“Vitesottratte”. Ha scritto la lettrice Z**** (lettera riportata sul settimanale “d” del quotidiano “la Repubblica” del 3 di settembre 2022): Sono cresciuta in un ambiente agreste, dove sono tornata con la nascita di mia figlia che oggi ha 9 anni. Molte sue coetanee non sanno fare le capriole, non sanno saltare un fossato, c'è chi addirittura non sa andare in bicicletta. Però hanno tutte il tablet e con esso sanno trovare casa a una tigre bianca spostando il dito sulla superficie di questo oggetto.
Non odio il digitale, mi serve moltissimo perché
lavoro come designer, ma mi chiedo come può crearsi, un rapporto corpo-mondo
esterno alle mura di casa, se un bambino non fa esperienza con tutti i suoi
sensi? Cosa creano i giochi e le piattaforme virtuali nel rapporto corpo-mondo?
Ha così risposto Umberto Galimberti in “Cosa
succede quando il mondo è nel tablet?”: Nel rapporto corpo-mondo i giochi
e le piattaforme virtuali creano situazioni
analoghe a quella
che Giinter Anders, in un suo bel libro intitolato L'uomo
è antiquato (Bollati Boringhieri) descrive in questo racconto dove si narra
che: "Il re non vedeva di buon occhio che suo figlio, abbandonando le
strade controllate, si aggirasse per le campagne per formarsi un giudizio sul
mondo, perciò gli regalò carrozze e cavalli: 'Ora non hai più bisogno di andare
a piedi?' furono le sue parole, 'Ora non ti è più consentito di farlo?' Era il
loro significato. 'Ora non puoi più farlo?' Fu il loro effetto". Che
c'entra tutto questo? C'entra. Se conosco il mondo tramite il computer o il
telefonino come faccio a fare esperienza del mondo? Nessun problema. Anzi.
Socializzeremo con amici digitali vicini o lontani con più facilità, perché lo
spazio fisico sarà irrilevante e il tempo sarà a tal punto velocizzato da
abolire qualsiasi attesa, perché saranno immediatamente presenti eventi
distanti anche dieci fusi orari da noi. Un reportage dalla Cina potrà darci la
sensazione di andarci di persona, anche se sono in montagna posso tuffarmi nel
mar dei Caraibi senza bagnarmi, partecipare a un gioco violento senza riportare
neppure un graffio. È reale tutto questo? No. Perché frequentando assiduamente,
quando non esclusivamente, il virtuale, corriamo il rischio di incorrere in un
pericoloso processo di de-realizzazione, dal momento che, come scrive Raffaele
Simone, "Nel virtuale ci si limita a simulare cose che non si possono o
non si vogliono fare", e così si perdono molte abilità necessarie per
muoverci nel mondo reale con la destrezza e la consapevolezza delle difficoltà
che la realtà pone rispetto alla facilitazione del virtuale. Il "consumo
in comune" del mezzo non equivale a una "reale esperienza
comune". Lo scambio ha un andamento solipsistico, dove un numero infinito
di eremiti di massa comunicano le vedute del mondo quale appare dal loro eremo.
E par di vederli questi spettatori, separati l'uno dall'altro, immobili davanti
al loro video come i monaci di un tempo sui picchi delle alture, non per
rinunciare al mondo, ma per non perdere neppure un frammento del mondo "in
immagine". La casa reale dove si abita con la propria famiglia è ridotta a
un container per la recezione del mondo esterno via cavo, via telefono, via
etere, e quanto più il lontano si avvicina, tanto più il vicino, la realtà di
casa, quella familiare, si allontana e impallidisce. Portandoci il mondo in
casa, i mezzi di comunicazione digitali modificano radicalmente il nostro modo
di fare esperienza, se non altro perché chi vuol sapere cosa avviene fuori casa
deve andare a casa, e solo allora l'universo si riflette per noi e si offre a
portata di mano. Non più il viandante che esplora il mondo, ma il mondo che si
offre al sedentario che è al mondo proprio perché non lo percorre, e al limite
neppure lo abita. La rivoluzione ha del copernicano. Se il mondo viene a noi
senza che noi si debba uscire di casa noi non siamo più al mondo, ma solo
consumatori del mondo in immagine che possiamo evocare in qualsiasi momento. Se
poi per vederlo bisogna pagare, allora il mondo diventa merce. Se l'importanza
dei fatti del mondo dipendono dalla loro diffusione attraverso i media, allora
l'essere dovrà misurarsi sull'apparire. Non siamo infatti onnipotenti come i
mezzi di cui disponiamo ci fanno credere. Perché non sono certo questi mezzi,
capaci di mettere in comunicazione milioni di solitudini, a fare di tutti i
solitari, privati proprio dai mezzi di comunicazione della possibilità di fare
un'esperienza condivisa, gli abitanti di un mondo comune. Di seguito, “Amore e Psiche al tempo dei social” di
Barbara Alberti, pubblicato sul settimanale “L’Espresso” del 18 di dicembre
ultimo: Visione romanzesca di un fatto di cronaca. Oggi Romeo è Daniele, un
ragazzo che sogna, e Giulietta è Irene, una ragazza bellissima che scrive
messaggi bellissimi, maestra nel parlar d’amore. E finisce come nel dramma di
Shakespeare con un doppio suicidio, per notizie false. Daniele ha 22 anni. È generoso,
ha il talento dell’immaginazione. Si conoscono solo in chat. Si amano al buio,
come Amore e Psiche. Le foto di lei sono incantevoli. Irene continuerebbe
all’infinito la fase stilnovista, ma dopo un anno di delirio ardente e
immateriale Daniele vuole vederla, stringerla, sposarla. Irene rifiuta, dice di
temere che la realtà rovini tutto. Lui ossessivamente insiste, lei
ossessivamente resiste. Finché si scopre la verità: Irene non esiste. Irene è
Roberto, ha 64 anni. Era solo uno scherzo. Uno scherzo? Daniele ha investito
tutto su questo amore. Si sente umiliato, burlato, violato. Si è consegnato in
totale purezza a un nemico che lo manipola da un anno. È stato il suo zimbello.
Immensi il dolore, e la vergogna. Daniele si impicca. Il lutto della famiglia è
indicibile, atroce. Ma forse anche Roberto è annientato. Forse Daniele gli
manca. Attraverso di lui era diventato Superman. Teneva in mano la sua vita.
Forse lo amava, da bravo attore si era immedesimato nella parte. Nella sua
modesta esistenza lui non era più lui, ogni contrarietà era superata. Lui era
la bellissima fanciulla, che amava Daniele ma si negava, con l’estrema
civetteria del rifiuto. Lui era Irene. Si era scelto il suo fantasma. Roberto
era innamorato di Daniele, o della propria trama? Forse di entrambi. E ora?
Rimorso? Restano il vuoto per la morte di Daniele, e il senso di onnipotenza
per averlo indotto al suicidio? Per fortuna di Roberto, nessuno lo sa. Il peso
è solo suo, e lo sente. Ma forse col tempo riuscirà a perdonarsi. Tanto, nessuno
può scoprirlo. E qui, come nel mito quando un dio irrompe svelando il mistero,
arriva una troupe delle Iene che snida Roberto, e rivela la storia in
televisione. L’immunità è finita. Ora tutti lo sanno. La rete lo bombarda di
insulti e minacce. Sui muri della città appaiono scritte che lo vogliono morto.
Roberto si spara. Ce la prendiamo con la rete. La rete siamo noi. Abbiamo
sempre sedotto ingannato ucciso per amore o disamore. Ora si fa con altri
mezzi, invece della nutrice lo smartphone. La tecnologia potenzia l’inganno.
Cos’è accaduto fra Daniele e Roberto? Forse comincia come un gioco e diventa un
amore. Anche dalla parte del seduttore. Roberto era innamorato di Daniele? Il
gioco gli prende la mano, scopre di avere il talento del teatro, entra nel
ruolo. Solo un innamorato immaginario può sostenere quella finzione per un anno
intero. Con questo gioco, Roberto gli incidenti della vita li ha superati. Ha
fatto impazzire d’amore Daniele. Si è scoperto un grande seduttore. Quale
affabulazione irresistibile avrà saputo tessere, per conquistare quel magnifico
ragazzo? Irene Inventa l’amore e la lussuria immaginaria, diventa Cleopatra.
Lui, l’uomo grigio che il servizio delle Iene mostra nella sua gogoliana
tristezza, ora è oggetto d’amore. Quali patrimoni di seduzione ha dispiegato
Roberto per dominare la passione di Daniele, restando invisibile? Quell’amore
era la sua creazione. E aveva saputo recitarlo perfettamente. Una maschera
difficile, pericolosa, esaltante e umiliante. Il rapporto c’era, e profondo.
Ogni giorno l’ingannatore doveva inventarsi qualcosa per colmare l’assenza
dell’amante incorporea. Ma non alla pari. Lui era il burattinaio, il demiurgo,
l’altro la vittima da sedurre ogni giorno. E Daniele, quanto bisogno d’amore
doveva avere per credere a Irene, e l’altro, Cyrano di se stesso, quanto
bisogno ne aveva lui per sostenere l’inganno? In quanti siamo, soli come cani,
così soli da accontentarci dei fantasmi?
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