"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

domenica 11 dicembre 2022

ItalianGothic. 20 «Ma a chi risale la presenza scenica meloniana?».  

Ha scritto Natalia Aspesi, con malcelata solidarietà femminile, in “Perché ci tocca proteggere la premier” pubblicato sul settimanale “il Venerdì di Repubblica” del 2 di dicembre 2022: Penso (…) che questa (Giorgia Meloni n.d.r.) è e fin che c’è, pur stando molto all’erta, dobbiamo non solo accettarla, ma addirittura proteggerla. Perché per noi ma anche per lei, il pericolo viene da chi lei stessa si è scelta, personaggi che non si sa dove si erano nascosti finora, e che adesso, nella loro impreparazione, possono vendicarsi del mondo che non capiscono, talebani che sino ad adesso erano stati relegati nel nulla. È vero che la quantità di sciocchezze che dicono ci distoglie dalle manovre di governo, atte a rendere chi non ha sempre più mendicante, e chi ha sempre più abbiente, più facile rubare gli euro di mancia ai camerieri che far pagare le tasse a chi fa queste proposte da schiavisti. Ma è anche al mondo che la nostra premier, che ha già le occhiaie, deve rendere conto, e sta cercando di farlo: non credo che i suoi sodali l’aiuteranno, a loro del Paese e pure di lei non importa nulla: quello che conta è affidare ai loro protetti, e a vanvera, posti di prestigio e potere: come la presidenza del Maxxi, il Museo delle Arti del XXI Secolo di Roma, a un notista politico (non artistico) del quotidiano Libero, di cui non ricordo il nome. Forse la Meloni, con tutto quel consenso, credeva che sarebbe stato facile, invece da già segni di stanchezza, di nervosismo. Ed è in queste situazioni quando uno si sente accerchiato e oltraggiato, che nascono le dittature. Di seguito, “Nuovo cinema Meloni” pubblicato sul settimanale “L’Espresso” del 4 di dicembre ultimo: (…) Ma a chi risale la presenza scenica meloniana? (…). …Filippo Ceccarelli nel cercare un modello espressivo primigenio ha azzardato un paragone tra Giorgia Meloni e una grandissima del passato, Bice Valori. Compagna di Paolo Panelli, attrice versatile da teatro alto e rivista, doppiaggio, musicarelli e intrattenimento tv. Molto in comune con Meloni: «Stessa statura da piccoletta, stessa verve femminile, ironica e popolaresca, stessa risposta pronta e schietta, stessa risata allegra o, se necessario, sprezzante. Impressionante è la voce che nel crescendo acquista una inconfondibile cadenza romanesca». C'è un’altra attrice, con caratteristiche analoghe, cui Meloni somiglia ancora di più. Il suo nome è Zoe Incrocci. Caratterista romana, una delle più note negli anni Cinquanta, attrice di teatro, cinema, televisione. (…). La somiglianza con Giorgia Meloni è spiccata. Impressionante. Quasi vertiginosa. Cosa c'entra Giorgia Meloni? Un link è spuntato tra fine settembre e inizio ottobre. Quando i media spagnoli hanno cominciato a scrivere della vita canaria di Francesco Meloni detto Franco, il padre cli Giorgia Meloni (che se ne andò di casa quando lei aveva un paio danni, e che lei non ha mai più visto dal 1988), una vita da film tra isole, trasferimenti in barca, un ristorante chiamato Marques de Oristano probabilmente ispirandosi alle origini sarde, la condanna a nove anni cli galera per narcotraffico e due candidature alle elezioni locali: ebbene i giornali come El Mundo, ma anche nella Gazzetta ufficiale Spagnola (Boe) lo hanno indicato come Francesco Meloni Incrocci. In Spagna si utilizza nei documenti ufficiali anche il nome della madre - riforma che per ironia della sorte in Italia non ha mai attecchito, fra l’altro con l'argomento (maschilista) che avrebbe rovinato gli alberi genealogici. Ecco dunque spuntare un altro ramo: Incrocci. Nel 1937, Zoe Incrocci, appena ventottenne, sposò a Roma Giovanni Meloni detto Nino, nato a Ghilarza in provincia di Oristano, vent'anni più di lei, personaggio di primissimo piano nel mondo dello spettacolo di quegli anni. All'epoca lui dirigeva il teatro universitario di Roma dei Guf, avrebbe avuto un ruolo sempre più importante dal dopoguerra in poi. Regista radiofonico, punto di riferimento per prosa, rivista e teatro in radio. Premiatissimo, cercatissimo, ebbe la Maschera d'argento nel 1954 (…) lavorava con Garinei e Giovannini e altri pezzi grossi, perfettamente inserito nell'universo favoloso e interconnesso che si stendeva tra via Veneto e Cinecittà, passando per la Rai-Eiar, Un personaggio che ne metteva in contatto altri, da questo punto cli vista somigliante a Vittorio Veltroni. Meloni e Veltroni, entrambi premiati con il Microfono d'argento in quegli anni, si conoscevano peraltro abbastanza bene. Alighiero Noschese raccontando i propri esordi, avrebbe spiegato che era stato proprio il padre cli Walter Veltroni, all'epoca direttore del giornale radio, a dirottarlo sullo spettacolo: da redattore della radio, infatti, ogni volta che tornava dalle assemblee parlamentari dilettava i colleghi, più che con le cronache, con le imitazioni di De Gasperi, Togliatti, Nenni, Parri. Raccontò Noschese al Corriere d'Informazione, il 3 marzo del 1978: «Un giorno Veltroni mi consigliò a un regista radiofonico, Nino Meloni. "Sei più tagliato per fare la rivista che il giornalista", mi disse». Intuizione corretta: Noschese finì nella commedia "Caccia al Tesoro" di Garinei e Giovannini e non tornò più inclietro. Nino Meloni, per suo conto, è personaggio chiave di tante carriere. Anche Nino Manfredi, nel 1987, avrebbe raccontato che nei primi anni cli carriera, tra gli stenti, aveva svotato così: «Grazie a Nino Meloni scoprii la radio, via Asiago. E il doppiaggio. Se no, come andavo avanti? Il cinema non mi voleva». Era la stagione in cui l'Italia, dall'elenco mussoliniano scolpito all'Eur sul Colosseo Quadrato che la descriveva come un «popolo di poeti, artisti, eroi, cli santi, pensatori, scienziati, navigatori, di trasmigratori» diventava anche un popolo rutilante e ruspante di arricchiti, di cinematografari, di attori, di scrittori, di cialtroni. Di inventori di mondi. Il popolo insomma della commedia all'italiana, magnificamente messo in scena, in quegli anni, da una coppia regale di sceneggiatori: Age e Scarpelli. (…). Che c'entrano i due? Age era Agenore Incrocci, fratello minore di Zoe, che era nata a Roma due anni prima cli lui. Una vita non sempre fortunatissima, quella di Zoe. Sarebbe rimasta vedova nel 1960, il marito Meloni stroncato da un infarto mentre leggeva un copione coi suoi collaboratori in casa, proprio nel giorno in cui Fanfani inaugurava il tratto Firenze-Bologna dell'Autostrada del Sole. «Zoe Incrocci ferita in un incidente d'auto», riportano le cronache nell'agosto di quell'anno: era in vacanza in Spagna, con quattro dei suoi figli. Ma madre alla fine di sette: «Gemma, Paolo, Franco, Mario, Guido, Lellina e Raffaele», così come compaiono insieme con «le nuore e tutti i nipoti» su La Repubblica, nel necrologio che il 7 novembre 2003 ne annunciava il funerale nella chiesa cli Santa Chiara a piazza dei Giuochi Delfici, la parrocchia della Camilluccia dove Giorgia Meloni ha passato i suoi primissimi anni cli vita. Prima di trasferirsi, dopo l'incendio della casa a Roma nord (…) nel quartiere della Garbatella con la madre e la sorella. E di rompere con tutto il mondo della famiglia paterna, a un punto che si fatica persino a immaginarli parenti. Zoe Incrocci avrebbe continuato tutta la vita a recitare: ha una parte iconica anche in "Pinocchio", dove recita Lumachina, accanto alla fata Turchina Gina Lollobrigida, zia di quarto grado di Francesco Lollobrigida, oggi ministro della Sovranità alimentare nel governo Meloni. Regista di quella serie era Luigi Comencini, che con Age e Scarpelli aveva fatto "Tutti a casa" e "La donna della domenica'', e che come si sa è il nonno di Carlo Calenda. Martedì scorso, dopo due ore di colloquio con la premier, uscendo da Palazzo Chigi il leader di Azione ha raccontato alla Stampa: «Sento il fascino della storia di Giorgia Meloni. È quella che lei ha raccontato più volte: una donna che nasce in una famiglia non privilegiata, con una vita difficile e che ce la fa da sola. La chiami "chimica" se vuole». La storia di una «underdog», come Meloni ama definirsi. Con mezza storia del cinema italiano ad aleggiare fantasmaticamente sulla testa, però. Un po' di chimica è il minimo, in effetti.

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