Ha scritto Umberto Galimberti in “Conosciamo davvero le nostre emozioni?”
pubblicato sul settimanale “d” del quotidiano “la Repubblica” del 10 di
dicembre 2022: Io temo che per molti appartengano ancora a una terra sconosciuta. Le emozioni
sono una risposta affettiva intensa, con insorgenza immediata e di breve durata,
determinate da uno stimolo ambientale, come può essere un pericolo, o mentale
come ad esempio un ricordo, prima che intervenga un controllo mentale. Hanno
origine nel "cervello antico" che abbiamo in comune con gli animali e
i loro effetti nelle parti più nobili della nostra psiche come i sentimenti, i
nostri vissuti, le nostre relazioni sociali. Furono di grande aiuto ai nostri
antichi progenitori che avevano nelle emozioni il criterio per difendersi dai
pericoli e accedere agli impulsi favorevoli alla procreazione. Nel nostro tempo
sono valorizzate ed elogiate in ogni ambito, ma anche guardate con sospetto per
i rischi che possono comportare. In ogni caso temo che per molti appartengano
ancora a una terra abbastanza sconosciuta. Ad esempio in epoca covid tutti
parlavano impropriamente di "paura" del contagio, invece avremmo
dovuto parlare di "angoscia", perché la paura è un ottimo meccanismo
di difesa di fronte a un pericolo determinato e immediatamente riconoscibile,
l'angoscia è invece il vissuto che, in assenza di un oggetto determinato, ci fa
fare l'esperienza del nulla a cui potersi appigliare per difenderci. Dov'era il
covid? Dappertutto e in nessun luogo identificabile, da qui l'angoscia di non
sapere come difenderci. Lo stesso dicasi per la gelosia che tutti pensiamo di
conoscere. In realtà conosciamo solo quella competitiva che insorge quando un
seduttore o una seduttrice minaccia la donna o l'uomo che amiamo. Non
conosciamo affatto la gelosia proiettiva tipica di chi rimuove i propri
desideri di infedeltà e li proietta sul partner di cui teme in modo ossessivo
l'infedeltà, a cui il partner neppure ci pensa. Spesso tanti femminicidi hanno
alla base questo tipo di gelosia. Lo stesso dicasi dell'ira. Qui converrebbe
ricordare la massima di Aristotele: "Adirarsi è facile, ma non è da tutti
adirarsi con la persona giusta, nella misura giusta, nel modo giusto, nel momento
giusto e per una giusta causa". (…). …oggi c'è una
difficoltà a esprimere le nostre emozioni. Perché viviamo nell'età della
tecnica che esprime una razionalità molto rigorosa quando, senza esitazione
e con la massima precisione, ci si comporta secondo i valori della tecnica che
sono efficienza, produttività, e velocizzazione del tempo, senza concessione
agli aspetti irrazionali dell'uomo quali l'amore, il dolore, l'immaginazione, la
fantasia, l'idealizzazione, il sogno, che per la razionalità tecnica sono
elementi di disturbo. C'è poi chi si ribella a questa modalità di esistere, e
allora assume come regola di vita quello che personalmente sente e, a
prescindere d quello che sentono gli altri, realizza quell'autosufficienza che
lo porta pericolosamente a perdere i contatti con la società come effetto del
progressivo assorbimento in se stesso. Sono soprattutto questi soggetti che fuggono
dalle persone tristi o malinconiche per l'abbandono o la morte di una persona
cara Tristezza e malinconia sono risposte normali di fronte a certi eventi
della vita, ma possono diventare patologiche quando non trovano ascolto e
conforto, come spesso capita nella nostra società che celebra unicamente gioia,
soddisfazioni e felicità, in ciò sostenuta da quella propaganda martellante
tipica della pubblicità che ha spostato la felicità dall'essere felici a
possedere cose che ci rendono felici. Alle persone tristi consiglio la massima
stoica "substine et abstine". Reggi la sofferenza e astieniti dal
metterla in scena. Gli stoici la indicavano come forma da acquisire per
rafforzare il carattere. Io la consiglio per non perdere gli amici che, (…),
dopo un "Su, forza!" ti evitano per non contaminarsi con il tuo dolore,
o più semplicemente perché hanno perso la capacità di partecipare al dolore
degli altri (finché non capita a loro). Di seguito, “Il più buio dei luoghi oscuri” di
Concita De Gregorio, pubblicato sullo stesso numero del settimanale “d” del 10
di dicembre ultimo: (…). Chiedeva, non ricordo chi: "Ma Maria Montessori, dopo,
rimetteva a posto lei?". Migliaia di volte, quando i figli erano piccoli e
dovevano "liberare la loro creatività", secondo il precetto della
grande educatrice, ho pensato a lei, benedetta donna, mentre riparavo i guasti
camminando scalza su dolorosissimi minuscoli pezzi di Lego. Ecco cosa avrei
voluto chiederle: se rimetteva a posto lei. Poi però ricordavo quel passaggio
della lettera che le aveva indirizzato Sigmund Freud nel 1917: "Se i
bambini fossero allevati in tutto il mondo secondo i suoi principi la maggior
parte degli psicoanalisti non avrebbe più niente da fare". E pensavo che
pazienza per il Lego sotto i piedi, pazienza per il vaso della bisnonna: stavo
risparmiando loro decenni di psicanalisi, e la spesa che ne consegue. Poi non è
vero, avrei scoperto. Si vede che liberare la creatività non basta, Sigmund intendeva
qualcosa di più esteso. Ma insomma, allora lo pensavo. L'altro giorno ho
ritrovato la frase di Freud in apertura di un manuale di Daniele Novara,
pedagogista esperto nella gestione dei conflitti. Il libro si intitola La
manutenzione dei tasti dolenti (Bur, Rizzoli) e parla appunto di come
controllare quelle reazioni negative che abbiamo quando qualcuno tocca un
nostro nervo scoperto. I tasti dolenti, dice, "sono condensati emotivi e
psicologici collegati a esperienze dolorose della nostra infanzia". Di
nuovo, buongiorno Freud: i nostri cari omaggi. Non si finisce mai di fare i
conti con qualcosa che ci è accaduto in un momento della vita che talvolta non
siamo neppure in grado di ricordare. Mi sono anche detta, esausta, a un certo
punto della mia, di vita, che non vale la pena passare i successivi
settant'anni a ricostruire i primi dieci: dopo essersi applicati a farlo per un
tempo congruo conviene forse vivere il presente cercando di correggere errori e
limitare i danni. Ma forse, anzi di certo, mi sbaglio. Mi sono rimessa a
leggere e imbattuta in un elenco di frasi. Scegli quella che ti ferisce, chiede
Novara. "Con te non si può parlare", "la vuoi sempre
vinta", "non ce la farai mai", "si è sempre fatto
così", "calmati". Su "calmati" ho sentito un movimento
dello stomaco: non sono irascibile, anzi, eppure in ogni discussione c'è qualcuno
che mi dice "stai calma", qualcuno a cui rispondo "sono
calma" fino a che - siccome l'altro insiste - non perdo la calma Allora
dice, l'altro: lo vedi? Qui uno dovrebbe, anziché scagliare quello che ha in
mano, ribattere gentilmente: ho perso la calma perché mi hai esasperata, o
almeno dovrebbe dirlo a se stesso e rinunciare a discutere. Osservo tuttavia,
in base alla mia esperienza empirica, che dire "sei stato tu a farmi
perdere la pazienza" innesca l'altro meccanismo: "è colpa tua",
micidiale bomba che pesca nel più buio dei luoghi oscuri. Il senso di colpa.
Questa soluzione dunque la eliminiamo e studiamo meglio il manuale, da capo.
Nessun commento:
Posta un commento