Ha scritto il politologo Carlo Galli in “Il complesso del ciclista” pubblicato ieri, 30 di novembre 2022, sul quotidiano “la Repubblica”:
(…). Vi è (…) un'interpretazione
di autorità come autoritarismo, cioè come un comando che non vuole convincere
ma abbattere ogni resistenza. Mentre l'autorevolezza nasce da una forza che
vuole rendere forte anche l'altro, l'autoritarismo vuole abbassare l'altro,
punirne l'insubordinazione. Ed è perciò espressione, mascherata, di debolezza. Come
hanno mostrato da decenni gli studi della Scuola di Francoforte, e di molti
altri, la personalità autoritaria scarica sul sottoposto un'aggressività e una
frustrazione che nascono dalla soggezione a un'altra superiore autorità. La
personalità autoritaria pretende ubbidienza perché deve a sua volta ubbidire;
umilia perché è sottoposta a umiliazione. In questo contesto l'azione
autoritaria è di fatto una vendetta indiretta, che perpetua il ciclo della
prevaricazione e della degradazione, a cui nessuno sfugge, da cui non ci si
emancipa. È il "complesso del ciclista" che, mentre è costretto a
piegare la schiena, come se una forza dall'alto lo premesse, spinge i pedali
verso il basso. È questa una delle chiavi interpretative più radicali della
destra. Più che da un bisogno di legalità, cioè del rispetto della legge come
norma universale, infatti, questa si nutre di una richiesta di autorità (nella
variante autoritaria) che è selettiva, mirata: la correzione, il comando, nelle
forme più severe, sono riservati agli ultimi, ai più lontani dalla presunta
normalità. Una società che si sente oppressa da molti poteri e processi, che
non sa identificare, cerca sollievo in qualche forma di evasione (fiscale,
soprattutto) e intanto chiede alla politica qualche rivincita, qualche compensazione
a danno dei devianti. Pulsioni anarcoidi, tentativi di sottrarsi alla legge,
convivono con richieste di un'interpretazione vendicativa e vessatoria della
legge. Troppi sono gli esempi - dai migranti ai rave - perché li si possa
elencare. In essi si mostra che l'ideologia dell'ordine - feticcio della destra
- si accompagna alla pratica del disordine: che la norma è affermata attraverso
l'asimmetria, la diseguaglianza. E si conferma che la politica della destra
consiste nell'offrire alla società (o meglio, ai suoi elettori) illusorie
rivincite simboliche in cambio di delusioni sostanziali quasi generalizzate (si
veda la legge di bilancio). Lo scandalo sollevato dal ricorso alla terminologia
dell'umiliazione nasce dal fatto che quel termine, anche al di là delle
intenzioni personali del ministro, non può non richiamare alla mente di chi
ascolta la questione dell'autorità e del suo significato politico. E non può
non sollecitare una riflessione sul fatto che, ben prima di quelle
dichiarazioni, una delle cause del successo elettorale della destra è stata
appunto l'avere percepito il disagio profondo di una società in cui hanno
grande spazio il timore e il risentimento, la percezione di precarietà e di
subalternità, e la rancorosa ansia di ritorsione e di rivincita. Un malessere,
una malattia, a cui la destra usa rispondere non con la libertà, come sostiene,
ma appunto con "l'autorità autoritaria". Mentre la cura dovrebbe
passare attraverso una politica che promuova sistematicamente, in chiave
emancipatoria, la giustizia sociale e la democrazia. Un programma vasto, ma
ineludibile per chi pensi a un'alternativa al presente stato di cose. Di
seguito, “Come è umano, lui: onorevole
Valditara nel segno del merito” di Pino Corrias pubblicato su “il Fatto
Quotidiano” di ieri: (…), Giuseppe Valditara, federalista,
secessionista, leghista, sovranista e infine interista, che nelle sue note
biografiche fa scrivere di avere letto d’un fiato La storia di
Roma di Indro Montanelli alla bella età di 6 anni. Non 7, come tutti noi.
Albori di una vocazione – e di un imprinting – che lo condurranno,
dopo una manciata di lustri e di esami, a sedere sulla cattedra di Diritto
Romano dell’Università di Torino. E ora in cima al ministero che ha voluto
rinominare in piena coerenza con la sua storia intellettuale, “perché coniugare
scuola e merito è già un messaggio politico”. Chi l’avrebbe detto. (…). Ma se
il merito vuol dire selezione – gli hanno contestato gli orfani del 6 politico
– dove va a finire la scuola dell’accoglienza? E se la selezione significa
esclusione, non si finirà per aggravare i guasti della diseguaglianza sociale?
Questioni di blando buonismo, ha tagliato corto lui. Velenosamente germogliate
nella stagione sinistrorsa della scuola molle e permissiva, quella del ’68
egualitario, che il nostro Valditara si è subito candidato a raddrizzare con il
righello della Destra. Prevedendo severità didattica per gli inetti. E giuste
umiliazioni ai prepotenti, magari con i lavori socialmente utili. “Evviva
l’umiliazione” ha cantato alla sua prima uscita davanti alla platea del
convegno di logistica politica “Direzione Nord”, i primi di novembre:
“L’umiliazione è un fattore fondamentale nella crescita di fronte ai propri
compagni. Da lì nasce il riscatto. Da lì nasce la maturazione. Da lì nasce la
responsabilizzazione”. Peccato sia quasi sempre vero il contrario, hanno
provato a spiegargli psicologi e pedagogisti. Essendo l’umiliazione carburante
idoneo per la rabbia più che per il riscatto di sé. Facile pretesto per covare
rancori e vendetta. Fosse anche quella di chiudersi davanti ai chiodi ostili
del mondo, cioè in direzione ostinata e contraria a una maturità equilibrata,
aperta al confronto con gli altri. Ma lui niente, non si è mai umiliato con una
retromarcia. Dal che desumiamo una tormentata adolescenza del signor ministro,
benpensante, bullizzato da neri pensieri, nato a Milano, anno 1961, padre
dirigente di banca, madre insegnante, diploma al liceo classico Berchet, laurea
in Giurisprudenza alla Statale. Un po’ di carriera universitaria per
sgranchirsi. Poi il colpo di fulmine intellettual-politico nell’anno 1993, al
cospetto del demone della Padania, il sulfureo Gianfranco Miglio (“Lo so, sono
nato carogna!”) politologo d’alta gamma che in quei tempi di primissima Seconda
Repubblica, prefigurava l’imminente rivoluzione federalista. Il tutto alla
corte di Umberto Bossi che per qualche anno lo userà come suo personale
soprammobile politologico, prima di lanciarlo fuori dalla finestra, anzi
peggio: “Miglio? È una scoreggia nello spazio”. Ma un po’ prima del viaggio, il
Professor Tuono godeva di così tanta considerazione da venire incaricato di
scrivere una nuova Costituzione, meglio se portatile e di facile beva, per la
nuova nazione che Miglio immaginava divisa in partes tres, la Repubblica
del Nord, l’Etruria, la Repubblica del Sud (le isole un po’ qui un po’ là). Che
detta così sembra uno scherzo, anzi un’idiozia assemblata in dodici articoli,
con l’inno del Va’ Pensiero incorporato. Invece è la fetta
preponderante del curriculum di Giuseppe Valditara, che alla
Costituzione Federale collaborò con le virgole del Diritto, e che da allora ne va
fiero e ancora ne parla. Vaporizzato Miglio, anche il nostro si eclissa
dalla Lega e dalla nascente ampolla d’acqua del dio Po, per rispuntare niente
di meno che dalle parti di Ombretta Colli, passata inspiegabilmente dalla
canzone alla politica e da Giorgio Gaber a Berlusconi. È lei, in qualità di
presidente della Provincia milanese, che lo nomina assessore all’Istruzione.
Ruolo che gli va così stretto da indurlo a una nuova giravolta, direzione
Gianfranco Fini con annesso collegio senatoriale tra i patrioti di Alleanza nazionale,
finalmente a Roma, dove rimarrà per tre legislature, dal 2001 al 2013. Anni
durante i quali fa in tempo ad aggiungere un’altra perla alla sua carriera:
relatore della Riforma della Scuola e dell’Università, affidata alle cure della
ministra Mariastella Gelmini, quella del tunnel tra il Cern di Ginevra e il
Gran Sasso, che finì per smantellare tutto, il tempo pieno, gli istituti
professionali, la ricerca, i servizi, il corpo insegnante e quello tecnico. Con
quell’invidiabile primato in tasca, Valditara rientra nella nuova Lega di
Salvini, anno 2017, precisamente nel comitato scientifico della
rivista Logos, diretta da Luca Savoini, oggi purtroppo sparito dentro
certe maldicenze moscovite, che perorava, in quelle pagine, la doppia
ammirazione per Putin e per Donald Trump, eroi dell’ideale sovranista, almeno
fino a quando il primo non ha trasformato l’Ucraina in un mattatoio e il
secondo non ha ridotto Capitol Hill a un bivacco di manipoli con le corna.
Vatti a fidare dei patrioti in campo contro la sostituzione etnica finanziata
da George Soros, l’ebreo, e contro le cene sataniste di Hillary Clinton. Su
quelle pagine il nostro meritevole ministro s’è esercitato sul tema
dell’immigrazione “contro la politica dell’accoglienza indiscriminata”, con la
veemenza di chi crede che ci sia qualcuno a favore. Aggiungendo: “Sembra
piuttosto una politica infantile incapace di dire e di accettare dei no. Una
politica che non riconosce l’esistenza dei doveri acconto e talvolta prima dei
diritti, che rifiuta la responsabilità come principio cardine di una società
organizzata”. Frasi alle quali basterebbe sostituire a “politica” la parola
“studenti”, per riconoscerne l’inchiostro di oggi. Lo premia, l’anno dopo, il
nuovo ministro dell’Istruzione Marco Bussetti, altro capolavoro leghista con la
passione per le note spese, che lo nomina capo dipartimento per la Formazione
superiore e la Ricerca. Praticamente l’ultimo giro di riscaldamento - dopo
Miglio, Ombretta Colli, Savoini, Gelmini - per meritarsi la gloria dei meritevoli.
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