"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

domenica 4 dicembre 2022

Dell’essere. 62 Eraldo Affinati: «Don Lorenzo Milani ci ha insegnato: maestri autorevoli e amici affettuosi anche con i più fragili».

Ha scritto Maurizio Maggiani in “Umiltà. Così necessaria per essere umani” pubblicato sul settimanale “Robinson” del quotidiano “la Repubblica” di sabato 3 di dicembre 2022: L'umile, latino humilis, è colui è colui che è aderente alla terra, humus, e humus è una delle parole con la radice più antica di tutto il bacino indoeuropeo, hum, la terra intesa come il suolo fertile. Da humus deriva anche homo, l'uomo, perché l'uomo e la terra sono una cosa sola, così che nel mito sumerico della creazione l'uomo è stato generato dagli dei per sostituirli nell'ingrato lavoro della terra, e nel Genesi è addirittura fatto di terra, impastato con l'argilla; Quintiliano, il re dei retori, il primo intellettuale di stato dell'Occidente, pagato dal fiscus e quindi dall'imperatore direttamente di tasca propria, se la rideva della relazione tra hunus e homo, ma si capisce, all'imperatore rodeva avere a che fare con l'umiltà e più che mai con la nuda terra. L'umile non ha timore di sporcarsi le mani con la terra, egli è la terra e della terra è il sale, dunque la pratica dell'umiltà è attestazione di piena umanità. Il fatto che l'attuale sistema come i passati identifichino gli umili con gli ultimi, intesi come coloro con non sono ammessi alla nobiltà dell'umano, i reietti, coloro che vanno sottomessi, necessari in quanto sfruttati, come sfruttata è la terra, dice solo quanto sia disumano il sistema. Che malignamente travisa l'umiltà con l'umiliazione; umiliare è schiacciare l'uomo a terra, atterrarlo, letteralmente, che è quello che fa il potere dominante con i dominati. L'umiltà eleva l'umano alla sua natura, l'umiliazione corrompe la sua natura e l'abbatte. Tanto per dire della stoltezza e della balordaggine dei “protoquamquam” della politica de’ noantri. Valditara&Adolescenze”. Ha lasciato scritto J. Krishnamurti (1895-1986) in “Ai piedi del maestro” (1910): (…). A meno che l’insegnante non possegga questo requisito “dell’assenza di desiderio”, i suoi stessi desideri lo potranno rendere cieco alle aspirazioni ed alle capacità del ragazzo affidato alle sue cure, e spesso glieli imporrà invece di aiutarlo nel suo sviluppo normale. Per quanto un insegnante possa sentirsi molto attratto verso una professione o verso un ordine speciale d’idee, egli dovrà sviluppare a tal punto il requisito “dell’assenza di desiderio”, che, pur destando nei suoi allievi l’entusiasmo per i principi, non abbia da restringerli entro limiti di qualsiasi speciale applicazione dei principi stessi, né permettere ai loro generosi impulsi non controbilanciati dall’esperienza di degenerare in ristretto fanatismo. Così, egli dovrebbe insegnare i principi del civismo, ma non la politica di partito. Egli non dovrebbe insegnare la superiorità di una professione sull’altra, ma il valore che esse tutte hanno (…), purché onorevolmente disimpegnate. (…). Di seguito, «Umiliazione, lo scrittore Affinati sulla frase del ministro Valditara: “Nessun alunno va messo fuori squadra, è la sconfitta di un educatore”» intervista del 24 di novembre 2022 di Alex Corlazzoli allo scrittore Eraldo Affinati letta – su cortese segnalazione dell’amica Agnese A. – sul sito de’ “il Fatto Quotidiano”: (…): "I più fragili non vanno mai umiliati, mai messi spalle al muro ma responsabilizzati. I bulli? Serve essere autentici e essere capaci anche di uscire dagli spazi istituzionali. L’ultima cosa che dovrebbe fare una scuola è umiliare gli studenti. Serve essere come don Lorenzo Milani ci ha insegnato: maestri autorevoli e amici affettuosi anche con i più fragili”. (…). Affinati, ha sentito le parole del ministro Valditara? “Soltanto lavorando, soltanto umiliandosi – evviva l’umiliazione che è un fattore fondamentale di crescita della personalità – di fronte ai suoi compagni è lui che si prende la responsabilità dei propri atti. Da lì nasce il riscatto”, ha detto il ministro. È davvero così? - La penso esattamente in maniera opposta al ministro. I grandi educatori del passato, da Maria Montessori ad Alberto Manzi a Mario Lodi a don Milani, ci hanno insegnato che il riscatto, la redenzione non arrivano mai attraverso l’umiliazione. Questo non significa essere buonisti, come spesso veniamo additati. Pensa al priore di Barbiana: era severissimo con i suoi ragazzi, intransigente ma affettuoso. I più fragili non vanno mai umiliati, mai messi con le spalle al muro ma responsabilizzati. La scuola non è un tribunale”.

Certo, ma forse serve anche – provo ad interpretare il messaggio del ministro – che chi sbaglia si faccia un esame di coscienza, per dirla con una frase di vecchio stampo. “Va sollecitata una riflessione ma non passando attraverso l’umiliazione. Chi è forte può superare una punizione di quel tipo ma il bullo, chi ha un percorso già segnato dal contesto sociale o famigliare, si sentirà solo, ancor più bastonato. L’educatore non può permettersi di mettere nessuno fuori squadra: quella è la sua sconfitta”.

Cosa ti viene in mente quando si parla di umiliazione? “L’esperienza personale di quando da “primino”, la maestra mi mise dietro la lavagna per un errore ortografico. Non avevo ancora sei anni e mi trovai umiliato così davanti ai miei compagni”.

Il ministro, tuttavia, ha richiamato anche il concetto del rispetto: “Occorre ridare autorevolezza alla scuola e far rispettare le regole”. È davvero un’urgenza? - Io vedo un altro problema: la solitudine di noi docenti. Oggi lavoriamo senza avere più il sostegno delle famiglie e di altri soggetti ma questa situazione ci mette nella condizione di avere una maggiore responsabilità. Il rispetto te lo devi conquistare non lo puoi pretendere a scatola chiusa. Nel momento in cui fai bene il tuo lavoro i ragazzi e le famiglie ti rispettano”.

Forse serve puntare maggiormente sulla formazione. “È una parola che mi crea sempre un po’ di inquietudine. Quando possiedi la conoscenza della disciplina poi il resto lo devi conquistare sul campo. Non servono molti corsi teorici. Noi ad esempio (…), quando arriva un nuovo docente volontario lo facciamo affiancare in modo che ci sia una crescita maggiore sul campo, un confronto con chi già lavora con i nostri ragazzi”.

Il rispetto va conquistato ogni giorno in aula ma di fronte ad un bullo che fai per non escluderlo, per integrarlo? “Servono esperienze conoscitive con lui. Serve essere autentici e essere capaci anche di uscire dagli spazi istituzionali. Non ti puoi mettere nella posizione di quello che spiega e mette il voro e stop ma devi entrare nel mucchio selvaggio. Tutte le volte che l’ho fatto e mi sono messo in gioco, è servito. E poi non devi restare solo. Non sempre è facile ma serve agire come comunità educante non come singoli. Ecco da qui l’importanza di un’équipe educativa”.

Un’ultima questione: che pensa dei lavori socialmente utili al posto delle sospensioni? “Se sono intesi come un elemento punitivo non servono a nulla. Non si deve spostare l’attenzione dall’aspetto educativo a quello giuridico. La scuola non è un carcere minorile. E poi non si può parlare per slogan. Che significano i lavori socialmente utili? Quando si parla di educazione non si può ragionare per categorie. Bisogna capire in che contesto agisci, in che scuola sei, in che territorio vivi, qual è la storia di quel ragazzo…”.

Nessun commento:

Posta un commento