Ha scritto Natalia Aspesi, con malcelata
solidarietà femminile, in “Perché ci
tocca proteggere la premier” pubblicato sul settimanale “il Venerdì di Repubblica”
del 2 di dicembre 2022: Penso (…) che questa (Giorgia Meloni
n.d.r.) è e fin che c’è, pur stando molto all’erta, dobbiamo non solo
accettarla, ma addirittura proteggerla. Perché per noi ma anche per lei, il
pericolo viene da chi lei stessa si è scelta, personaggi che non si sa dove si
erano nascosti finora, e che adesso, nella loro impreparazione, possono
vendicarsi del mondo che non capiscono, talebani che sino ad adesso erano stati
relegati nel nulla. È vero che la quantità di sciocchezze che dicono ci
distoglie dalle manovre di governo, atte a rendere chi non ha sempre più
mendicante, e chi ha sempre più abbiente, più facile rubare gli euro di mancia
ai camerieri che far pagare le tasse a chi fa queste proposte da schiavisti. Ma
è anche al mondo che la nostra premier, che ha già le occhiaie, deve rendere
conto, e sta cercando di farlo: non credo che i suoi sodali l’aiuteranno, a
loro del Paese e pure di lei non importa nulla: quello che conta è affidare ai
loro protetti, e a vanvera, posti di prestigio e potere: come la presidenza del
Maxxi, il Museo delle Arti del XXI Secolo di Roma, a un notista politico (non
artistico) del quotidiano Libero, di cui non ricordo il nome. Forse la Meloni, con
tutto quel consenso, credeva che sarebbe stato facile, invece da già segni di
stanchezza, di nervosismo. Ed è in queste situazioni quando uno si sente
accerchiato e oltraggiato, che nascono le dittature. Di seguito, “Nuovo cinema Meloni” pubblicato sul
settimanale “L’Espresso” del 4 di dicembre ultimo: (…) Ma a chi risale la presenza
scenica meloniana? (…). …Filippo Ceccarelli nel cercare un modello espressivo
primigenio ha azzardato un paragone tra Giorgia Meloni e una grandissima del
passato, Bice Valori. Compagna di Paolo Panelli, attrice versatile da teatro
alto e rivista, doppiaggio, musicarelli e intrattenimento tv. Molto in comune
con Meloni: «Stessa statura da piccoletta, stessa verve femminile, ironica e
popolaresca, stessa risposta pronta e schietta, stessa risata allegra o, se
necessario, sprezzante. Impressionante è la voce che nel crescendo acquista una
inconfondibile cadenza romanesca». C'è un’altra attrice, con caratteristiche analoghe,
cui Meloni somiglia ancora di più. Il suo nome è Zoe Incrocci. Caratterista
romana, una delle più note negli anni Cinquanta, attrice di teatro, cinema,
televisione. (…). La somiglianza con Giorgia Meloni è spiccata. Impressionante.
Quasi vertiginosa. Cosa c'entra Giorgia Meloni? Un link è spuntato tra fine
settembre e inizio ottobre. Quando i media spagnoli hanno cominciato a scrivere
della vita canaria di Francesco Meloni detto Franco, il padre cli Giorgia
Meloni (che se ne andò di casa quando lei aveva un paio danni, e che lei non ha
mai più visto dal 1988), una vita da film tra isole, trasferimenti in barca, un
ristorante chiamato Marques de Oristano probabilmente ispirandosi alle origini
sarde, la condanna a nove anni cli galera per narcotraffico e due candidature
alle elezioni locali: ebbene i giornali come El Mundo, ma anche nella Gazzetta
ufficiale Spagnola (Boe) lo hanno indicato come Francesco Meloni Incrocci. In
Spagna si utilizza nei documenti ufficiali anche il nome della madre - riforma
che per ironia della sorte in Italia non ha mai attecchito, fra l’altro con l'argomento
(maschilista) che avrebbe rovinato gli alberi genealogici. Ecco dunque spuntare
un altro ramo: Incrocci. Nel 1937, Zoe Incrocci, appena ventottenne, sposò a
Roma Giovanni Meloni detto Nino, nato a Ghilarza in provincia di Oristano,
vent'anni più di lei, personaggio di primissimo piano nel mondo dello
spettacolo di quegli anni. All'epoca lui dirigeva il teatro universitario di
Roma dei Guf, avrebbe avuto un ruolo sempre più importante dal dopoguerra in
poi. Regista radiofonico, punto di riferimento per prosa, rivista e teatro in
radio. Premiatissimo, cercatissimo, ebbe la Maschera d'argento nel 1954 (…) lavorava
con Garinei e Giovannini e altri pezzi grossi, perfettamente inserito
nell'universo favoloso e interconnesso che si stendeva tra via Veneto e Cinecittà,
passando per la Rai-Eiar, Un personaggio che ne metteva in contatto altri, da
questo punto cli vista somigliante a Vittorio Veltroni. Meloni e Veltroni,
entrambi premiati con il Microfono d'argento in quegli anni, si conoscevano
peraltro abbastanza bene. Alighiero Noschese raccontando i propri esordi,
avrebbe spiegato che era stato proprio il padre cli Walter Veltroni, all'epoca
direttore del giornale radio, a dirottarlo sullo spettacolo: da redattore della
radio, infatti, ogni volta che tornava dalle assemblee parlamentari dilettava i
colleghi, più che con le cronache, con le imitazioni di De Gasperi, Togliatti,
Nenni, Parri. Raccontò Noschese al Corriere d'Informazione, il 3 marzo del
1978: «Un giorno Veltroni mi consigliò a un regista radiofonico, Nino Meloni.
"Sei più tagliato per fare la rivista che il giornalista", mi disse».
Intuizione corretta: Noschese finì nella commedia "Caccia al Tesoro" di
Garinei e Giovannini e non tornò più inclietro. Nino Meloni, per suo conto, è
personaggio chiave di tante carriere. Anche Nino Manfredi, nel 1987, avrebbe
raccontato che nei primi anni cli carriera, tra gli stenti, aveva svotato così:
«Grazie a Nino Meloni scoprii la radio, via Asiago. E il doppiaggio. Se no, come
andavo avanti? Il cinema non mi voleva». Era la stagione in cui l'Italia,
dall'elenco mussoliniano scolpito all'Eur sul Colosseo Quadrato che la
descriveva come un «popolo di poeti, artisti, eroi, cli santi, pensatori,
scienziati, navigatori, di trasmigratori» diventava anche un popolo rutilante e
ruspante di arricchiti, di cinematografari, di attori, di scrittori, di
cialtroni. Di inventori di mondi. Il popolo insomma della commedia
all'italiana, magnificamente messo in scena, in quegli anni, da una coppia
regale di sceneggiatori: Age e Scarpelli. (…). Che c'entrano i due? Age era Agenore
Incrocci, fratello minore di Zoe, che era nata a Roma due anni prima cli lui. Una
vita non sempre fortunatissima, quella di Zoe. Sarebbe rimasta vedova nel 1960,
il marito Meloni stroncato da un infarto mentre leggeva un copione coi suoi
collaboratori in casa, proprio nel giorno in cui Fanfani inaugurava il tratto
Firenze-Bologna dell'Autostrada del Sole. «Zoe Incrocci ferita in un incidente
d'auto», riportano le cronache nell'agosto di quell'anno: era in vacanza in
Spagna, con quattro dei suoi figli. Ma madre alla fine di sette: «Gemma, Paolo,
Franco, Mario, Guido, Lellina e Raffaele», così come compaiono insieme con «le
nuore e tutti i nipoti» su La Repubblica, nel necrologio che il 7 novembre 2003
ne annunciava il funerale nella chiesa cli Santa Chiara a piazza dei Giuochi
Delfici, la parrocchia della Camilluccia dove Giorgia Meloni ha passato i suoi
primissimi anni cli vita. Prima di trasferirsi, dopo l'incendio della casa a
Roma nord (…) nel quartiere della Garbatella con la madre e la sorella. E di
rompere con tutto il mondo della famiglia paterna, a un punto che si fatica
persino a immaginarli parenti. Zoe Incrocci avrebbe continuato tutta la vita a
recitare: ha una parte iconica anche in "Pinocchio", dove recita
Lumachina, accanto alla fata Turchina Gina Lollobrigida, zia di quarto grado di
Francesco Lollobrigida, oggi ministro della Sovranità alimentare nel governo
Meloni. Regista di quella serie era Luigi Comencini, che con Age e Scarpelli
aveva fatto "Tutti a casa" e "La donna della domenica'', e che
come si sa è il nonno di Carlo Calenda. Martedì scorso, dopo due ore di colloquio
con la premier, uscendo da Palazzo Chigi il leader di Azione ha raccontato alla
Stampa: «Sento il fascino della storia di Giorgia Meloni. È quella che lei ha
raccontato più volte: una donna che nasce in una famiglia non privilegiata, con
una vita difficile e che ce la fa da sola. La chiami "chimica" se
vuole». La storia di una «underdog», come Meloni ama definirsi. Con mezza storia
del cinema italiano ad aleggiare fantasmaticamente sulla testa, però. Un po' di
chimica è il minimo, in effetti.
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