorava sempre, inventandosi mestieri ogni volta diversi, tanto che a un certo punto si mise a fare la scrittrice ed è finito che ha scritto circa centoquaranta romanzi rosa. La sua straordinaria intelligenza l'ha resa eclettica. Però è sempre stata un po' sfortunata, e di soldi non ce n'erano mai abbastanza". A lei, scrive Giorgia Meloni, "devo tutto". Conviene allora tornare al civico 237 dell'elegante palazzo della Camilluccia. Nel dicembre 1979, "Anna Paratore - si legge nell'atto notarile - impiegata", acquista l'appartamento dalla società edile romana che lo ha costruito. A 26 anni ha le capacità finanziarie per versare 17 milioni di vecchie lire e stipulare un mutuo di 30 milioni di lire. Spende dunque per l'acquisto dell'appartamento 47 milioni di lire. Tuttavia, chi conosce bene Francesco Meloni ritiene che, fino a quando la fortuna lo ha accompagnato, l'uomo non si è completamente disinteressato delle due famiglie che ha costruito in Italia, aiutandole finanziariamente finché questo è stato possibile. Le stesse fonti sostengono persino che, prima di partire per la Spagna, sia stato lui a comprare l'appartamento a Roma Nord. "Certo, quella casa l'ha comprata mio padre", dice Barbara. Secondo la famiglia di Francesco Meloni, lui l'avrebbe intestata ad Arianna e Giorgia, all'epoca minorenne, e avrebbe concordato con Paratore una sorta di usufrutto. "Voleva tutelare le figlie più che la madre", spiega Gemma Meloni, la sorella di Francesco. I documenti notarili non fanno però alcun riferimento a Francesco. Ma rivelano che il trasferimento dalla Camilluccia alla Garbatella - un altro passaggio apprezzabile di quella che Turco definisce "un'attenta costruzione del personaggio [ndr, di Giorgia Meloni], una costruzione a volte anche piuttosto arbitraria" - ha permesso alla Paratore di guadagnare una somma considerevole. Nel 1983, nonostante l'incendio della casa descritto in "Io sono Giorgia", la donna vende infatti l'appartamento per 160 milioni di lire, a un prezzo quattro volte superiore rispetto a quello per cui lo ha acquistato solo quattro anni prima. Subito dopo, la mamma di Giorgia Meloni investe circa 60 milioni di lire per comprare un altro appartamento, nella rossa e popolare Garbatella, a due passi da dove vivevano i suoi genitori. I ricordi di quel tempo annotati in "Io sono Giorgia" riguardano soltanto le difficoltà economiche, le avversità e anche gli spazi angusti nella casa dei nonni. Giorgia Meloni ricorda così quel periodo: "Da bambina, insomma, ho passato tante notti in un corridoio con i piedi di mia sorella spalmati sulla faccia. Quando poi siamo cresciute ho avuto, in premio, una brandina in cucina, tutta per me. È stata una bella conquista". Dagli atti notarili emerge altro. La nuova casa dove la famiglia si trasferisce dopo aver venduto l'appartamento di Roma Nord è un cinque vani, cantina inclusa, ai piani bassi di un palazzo che affaccia su un cortile condominiale verde e silenzioso. E oltre a quello che dalle carte appare un dignitoso tetto sulla testa, l'affare permette alla Paratore di avere un ricavato nella differenza tra vendita e acquisto di una nuova casa di circa 100 milioni di lire. Una cifra non irrisoria in quel 1983 quando, secondo la Banca d'Italia, il reddito individuale medio annuo degli italiani è di 11 milioni di lire. (Continua).

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