“StoriedelNatale”. Ha scritto Tomaso Montanari – Storico dell’Arte, Rettore della “Università per gli Stranieri” di Siena - in “Le luci siamo noi” pubblicato sul settimanale “il Venerdì di Repubblica” del 23 di dicembre 2022:
«Veniva nel mondo la luce vera, quella che
illumina ogni uomo» (Giovanni 1, 9).
Raramente una verità teologica e una formula pittorica hanno coinciso
come nella Roma, e poi subito dopo nell'Europa, caravaggesche. La pittura in
interno con una luce artificiale direzionata, la pittura al lume di candela,
tanto cara al Merisi e ai suoi seguaci - e all'olandese Gherardo delle Notti
cara al punto da fornirgli il soprannome con cui fu celebre in Italia - sembra
fatta apposta per rendere visibile il senso profondo del Natale. La festa dalla
quale nessuno è escluso, quella in cui si celebra la luce del sole invitto, che
nonostante i colpi dell'inverno, resiste e rinasce nel solstizio: il sole di
giustizia che è cifra del Cristo, e che nasce per vincere la notte della morte,
per risorgere. Una luce che nessun nemico può spegnere, nessuna propaganda
smorzare, nessun potere rendere fioca: una luce che non distingue tra buoni e
cattivi, ricchi e poveri, devoti e miscredenti. La luce che, dice Giovanni,
illumina ogni uomo. In questo quadro, semplice e lirico, impariamo qualcosa di
decisivo sulla fonte di questa luce. Come in un gioco familiare e ingenuo,
Maria scopre Gesù appena nato, perché la sua luce faccia giocare i due angeli,
due fratelli appena maggiori, e dia conforto ad un tenero Giuseppe, sempre un
passo indietro. E così apprendiamo che questa luce non viene dall'alto dei
cieli, non viene dal Padre Eterno e dal suo abisso di luce che forse solo Dante
riuscì a tradurre in parole. No, viene da un piccolo, e nudo, corpo umano:
dalla carne di cui si è rivestito Dio stesso. L'incarnazione - questa idea
inarrivabile di un Dio che si fa carne: e, dunque, dolore, sofferenza, morte ma
anche piacere, gioia, vita - spacca in due la storia umana: non siamo da allora
più soli, non siamo da allora più sconfitti. Ed è la carne, da allora, ad
essere luminosa. La carne di ogni uomo: perché, dicevano i Padri della Chiesa,
rivestendosi di umanità Dio ha divinizzato la natura umana. Ogni uomo: non
importa quanto piccolo, nudo, povero, migrante, nero, peccatore, abietto,
confuso, cattivo. Ogni uomo, nessuno escluso, emette luce. Proprio come in
questo quadro semplice e magnifico. E così la pittura, rendendoci sensibili le
cose celestiali, ci rende visibili anche le cose umane: a partire da quella
luce che, per quanto possa parerci strano, promana davvero da ogni corpo umano.
In fondo, a Natale, non festeggiamo nient'altro che questo. Di seguito "La forza della speranza" di
Enzo Bianchi pubblicato sul quotidiano “la Repubblica” del 28 di dicembre dell’anno
2020: Sta per concludersi un anno definito da molti, in particolare al
momento di scambiarsi gli auguri in vista del 2021, come un annus horribilis,
da dimenticare. Ovviamente questo
giudizio quasi unanime è motivato soprattutto dalla pandemia che ci ha colpiti
al suo inizio, ci ha accompagnati lungo tutto il suo svolgersi e infuria
tuttora, anche se all’orizzonte appare la possibilità della sua sconfitta
grazie all’arrivo, speriamo imminente per tutti, del vaccino. Questa catastrofe, che ha causato in Italia
oltre settantamila morti, non era da noi immaginata né prevista. È giunta e ci
ha sorpresi, impreparati e impotenti, cogliendo soprattutto gli anziani, ma
travolgendo la vita di tutti, così da unire le realtà più diverse in una
sofferenza condivisa. Ci siamo scoperti fragili, esposti a un contagio mortale;
abbiamo dovuto assumere un regime di “clausura”, cambiare il modo di vivere le
nostre relazioni; molti purtroppo hanno perso il lavoro, conoscendo una
situazione di povertà e talvolta di miseria, fino a poter contare solo sulla
solidarietà di altre persone presso le quali sono giunti anche a farsi
mendicanti di cibo. È stata un’esperienza lunghissima, per molti a caro prezzo,
e non sappiamo ancora misurarne con precisione gli effetti sulla vita personale
dei più fragili, dei più soli e deboli. Anche i cristiani, in questo tunnel,
non hanno avuto parole convincenti per spiegare e dare senso a tale evento
sterminatore. Per grazia, non l’hanno più imputato a un Dio giudice che castiga
i peccati degli umani, come tante volte hanno fatto lungo i secoli, non hanno
proiettato sul loro Dio le immagini perverse di un Onnipotente che si fa
supplicare; ma con tutti gli altri umani, viandanti come loro, hanno dovuto
comprendere che in questi casi ci si salva insieme, con la cura e la custodia
reciproca, con l’aiuto fornito ai più fragili. Non c’è altra salvezza se non
nel fare il bene e nel tentare di amarsi. L’enigma del male, inscritto nella
natura di questo mondo, è restato tale. Ma non si può
però dimenticare, accanto al male che ci viene dalla natura, quello che è opera
delle nostre mani, il male di cui tanti uomini e tante donne soffrono per
la violenza, l’ingiustizia e l’oppressione subite dai loro fratelli e sorelle
in umanità: questo non è un enigma ma dipende dalla nostra responsabilità! C’è
infatti il male che dipende dalle nostre omissioni: come non essere
profondamente turbati dalla morte in mare, vicino a noi, di venti donne delle quali
quattro incinte proprio nella notte della Natività? Ma la speranza, seme
deposto nel nostro cuore, non viene meno, ci sorregge e ci dà la forza per
resistere al male e per ricominciare nel tempo che ci è dato da vivere
misurandolo in anni. Cerchiamo dunque di combattere la paura con la fiducia e
l’amore, camminiamo insieme sulle vie del nuovo anno e ancora una volta
diciamo, con gratitudine, con le lacrime agli occhi o a denti stretti, sì alla
vita. La vita quotidiana in cui si svolgono le nostre vicende di affetti e di
comunità sociale, unica vita che ci è data e che nonostante tutto vale la pena
di condividere insieme.
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