“StoriedelNatale”. Ha scritto Enzo
Bianchi - fondatore della Comunità Monastica di Bose - in “Il vero significato dei regali” pubblicato sul quotidiano “la
Repubblica” del 27 di dicembre dell’anno 2021: Questi giorni di feste natalizie
e dell'inizio di un nuovo anno sono contraddistinti dallo scambio dei doni. I
bambini attendono i regali sotto l'albero di Natale, gli uomini e le donne li
fanno e li ricevono da parenti e amici, e poi ci sono quelli che fanno doni di
carità a chi è nel bisogno. Si scambiano auguri, parole di affetto,
"cose" pensate e scelte per rallegrare o aiutare i destinatari. La
carità "organizzata" imbandisce tavole alle quali chiamare per un
posto i più poveri, i senza casa. Sembra un trionfo della bontà, e a molti
questa atmosfera di regali appare come una verifica della buona qualità della
nostra vita. Ma io confesso che sovente mi interrogo e resto perplesso: non
dimentico infatti che anche nella stagione della mia infanzia, il Dopoguerra
povero, si scambiavano regali, ma per conservare l'anonimato del donatore e
affinché nessuno se ne assumesse la paternità i doni si attribuivano a Gesù
bambino o Babbo Natale. Sapevamo che non c'era nessuna discesa di Gesù nel
camino della cucina ma, in questo modo, i doni venivano da chi ci amava senza
individualismi né protagonismi. Era un canto alla gratuità, alla non
reciprocità (perché i bambini non sapevano fare doni), era un accogliere i
regali con stupore e meraviglia. Per tutti c'erano doni, ai bisognosi si
portava qualcosa affinché potessero anche loro fare un dono ai figli,
altrimenti non sarebbe stato Natale. Nessun idealismo, perché allora come oggi
chi festeggiava soffriva nello stesso tempo ferite. Oggi viviamo
nell'abbondanza, in una società segnata da un accentuato individualismo con
tratti di narcisismo, tentati di assumere la logica del do ut des, la logica
del mercato: c'è posto per l'arte del donare, per esercitarci a donare
resistendo alla perversione del dono? Il dono è contraddistinto dalla gratuità,
o la simula facendo regnare la legge del tornaconto? Perché ormai abbiamo
imparato a interrogarci e a diffidare anche di questo atto del donare.
Basterebbe pensare agli "aiuti umanitari" con cui abbiamo voluto
nascondere il male operante nella realtà della guerra. Ma oltre alla
perversione del dono è possibile anche la sua banalizzazione: il dono viene
depotenziato e stravolto quando gli si assegna il nome di "carità", e
si dona con un sms una briciola, illudendoci di essere capaci di compassione.
Io chiamo questa emozione "carità presbite", che si indirizza ai
lontani ed è incapace di vedere nella vita quotidiana chi è bisognoso ed è
vicino a noi. Fare doni è un movimento asimmetrico, unilaterale, che nasce da
libertà ed è capax amoris. Sa assumere i rischi, ma così nega l'autosufficienza
e si pone come gesto eversivo, facendo emergere che ognuno deve donare perché
sempre e comunque debitore dell'amore verso l'altro. E non si dimentichi che il
dono all'altro per eccellenza è la propria presenza, la propria vita, il
proprio tempo, la vicinanza nella gratuità. Da questo esercizio del dono può
essere generata la capacità del dono dei doni: il perdono. Di seguito, “La ragazza dark che imparò cos’è la magia”
di Kira Shell pubblicato sul settimanale “Robinson” del quotidiano “la Repubblica
del 17 di dicembre 2022: Ehi ... ehi! Dico a te! Aspetta!». Era la
terza volta che, in quella stessa settimana, Maverick rincorreva Dakota al termine
della lezione. Lei era la compagna di
classe più particolare, enigmatica e inquietante che avesse mai incontrato. Amava
vestire sempre con abiti scuri che esaltavano il suo incarnato scialbo mentre i
lunghi capelli corvini rilucevano come una cascata di cristalli neri; gli occhi
grandi, sempre un po' spenti e malinconici ma velati da una sagacia minacciosa,
suscitavano soggezione in qualsiasi studente incontrasse a scuola eccetto che
in Maverick, l'unico che, nei loro quindici anni di vita, aveva tentato di
esserle amico e non solo il vicino di casa che conosceva sin da quando era
bambina. «Dakota, fermati per favore!». Maverick nutriva da tempo un segreto
interesse per lei; era incuriosito dalla sua aura così spiccatamente tenebrosa,
dalla sua affascinante cupezza capace di intrigare e imbarazzare. A lui non
importava cosa pensassero i suoi compagni di scuola, non gli importava che
tutti avessero paura di lei, che giudicassero in malo modo la sua passione per
l'occulto o il suo essere sempre solitaria e schiva, arguta e silenziosa, tanto
bellissima quanto spaventosa. «Cosa c'è, Mav?», Le buone maniere non erano il
suo forte; d'altronde era abbastanza irascibile e introversa, caratteristiche
che non avevano mai scoraggiato Maverick nei suoi continui approcci amichevoli.
«Vorrei darti il tuo regalo di Natale», la informò con una spavalderia che
stupì la ragazza. «Io non amo il Natale», le rispose lei con la consueta
freddezza che riservava a chiunque. «Sono certo che potrei farti cambiare
idea». «Se fossi in te non ne sarei così sicuro». Dakota non era solita
ricevere regali, non era abituata a quel tipo di gentilezza né tantomeno a
ricambiarla. Aveva ormai perso la speranza di essere accettata dai suoi
coetanei o semplicemente di avere degli amici, eppure sapeva che quel compagno
di scuola dal sorriso furbesco e lo sguardo ribelle, il ragazzo che lei fingeva
di ignorare quando le chiedeva come stava, le proponeva di studiare o di uscire
insieme, era diverso. Speciale. In fondo le avrebbe fatto piacere trascorrere
qualche ora con lui per conoscerlo meglio, ma non avrebbe mai permesso alle
emozioni di scalfirla, sebbene con Maverick non fosse così facile reprimerle.
Tuttavia, accettò di percorrere in sua compagnia la strada che l'avrebbe
condotta a casa finché Maverick estrasse dalla tasca del giubbino il regalo per
lei: una piccola scatola di vetro trasparente avvolta da un nastrino i cui
lembi si congiungevano in un grazioso fiocchetto decorativo. All'interno di
essa, sopra un mucchietto di neve, c'era un pendaglio con delle scarpette da
ballerina, rigorosamente nere, appeso a una catenina argentata. Maverick aveva
scoperto, che Dakota amava ballare, ma che la sua famiglia non poteva
permettersi di pagarle delle lezioni private. «Questa è una scatola magica,
sai?» le confessò con un'espressione boriosa; Dakota pensò che volesse solo
impressionarla e inarcò un sopracciglio scettica. «Dico sul serio» insisté il
ragazzo nel disperato tentativo di convincerla. «Mia nonna diceva sempre che se
inseriamo nella scatola magica qualcosa che ci rappresenta o simboleggia un
nostro sogno, ci basterà aprirla la notte di Natale ed esprimere il desiderio
che vorremmo si realizzasse. Il suo potere potrà sprigionarsi solo qualora la
persona che l'ha donata sia realmente innamorata di colei che l'ha ricevuta». «Sono
tutte sciocchezze». Dakota non ci credette per due ragioni: non esistevano
scatole magiche e nessuno avrebbe avuto il coraggio di amare una come lei;
ciononostante, in cuor suo, apprezzò il gesto di Maverick perché nessuno era
mai stato tanto gentile, nessuno si era mai preoccupato dei suoi sogni. «Fidati
di me». Con una spontanea dolcezza, il ragazzo si avvicinò e le scostò una
ciocca della frangia che le copriva l'occhio sinistro; una fiamma incandescente
avvampò nel petto di Dakota dirompendo subito nel suo stomaco e accendendole le
guance di un rosso vivo, così vivo da scaldarle la pelle. Un'emozione colorata
che mai prima di allora aveva sferzato la sua nereggiante compostezza. «Aprila
la notte di Natale ed esprimi il tuo desiderio». Trascorsero circa due
settimane da quell'incontro e quando giunse il venticinque dicembre, Dakota
vide riposto sotto l'albero soltanto il regalo di Maverick. Conscia dell'umile
situazione economica dei suoi genitori, non aveva chiesto nulla in dono, facendosi
bastare ciò che quel ragazzo le aveva elargito con tanta premura. Così come le
era stato suggerito, allo scoccare della mezzanotte, aprì la scatola, strinse
fra le mani la collanina ed espresse il suo desiderio. Nel mentre rammentò che
esso si sarebbe realizzato solo se Maverick fosse stato davvero innamorato di
lei, perciò, con la mestizia che la caratterizzava, si diede subito per vinta
pensando che il ragazzo si fosse preso gioco di lei. Passarono i giorni senza
che nulla mutasse, a eccezione di qualche nuova tempesta di neve. Dakota
cominciò a demoralizzarsi e a sbirciare, dalla finestra della cameretta, il
vicino di casa che le aveva scosso il cuore con una sola carezza finché, un
giorno inaspettato, il suo papà, diede alla famiglia la splendida notizia di
aver finalmente trovato un lavoro dignitoso che avrebbe potuto far fronte alle
loro difficoltà, informando sua figlia che avrebbe potuto iscriversi a
un'accademia di danza. Dakota provò di nuovo una strana emozione nel petto che,
quella volta, sconfinò ed esplose in un pianto di gioia. Maverick non solo non
aveva mentito sul potere della scatola magica, ma le aveva persino dimostrato
di essere davvero innamorato di lei. Della ragazza emarginata da tutti. Dakota
comprese che avrebbe dovuto iniziare a credere di più in se stessa,
nell'essenza dei sentimenti e soprattutto ad accettare il vero dono di quel
magico mercoledì: l'amore.
"La magia non è qualcosa di estraneo e misterioso, fuori di noi :è dentro la nostra anima, nei nostri occhi. La vita stessa è la più grande delle magie. È l'arte di meravigliarsi e di trasformare le cose più semplici in grandi incantesimi, di saper vedere la primavera dentro l'inverno. È la musica silenziosa e segreta mista a purezza, che possiamo ascoltare nel rumore della vita. È la capacità quotidiana di vedere e svelare la bellezza che è intorno a noi! Nel saper vivere e nello stupirsi della magia di ogni istante ". (Agostino Degas). Bellissimo, delicato e profondo questo post prezioso, che è tanto vicino al mio sentire di sempre... Grazie per questo dono!
RispondiElimina