Di seguito, “Il pozzo delle lacrime”, racconto di Paulo Coelho pubblicato sul quotidiano “la Repubblica” del 24 di dicembre ultimo: Appena arrivato a Marrakech, il missionario decise che avrebbe trascorso tutte le mattine nel deserto che si stendeva ai limiti della città. Nella sua prima passeggiata, notò un uomo sdraiato sulla sabbia, che accarezzava il suolo con la mano e teneva l'orecchio accostato a terra. "È un folle", disse fra sé e sé. Ma la scena si ripeté tutti i giorni e, dopo un mese, incuriosito da quello strano comportamento, il missionario decise di avvicinarsi allo straniero. Con grande difficoltà - per via del suo arabo ancora tentennante - s'inginocchiò accanto a lui e domando: - Che state facendo? -. - Faccio compagnia al deserto e lo consolo per la sua solitudine e le sue lacrime -. - Non sapevo che il deserto potesse piangere -. - Piange tutti i giorni, perché il suo sogno è di rendersi utile all'uomo e trasformarsi in un giardino immenso, dove gli uomini possano coltivare fiori e cereali e allevare il loro bestiame -. - Ebbene, dite pure al deserto che ha compiuto la sua missione - commentò il missionario. - Ogni volta che sono qui, riesco a comprendere la vera dimensione dell'essere umano, perché questa vastità mi consente di vedere quanto siamo piccoli davanti a Dio -. "Quando guardo la sabbia del deserto, immagino i milioni di persone nel mondo, che sono stati cresciuti uguali, anche se non sempre il mondo è giusto nei loro confronti. Le sue montagne mi aiutano a meditare. E nel vedere il sole che nasce all'orizzonte, la mia anima si riempie di gioia. E così mi avvicino al Creatore". Il missionario salutò l'uomo e tornò alle sue faccende quotidiane. Quale non fu la sua sorpresa quando, il mattino dopo, lo ritrovò ancora lì, e nella stessa posizione. - Avete parlato al deserto di quello che vi ho detto? - gli domandò. L'uomo annuì con il capo. - Eppure il deserto continua a piangere? -. - Posso sentire ognuno dei suoi singhiozzi. Ora piange perché ha passato migliaia di anni convinto di essere completamente inutile e ha sprecato tutto questo tempo imprecando contro Dio e il proprio destino-. - Dite allora al deserto che, nonostante l'essere umano abbia una vita assai più breve, anch'egli trascorre molti dei suoi giorni pensando di essere inutile. Di rado capisce quale sia la ragione del proprio destino, ed è convinto che Dio sia stato ingiusto nei suoi confronti. Quando infine arriva il momento in cui accade qualcosa che gli mostra il motivo per cui egli è nato, pensa che ormai sia troppo tardi per cambiare vita e continua a soffrire. E, come il deserto, si sente in colpa per il tempo che ha perduto -. - Non so se il deserto ascolterà - disse l'uomo. - Ormai si è abituato a soffrire e non riesce a vedere le cose in altro modo -. - Allora faremo ciò che faccio sempre quando sento che gli uomini hanno perso la speranza. Pregheremo -. S'inginocchiarono tutti e due e iniziarono a pregare, uno rivolto alla Mecca perché era musulmano, l'altro con le mani giunte in preghiera, perché era cattolico. Pregarono così il proprio Dio, che è sempre stato lo stesso Dio, per quanto gli uomini si ostinino ad attribuirgli nomi diversi. L'indomani, quando il missionario si ritrovò a fare la sua passeggiata mattutina, l'uomo non c'era più. Nel punto in cui quello era solito abbracciare la sabbia, il suolo appariva bagnato, giacché si era creata una piccola fonte. Nei mesi che seguirono, questa fonte s'ingrandì, e gli abitanti della città vi costruirono intorno un pozzo. I beduini chiamano quel posto il "Pozzo delle lacrime del deserto". Si dice che chiunque berrà la sua acqua, riuscirà a trasformare il motivo della propria sofferenza in una ragione per gioire. E finirà per trovare il suo vero destino.
"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
mercoledì 28 dicembre 2022
Piccolegrandistorie. 38 «Pregarono così il proprio Dio, che è sempre stato lo stesso Dio, per quanto gli uomini si ostinino ad attribuirgli nomi diversi».
“StoriedelNatale”. Racconta Enzo Bianchi
nella intervista – “Il cristianesimo è
un inno alla vita e non al dolore” - concessa ad Antonio Gnoli e riportata sul
settimanale “Robinson” del quotidiano “la Repubblica” del 24 di dicembre 2022: (…). «Ripenso
ai primi Natali, me bambino. La povertà, io che a otto anni perdo la mamma.
L'attesa del Natale era un misto di speranza e tristezza. Facevo il presepe con
le figurine, la carta e la colla. La stessa povertà, o meglio essenzialità, la
vissi nei primi anni a Bose. Natali con poche persone e il duro lavoro per far
crescere la comunità. Solo negli ultimi anni quell'evento si è arricchito di
presenza umana. Preparavo il pranzo – ho sempre amato cucinare - per
un'ottantina di commensali. C'erano fratelli e sorelle e le tante persone sole
con cui condividere la gioia dell'attesa».
La gioia di cui a volte parli non è solo
spirito, non è solo preghiera. «Si prega in tanti modi e lo spirito senza il
corpo cosa sarebbe? Cosa sarebbe senza gli altri. Non può esserci un Natale
senza vera condivisione». (…).
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