"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

mercoledì 17 maggio 2023

ItalianGothic. 49 «La sfavorita».


Ha scritto Michele Serra in “Ci vorrebbe Lévi-Strauss” pubblicato sul quotidiano “la Repubblica” del 14 di maggio 2023: Nelle cronache (e nelle satire) sulle manovre di assestamento del nuovo potere, specialmente a proposito della presa della Rai, abbonda e anzi tracima il romanesco. Che è sempre stato, per ovvie ragioni geografiche, la lingua di palazzi e terrazze: a Roma hanno sede governo, sottogoverno, Parlamento, ministeri, la Rai e il gigantesco indotto che pascola nei pressi, mite e famelico. Ma in questo caso la novità è anche etnica – proprio nel senso di Lollobrigida. Meloni e la sua cerchia sono una tribù locale, i cui confini geografici, nei giorni di sereno, sono interamente visibili dal Monte Soratte. Forse solo la Lega delle origini ebbe radici così ben fisse nella cultura e nel folklore di un territorio così ridotto, un paio di valli Prealpine, con la differenza sostanziale che quello meloniano comprende la capitale, quello bossiano poteva (e può) vedere Milano solo con il binocolo. Questa spiccata, stretta lazialità risulta piuttosto remota agli italiani di altrove, che sono pur sempre una notevole quantità. Servirebbe un traduttore, come fu per il gotico gutturale dei bossiani. In aggiunta, servirebbe un etnologo, una specie di Lévi-Strauss delle selve ciociare, o delle rovine romane, che affianchi il lettore per aiutarlo a interpretare, per esempio, la rete di amicizie e di legami del favorito per la direzione del Tg1, Gianmarco Chiocci, che in altri tempi avrei definito serenamente un fascistone, oggi apprendo essere un apprezzato punto di riferimento per le moltitudini: da Conte a Meloni. Per uno non di Roma orientarsi è proibitivo, come perdersi a Bisanzio nei secoli della decadenza e chiedere ai passanti “la prego, mi indichi una stazione del metrò”.

“Capitolo primo”. Dal “Longform” «La sfavorita» pubblicato sul quotidiano “la Repubblica” alla stessa data:

(…). "Io sono Giorgia"

"In fondo, credo che un personaggio pubblico non possa mentire. Alla lunga non puoi nascondere chi sei, nel bene e nel male. E non è neanche giusto farlo. Le persone devono credere in te per chi sei davvero, non per chi fingi di essere. E comunque il bluff, prima o poi, viene sempre scoperto. Ne ho visti di politici costruiti a tavolino, con una faccia e un'anima in pubblico che poi si deformano appena si spegne il riflettore. Non sono mai durati". (…). Esattamente due anni fa, l’11 maggio del 2021, quando il consenso elettorale di Fratelli d'Italia oscilla intorno al 15%, Giorgia Meloni decide di raccontarsi con una fortunata autobiografia dal titolo "Io sono Giorgia". Un libro che, con sapienza, intreccia il piano della sua vicenda personale e familiare, con quello della sua formazione politica. In quelle pagine, il privato, anche e soprattutto nei suoi passaggi più dolorosi, si fa improvvisamente pubblico. Apparentemente, cade ogni diaframma. La donna che si candida alla guida del Paese invita a entrare nel suo passato familiare e politico per dimostrare che la sua vita è stata ed è una casa di vetro. E questo perché, come la futura premier avrebbe spiegato in numerose apparizioni televisive (da "Verissimo" a "Mezz'ora in +") e ripetuto a Vittorio Feltri, presentando il volume a Milano, l'operazione le consente di aggredire il pensiero "mainstream" del Paese e i luoghi comuni di cui lo alimenterebbero l'egemonia culturale della sinistra e, genericamente, il giornalismo italiano. "Questo libro - dice in quel maggio 2021 - ha fatto impazzire il mainstream perché loro non avevano il filtro. Loro di fronte a questo libro non possono più filtrare chi sei, non possono distorcere la realtà. Tu salti l'intermediario. E l'intermediario è impazzito". L'operazione avrebbe funzionato: l'autobiografia diventa rapidamente un best seller che in qualche modo apre e accompagna il cammino trionfale di FdI verso la vittoria nelle elezioni politiche di settembre del 2022. Ne diventa il manifesto. Costruisce e definisce, in assenza di contraddittorio, senza "mediazione", la storia e il profilo della leader. È un format - oggi lo sappiamo - che Meloni riproporrà nel costruire la sua narrativa di premier. Una donna coraggiosa al comando, circondata, per lo più, da figuranti. Repubblica ha sottoposto a una verifica alcuni dei passaggi cruciali del racconto dichiaratamente "intimo" con cui Giorgia Meloni ha portato il suo privato nella dimensione pubblica, facendone un elemento identitario. O, se preferite, una "narrazione". Che, come si diceva, si può riassumere così: Giorgia Meloni è un underdog di successo che ha scelto politicamente dove stare e come starci anche in ragione della sua storia. Una ragazza che cresce in una borgata di Roma, la Garbatella, dove è costretta a vivere in una casa dagli spazi angusti e dove si fatica a pagare le bollette e a mettere insieme il pranzo con la cena, privata e tradita dall'amore paterno e ancorata a una figura materna forte e tenace che regala un futuro alle figlie - Giorgia e sua sorella Arianna - grazie a mille sacrifici. Ebbene, il lavoro di verifica, costruito attraverso documenti e decine di testimonianze inedite, svela come nell'autobiografia di Giorgia Meloni siano presenti significative omissioni. Necessarie a eliminare ogni incongruenza o dissonanza rispetto alla narrazione identitaria di cui l'autobiografia doveva essere fondamenta. Omissioni - si è detto - che Repubblica ha sottoposto alla premier durante la sua inchiesta per ottenerne una qualche spiegazione, ma a cui la premier ha ritenuto di non dover in alcun modo rispondere.

Roma Nord

Al 237 di viale Cortina d’Ampezzo, un’elegante strada residenziale nel quadrante della Camilluccia, a Roma Nord, tra raffinati negozi e sedi di ambasciate, c’è una palazzina in mattoncini rossi che ha segnato profondamente la vita di Giorgia Meloni. L'edificio di cinque piani, con ampie terrazze e un prato sempre verde, è circondato da palme, alberi e un manto erboso meticolosamente curato dai giardinieri che lavorano per un condominio abitato da avvocati, artisti, ingegneri e qualche straniero. La casa in cui la premier ha trascorso la sua infanzia è al piano rialzato. È il famoso appartamento della Camilluccia. "A quella casa sono legate due vicende che hanno lasciato un segno sulla mia vita", scrive Giorgia Meloni in "Io sono Giorgia". L'aggressione subita da uno dei suoi due cani a causa dell'intervento delle guardie del corpo di un condomino definito "un pezzo grosso della politica di quei tempi". E l'incendio che lei e la sorella Arianna appiccano involontariamente da bambine all'abitazione, costringendo la madre Anna Paratore a spostare la famiglia altrove. Lontano dai quartieri in cui risiede la buona borghesia delle professioni e dove loro sono nate. "Ci siamo ritrovate, di punto in bianco, per strada, sole, senza più un tetto", scrive la Meloni. "Mia madre ha dovuto ricominciare letteralmente da zero...Un'impresa pazzesca". Un passaggio esistenziale che diventa epifania politica, presagio di un destino. "Qualche volta ci ripenso - scrive la premier a proposito dell'incendio alla Camilluccia - e, scherzando, mi dico che forse è per questo che ho trovato il coraggio, molti anni dopo, di rifondare una casa politica quando la nostra era andata in fumo. In fondo lo avevo già visto fare a 4 anni, perché non potevo riuscirci a 35?". Secondo i documenti ottenuti da Repubblica, l'appartamento - di circa 70 metri quadrati e con giardino privato - viene acquistato poche settimane prima del terzo compleanno di Giorgia Meloni. Anna Paratore, che all'epoca ha 26 anni e due figlie, lo compra per 47 milioni di lire. Una cifra notevole se si considera che, secondo i dati della Banca d'Italia, il reddito medio individuale in quell'anno è di 5.4 milioni. Il contesto familiare di Paratore rende in qualche modo l'impresa ancora più complicata. Suo padre, il nonno di Giorgia, quando arriva a Roma dalla Sicilia riesce a comprare con sacrificio un appartamento di appena 47 metri quadri nel popolare quartiere della Garbatella. Per giunta, la mamma della premier, è la narrazione, non può contare sul sostegno del compagno, poiché Francesco Meloni Incrocci, padre della premier, è già partito per la Spagna abbandonando lei e le sue due piccole figlie. "A Giorgia è costato solo lacrime (...) Mai avuto il sollievo di una carezza o di un bacio, per non dire un piatto di minestra", dirà Paratore del suo ex compagno quando la figlia sarà già primo ministro. È un fatto che la donna riesca ugualmente a comprare una casa appena costruita in una delle zone più prestigiose della Capitale. Un immobile che non molto tempo dopo, nonostante l'incendio che "si è preso tutto l'appartamento", scrive la Meloni, verrà venduto con una notevole plusvalenza. Per altro, non sarà l'unica volta che Paratore si misurerà con il business dell'edilizia. Mostrando un'attitudine e dei trascorsi da imprenditrice che - lo vedremo - vengono chirurgicamente espunti da quel diario di una vita che è "Io sono Giorgia". Ma torniamo al civico 237 di viale Cortina d’Ampezzo. Oggi, in quella palazzina, vivono alcune persone che la abitavano già nei primi anni Ottanta, quando ospitava anche Giorgia Meloni, la madre e la sorella Arianna. In pochi hanno voglia di parlare. Diversi però raccontano a Repubblica di non ricordare alcun grave incendio nel palazzo, né il nome di Anna Paratore. Il portiere, un signore siciliano sulla sessantina, è lo stesso di allora, ma non ha piacere a condividere i suoi ricordi: "La fermo subito. Non mi faccia domande che io non do risposte", dice. Poi, però, quando gli si pone la domanda sul racconto che la Meloni fa della sua vita in quell'appartamento, si lascia andare: "Sono cose che non esistono proprio (...) Secondo me sono pura fantasia". Salvo poi congedarsi in fretta: "Per la professione che faccio, non posso dire niente". (Continua).

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