"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

giovedì 1 dicembre 2022

ItalianGothic. 19 Corrias: «Desumiamo una tormentata adolescenza del signor ministro, benpensante, bullizzato da neri pensieri».  

 


Ha scritto il politologo Carlo Galli in “Il complesso del ciclista” pubblicato ieri, 30 di novembre 2022, sul quotidiano “la Repubblica”:

(…). Vi è (…) un'interpretazione di autorità come autoritarismo, cioè come un comando che non vuole convincere ma abbattere ogni resistenza. Mentre l'autorevolezza nasce da una forza che vuole rendere forte anche l'altro, l'autoritarismo vuole abbassare l'altro, punirne l'insubordinazione. Ed è perciò espressione, mascherata, di debolezza. Come hanno mostrato da decenni gli studi della Scuola di Francoforte, e di molti altri, la personalità autoritaria scarica sul sottoposto un'aggressività e una frustrazione che nascono dalla soggezione a un'altra superiore autorità. La personalità autoritaria pretende ubbidienza perché deve a sua volta ubbidire; umilia perché è sottoposta a umiliazione. In questo contesto l'azione autoritaria è di fatto una vendetta indiretta, che perpetua il ciclo della prevaricazione e della degradazione, a cui nessuno sfugge, da cui non ci si emancipa. È il "complesso del ciclista" che, mentre è costretto a piegare la schiena, come se una forza dall'alto lo premesse, spinge i pedali verso il basso. È questa una delle chiavi interpretative più radicali della destra. Più che da un bisogno di legalità, cioè del rispetto della legge come norma universale, infatti, questa si nutre di una richiesta di autorità (nella variante autoritaria) che è selettiva, mirata: la correzione, il comando, nelle forme più severe, sono riservati agli ultimi, ai più lontani dalla presunta normalità. Una società che si sente oppressa da molti poteri e processi, che non sa identificare, cerca sollievo in qualche forma di evasione (fiscale, soprattutto) e intanto chiede alla politica qualche rivincita, qualche compensazione a danno dei devianti. Pulsioni anarcoidi, tentativi di sottrarsi alla legge, convivono con richieste di un'interpretazione vendicativa e vessatoria della legge. Troppi sono gli esempi - dai migranti ai rave - perché li si possa elencare. In essi si mostra che l'ideologia dell'ordine - feticcio della destra - si accompagna alla pratica del disordine: che la norma è affermata attraverso l'asimmetria, la diseguaglianza. E si conferma che la politica della destra consiste nell'offrire alla società (o meglio, ai suoi elettori) illusorie rivincite simboliche in cambio di delusioni sostanziali quasi generalizzate (si veda la legge di bilancio). Lo scandalo sollevato dal ricorso alla terminologia dell'umiliazione nasce dal fatto che quel termine, anche al di là delle intenzioni personali del ministro, non può non richiamare alla mente di chi ascolta la questione dell'autorità e del suo significato politico. E non può non sollecitare una riflessione sul fatto che, ben prima di quelle dichiarazioni, una delle cause del successo elettorale della destra è stata appunto l'avere percepito il disagio profondo di una società in cui hanno grande spazio il timore e il risentimento, la percezione di precarietà e di subalternità, e la rancorosa ansia di ritorsione e di rivincita. Un malessere, una malattia, a cui la destra usa rispondere non con la libertà, come sostiene, ma appunto con "l'autorità autoritaria". Mentre la cura dovrebbe passare attraverso una politica che promuova sistematicamente, in chiave emancipatoria, la giustizia sociale e la democrazia. Un programma vasto, ma ineludibile per chi pensi a un'alternativa al presente stato di cose. Di seguito, “Come è umano, lui: onorevole Valditara nel segno del merito” di Pino Corrias pubblicato su “il Fatto Quotidiano” di ieri: (…), Giuseppe Valditara, federalista, secessionista, leghista, sovranista e infine interista, che nelle sue note biografiche fa scrivere di avere letto d’un fiato La storia di Roma di Indro Montanelli alla bella età di 6 anni. Non 7, come tutti noi. Albori di una vocazione – e di un imprinting – che lo condurranno, dopo una manciata di lustri e di esami, a sedere sulla cattedra di Diritto Romano dell’Università di Torino. E ora in cima al ministero che ha voluto rinominare in piena coerenza con la sua storia intellettuale, “perché coniugare scuola e merito è già un messaggio politico”. Chi l’avrebbe detto. (…). Ma se il merito vuol dire selezione – gli hanno contestato gli orfani del 6 politico – dove va a finire la scuola dell’accoglienza? E se la selezione significa esclusione, non si finirà per aggravare i guasti della diseguaglianza sociale? Questioni di blando buonismo, ha tagliato corto lui. Velenosamente germogliate nella stagione sinistrorsa della scuola molle e permissiva, quella del ’68 egualitario, che il nostro Valditara si è subito candidato a raddrizzare con il righello della Destra. Prevedendo severità didattica per gli inetti. E giuste umiliazioni ai prepotenti, magari con i lavori socialmente utili. “Evviva l’umiliazione” ha cantato alla sua prima uscita davanti alla platea del convegno di logistica politica “Direzione Nord”, i primi di novembre: “L’umiliazione è un fattore fondamentale nella crescita di fronte ai propri compagni. Da lì nasce il riscatto. Da lì nasce la maturazione. Da lì nasce la responsabilizzazione”. Peccato sia quasi sempre vero il contrario, hanno provato a spiegargli psicologi e pedagogisti. Essendo l’umiliazione carburante idoneo per la rabbia più che per il riscatto di sé. Facile pretesto per covare rancori e vendetta. Fosse anche quella di chiudersi davanti ai chiodi ostili del mondo, cioè in direzione ostinata e contraria a una maturità equilibrata, aperta al confronto con gli altri. Ma lui niente, non si è mai umiliato con una retromarcia. Dal che desumiamo una tormentata adolescenza del signor ministro, benpensante, bullizzato da neri pensieri, nato a Milano, anno 1961, padre dirigente di banca, madre insegnante, diploma al liceo classico Berchet, laurea in Giurisprudenza alla Statale. Un po’ di carriera universitaria per sgranchirsi. Poi il colpo di fulmine intellettual-politico nell’anno 1993, al cospetto del demone della Padania, il sulfureo Gianfranco Miglio (“Lo so, sono nato carogna!”) politologo d’alta gamma che in quei tempi di primissima Seconda Repubblica, prefigurava l’imminente rivoluzione federalista. Il tutto alla corte di Umberto Bossi che per qualche anno lo userà come suo personale soprammobile politologico, prima di lanciarlo fuori dalla finestra, anzi peggio: “Miglio? È una scoreggia nello spazio”. Ma un po’ prima del viaggio, il Professor Tuono godeva di così tanta considerazione da venire incaricato di scrivere una nuova Costituzione, meglio se portatile e di facile beva, per la nuova nazione che Miglio immaginava divisa in partes tres, la Repubblica del Nord, l’Etruria, la Repubblica del Sud (le isole un po’ qui un po’ là). Che detta così sembra uno scherzo, anzi un’idiozia assemblata in dodici articoli, con l’inno del Va’ Pensiero incorporato. Invece è la fetta preponderante del curriculum di Giuseppe Valditara, che alla Costituzione Federale collaborò con le virgole del Diritto, e che da allora ne va fiero e ancora ne parla. Vaporizzato Miglio, anche il nostro si eclissa dalla Lega e dalla nascente ampolla d’acqua del dio Po, per rispuntare niente di meno che dalle parti di Ombretta Colli, passata inspiegabilmente dalla canzone alla politica e da Giorgio Gaber a Berlusconi. È lei, in qualità di presidente della Provincia milanese, che lo nomina assessore all’Istruzione. Ruolo che gli va così stretto da indurlo a una nuova giravolta, direzione Gianfranco Fini con annesso collegio senatoriale tra i patrioti di Alleanza nazionale, finalmente a Roma, dove rimarrà per tre legislature, dal 2001 al 2013. Anni durante i quali fa in tempo ad aggiungere un’altra perla alla sua carriera: relatore della Riforma della Scuola e dell’Università, affidata alle cure della ministra Mariastella Gelmini, quella del tunnel tra il Cern di Ginevra e il Gran Sasso, che finì per smantellare tutto, il tempo pieno, gli istituti professionali, la ricerca, i servizi, il corpo insegnante e quello tecnico. Con quell’invidiabile primato in tasca, Valditara rientra nella nuova Lega di Salvini, anno 2017, precisamente nel comitato scientifico della rivista Logos, diretta da Luca Savoini, oggi purtroppo sparito dentro certe maldicenze moscovite, che perorava, in quelle pagine, la doppia ammirazione per Putin e per Donald Trump, eroi dell’ideale sovranista, almeno fino a quando il primo non ha trasformato l’Ucraina in un mattatoio e il secondo non ha ridotto Capitol Hill a un bivacco di manipoli con le corna. Vatti a fidare dei patrioti in campo contro la sostituzione etnica finanziata da George Soros, l’ebreo, e contro le cene sataniste di Hillary Clinton. Su quelle pagine il nostro meritevole ministro s’è esercitato sul tema dell’immigrazione “contro la politica dell’accoglienza indiscriminata”, con la veemenza di chi crede che ci sia qualcuno a favore. Aggiungendo: “Sembra piuttosto una politica infantile incapace di dire e di accettare dei no. Una politica che non riconosce l’esistenza dei doveri acconto e talvolta prima dei diritti, che rifiuta la responsabilità come principio cardine di una società organizzata”. Frasi alle quali basterebbe sostituire a “politica” la parola “studenti”, per riconoscerne l’inchiostro di oggi. Lo premia, l’anno dopo, il nuovo ministro dell’Istruzione Marco Bussetti, altro capolavoro leghista con la passione per le note spese, che lo nomina capo dipartimento per la Formazione superiore e la Ricerca. Praticamente l’ultimo giro di riscaldamento - dopo Miglio, Ombretta Colli, Savoini, Gelmini - per meritarsi la gloria dei meritevoli.

Nessun commento:

Posta un commento