Ha scritto Maurizio Maggiani in
“Umiltà. Così necessaria per essere umani”
pubblicato sul settimanale “Robinson” del quotidiano “la Repubblica” di sabato
3 di dicembre 2022:
L'umile, latino humilis, è colui è colui che è aderente alla terra,
humus, e humus è una delle parole con la radice più antica di tutto il bacino
indoeuropeo, hum, la terra intesa come il suolo fertile. Da humus deriva anche
homo, l'uomo, perché l'uomo e la terra sono una cosa sola, così che nel mito
sumerico della creazione l'uomo è stato generato dagli dei per sostituirli
nell'ingrato lavoro della terra, e nel Genesi è addirittura fatto di terra,
impastato con l'argilla; Quintiliano, il re dei retori, il primo intellettuale
di stato dell'Occidente, pagato dal fiscus e quindi dall'imperatore
direttamente di tasca propria, se la rideva della relazione tra hunus e homo,
ma si capisce, all'imperatore rodeva avere a che fare con l'umiltà e più che
mai con la nuda terra. L'umile non ha timore di sporcarsi le mani con la terra,
egli è la terra e della terra è il sale, dunque la pratica dell'umiltà è
attestazione di piena umanità. Il fatto che l'attuale sistema come i passati
identifichino gli umili con gli ultimi, intesi come coloro con non sono ammessi
alla nobiltà dell'umano, i reietti, coloro che vanno sottomessi, necessari in
quanto sfruttati, come sfruttata è la terra, dice solo quanto sia disumano il
sistema. Che malignamente travisa l'umiltà con l'umiliazione; umiliare è
schiacciare l'uomo a terra, atterrarlo, letteralmente, che è quello che fa il
potere dominante con i dominati. L'umiltà eleva l'umano alla sua natura,
l'umiliazione corrompe la sua natura e l'abbatte. Tanto per dire della
stoltezza e della balordaggine dei
“protoquamquam”
della politica de’ noantri.
“
Valditara&
Adolescenze”. Ha lasciato
scritto J. Krishnamurti (1895-1986) in
“Ai
piedi del maestro” (1910):
(…). A meno che l’insegnante non possegga
questo requisito “dell’assenza di desiderio”, i suoi stessi desideri lo
potranno rendere cieco alle aspirazioni ed alle capacità del ragazzo affidato
alle sue cure, e spesso glieli imporrà invece di aiutarlo nel suo sviluppo
normale. Per quanto un insegnante possa sentirsi molto attratto verso una
professione o verso un ordine speciale d’idee, egli dovrà sviluppare a tal
punto il requisito “dell’assenza di desiderio”, che, pur destando nei suoi
allievi l’entusiasmo per i principi, non abbia da restringerli entro limiti di
qualsiasi speciale applicazione dei principi stessi, né permettere ai loro
generosi impulsi non controbilanciati dall’esperienza di degenerare in
ristretto fanatismo. Così, egli dovrebbe insegnare i principi del civismo, ma
non la politica di partito. Egli non dovrebbe insegnare la superiorità di una
professione sull’altra, ma il valore che esse tutte hanno (…), purché
onorevolmente disimpegnate. (…). Di seguito,
«Umiliazione, lo scrittore Affinati sulla frase del ministro Valditara:
“Nessun alunno va messo fuori squadra, è la sconfitta di un educatore”»
intervista del 24 di novembre 2022 di Alex Corlazzoli allo scrittore
Eraldo Affinati letta – su cortese segnalazione
dell’amica Agnese A. – sul sito de’
“il Fatto Quotidiano”:
(…): "I più fragili non
vanno mai umiliati, mai messi spalle al muro ma responsabilizzati. I bulli?
Serve essere autentici e essere capaci anche di uscire dagli spazi istituzionali.
L’ultima cosa che dovrebbe fare una scuola è umiliare gli studenti. Serve
essere come don Lorenzo Milani ci ha insegnato: maestri autorevoli e amici
affettuosi anche con i più fragili”. (…). Affinati, ha sentito le parole del
ministro Valditara? “Soltanto lavorando, soltanto umiliandosi – evviva
l’umiliazione che è un fattore fondamentale di crescita della personalità – di
fronte ai suoi compagni è lui che si prende la responsabilità dei propri atti.
Da lì nasce il riscatto”, ha detto il ministro. È davvero così? - La penso
esattamente in maniera opposta al ministro. I grandi educatori del passato, da
Maria Montessori ad Alberto Manzi a Mario Lodi a don Milani, ci hanno insegnato
che il riscatto, la redenzione non arrivano mai attraverso l’umiliazione.
Questo non significa essere buonisti, come spesso veniamo additati. Pensa al
priore di Barbiana: era severissimo con i suoi ragazzi, intransigente ma
affettuoso. I più fragili non vanno mai umiliati, mai messi con le spalle al
muro ma responsabilizzati. La scuola non è un tribunale”.
Certo, ma forse serve anche – provo ad
interpretare il messaggio del ministro – che chi sbaglia si faccia un esame di
coscienza, per dirla con una frase di vecchio stampo. “Va sollecitata una
riflessione ma non passando attraverso l’umiliazione. Chi è forte può superare
una punizione di quel tipo ma il bullo, chi ha un percorso già segnato dal
contesto sociale o famigliare, si sentirà solo, ancor più bastonato.
L’educatore non può permettersi di mettere nessuno fuori squadra: quella è la
sua sconfitta”.
Cosa ti viene in mente quando si parla di
umiliazione? “L’esperienza personale di quando da “primino”, la maestra mi mise
dietro la lavagna per un errore ortografico. Non avevo ancora sei anni e mi
trovai umiliato così davanti ai miei compagni”.
Il ministro, tuttavia, ha richiamato anche
il concetto del rispetto: “Occorre ridare autorevolezza alla scuola e far
rispettare le regole”. È davvero un’urgenza? - Io vedo un altro problema: la
solitudine di noi docenti. Oggi lavoriamo senza avere più il sostegno delle
famiglie e di altri soggetti ma questa situazione ci mette nella condizione di
avere una maggiore responsabilità. Il rispetto te lo devi conquistare non lo
puoi pretendere a scatola chiusa. Nel momento in cui fai bene il tuo lavoro i
ragazzi e le famiglie ti rispettano”.
Forse serve puntare maggiormente sulla
formazione. “È una parola che mi crea sempre un po’ di inquietudine. Quando
possiedi la conoscenza della disciplina poi il resto lo devi conquistare sul
campo. Non servono molti corsi teorici. Noi ad esempio (…), quando arriva un
nuovo docente volontario lo facciamo affiancare in modo che ci sia una crescita
maggiore sul campo, un confronto con chi già lavora con i nostri ragazzi”.
Il rispetto va conquistato ogni giorno in
aula ma di fronte ad un bullo che fai per non escluderlo, per integrarlo?
“Servono esperienze conoscitive con lui. Serve essere autentici e essere capaci
anche di uscire dagli spazi istituzionali. Non ti puoi mettere nella posizione
di quello che spiega e mette il voro e stop ma devi entrare nel mucchio
selvaggio. Tutte le volte che l’ho fatto e mi sono messo in gioco, è servito. E
poi non devi restare solo. Non sempre è facile ma serve agire come comunità
educante non come singoli. Ecco da qui l’importanza di un’équipe educativa”.
Un’ultima questione: che pensa dei lavori
socialmente utili al posto delle sospensioni? “Se sono intesi come un elemento
punitivo non servono a nulla. Non si deve spostare l’attenzione dall’aspetto
educativo a quello giuridico. La scuola non è un carcere minorile. E poi non si
può parlare per slogan. Che significano i lavori socialmente utili? Quando si
parla di educazione non si può ragionare per categorie. Bisogna capire in che
contesto agisci, in che scuola sei, in che territorio vivi, qual è la storia di
quel ragazzo…”.
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