"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

giovedì 29 dicembre 2022

Memoriae. 31 Enzo Bianchi: «Non si può dimenticare, accanto al male che ci viene dalla natura, quello che è opera delle nostre mani».  

     "Adorazione del Bambino" di Gerrit Van Honthorst (1620, Firenze, Uffizi)

StoriedelNatale”. Ha scritto Tomaso Montanari – Storico dell’Arte, Rettore della “Università per gli Stranieri” di Siena - in “Le luci siamo noi” pubblicato sul settimanale “il Venerdì di Repubblica” del 23 di dicembre 2022:

«Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo» (Giovanni 1, 9).  Raramente una verità teologica e una formula pittorica hanno coinciso come nella Roma, e poi subito dopo nell'Europa, caravaggesche. La pittura in interno con una luce artificiale direzionata, la pittura al lume di candela, tanto cara al Merisi e ai suoi seguaci - e all'olandese Gherardo delle Notti cara al punto da fornirgli il soprannome con cui fu celebre in Italia - sembra fatta apposta per rendere visibile il senso profondo del Natale. La festa dalla quale nessuno è escluso, quella in cui si celebra la luce del sole invitto, che nonostante i colpi dell'inverno, resiste e rinasce nel solstizio: il sole di giustizia che è cifra del Cristo, e che nasce per vincere la notte della morte, per risorgere. Una luce che nessun nemico può spegnere, nessuna propaganda smorzare, nessun potere rendere fioca: una luce che non distingue tra buoni e cattivi, ricchi e poveri, devoti e miscredenti. La luce che, dice Giovanni, illumina ogni uomo. In questo quadro, semplice e lirico, impariamo qualcosa di decisivo sulla fonte di questa luce. Come in un gioco familiare e ingenuo, Maria scopre Gesù appena nato, perché la sua luce faccia giocare i due angeli, due fratelli appena maggiori, e dia conforto ad un tenero Giuseppe, sempre un passo indietro. E così apprendiamo che questa luce non viene dall'alto dei cieli, non viene dal Padre Eterno e dal suo abisso di luce che forse solo Dante riuscì a tradurre in parole. No, viene da un piccolo, e nudo, corpo umano: dalla carne di cui si è rivestito Dio stesso. L'incarnazione - questa idea inarrivabile di un Dio che si fa carne: e, dunque, dolore, sofferenza, morte ma anche piacere, gioia, vita - spacca in due la storia umana: non siamo da allora più soli, non siamo da allora più sconfitti. Ed è la carne, da allora, ad essere luminosa. La carne di ogni uomo: perché, dicevano i Padri della Chiesa, rivestendosi di umanità Dio ha divinizzato la natura umana. Ogni uomo: non importa quanto piccolo, nudo, povero, migrante, nero, peccatore, abietto, confuso, cattivo. Ogni uomo, nessuno escluso, emette luce. Proprio come in questo quadro semplice e magnifico. E così la pittura, rendendoci sensibili le cose celestiali, ci rende visibili anche le cose umane: a partire da quella luce che, per quanto possa parerci strano, promana davvero da ogni corpo umano. In fondo, a Natale, non festeggiamo nient'altro che questo. Di seguito "La forza della speranza" di Enzo Bianchi pubblicato sul quotidiano “la Repubblica” del 28 di dicembre dell’anno 2020: Sta per concludersi un anno definito da molti, in particolare al momento di scambiarsi gli auguri in vista del 2021, come un annus horribilis, da dimenticare.  Ovviamente questo giudizio quasi unanime è motivato soprattutto dalla pandemia che ci ha colpiti al suo inizio, ci ha accompagnati lungo tutto il suo svolgersi e infuria tuttora, anche se all’orizzonte appare la possibilità della sua sconfitta grazie all’arrivo, speriamo imminente per tutti, del vaccino.   Questa catastrofe, che ha causato in Italia oltre settantamila morti, non era da noi immaginata né prevista. È giunta e ci ha sorpresi, impreparati e impotenti, cogliendo soprattutto gli anziani, ma travolgendo la vita di tutti, così da unire le realtà più diverse in una sofferenza condivisa. Ci siamo scoperti fragili, esposti a un contagio mortale; abbiamo dovuto assumere un regime di “clausura”, cambiare il modo di vivere le nostre relazioni; molti purtroppo hanno perso il lavoro, conoscendo una situazione di povertà e talvolta di miseria, fino a poter contare solo sulla solidarietà di altre persone presso le quali sono giunti anche a farsi mendicanti di cibo. È stata un’esperienza lunghissima, per molti a caro prezzo, e non sappiamo ancora misurarne con precisione gli effetti sulla vita personale dei più fragili, dei più soli e deboli. Anche i cristiani, in questo tunnel, non hanno avuto parole convincenti per spiegare e dare senso a tale evento sterminatore. Per grazia, non l’hanno più imputato a un Dio giudice che castiga i peccati degli umani, come tante volte hanno fatto lungo i secoli, non hanno proiettato sul loro Dio le immagini perverse di un Onnipotente che si fa supplicare; ma con tutti gli altri umani, viandanti come loro, hanno dovuto comprendere che in questi casi ci si salva insieme, con la cura e la custodia reciproca, con l’aiuto fornito ai più fragili. Non c’è altra salvezza se non nel fare il bene e nel tentare di amarsi. L’enigma del male, inscritto nella natura di questo mondo, è restato tale. Ma non si può però dimenticare, accanto al male che ci viene dalla natura, quello che è opera delle nostre mani, il male di cui tanti uomini e tante donne soffrono per la violenza, l’ingiustizia e l’oppressione subite dai loro fratelli e sorelle in umanità: questo non è un enigma ma dipende dalla nostra responsabilità! C’è infatti il male che dipende dalle nostre omissioni: come non essere profondamente turbati dalla morte in mare, vicino a noi, di venti donne delle quali quattro incinte proprio nella notte della Natività? Ma la speranza, seme deposto nel nostro cuore, non viene meno, ci sorregge e ci dà la forza per resistere al male e per ricominciare nel tempo che ci è dato da vivere misurandolo in anni. Cerchiamo dunque di combattere la paura con la fiducia e l’amore, camminiamo insieme sulle vie del nuovo anno e ancora una volta diciamo, con gratitudine, con le lacrime agli occhi o a denti stretti, sì alla vita. La vita quotidiana in cui si svolgono le nostre vicende di affetti e di comunità sociale, unica vita che ci è data e che nonostante tutto vale la pena di condividere insieme. 

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