"StoriedelNatale". Ha scritto Massimo Recalcati – che è psicoterapeuta – in “Continuare a rinascere” pubblicato sul quotidiano “la Repubblica” del 24 di dicembre 2022: (…). È anche un grande tema biblico: la salvezza si trova sempre in ciò che resta, in un "resto che ritornerà", come dichiara Isaia. Nel "giusto" Noè o nel piccolo Mosè salvati dalle acque, in Gesù risorto dal buio del sepolcro. Sono delle profonde immagini della nascita che si ripete attraverso la morte. Non a caso nella lingua ebraica la parola sheerìt, che significa resto, è composta dalle stesse lettere (reshìt) che significano "inizio". Perché, come ricordava Hannah Arendt, gli esseri umani non sono fatti per morire ma per nascere innumerevoli volte. Gli urti traumatici della pandemia e della guerra hanno mostrato il carattere tetro del potere della morte. (…). Ma festeggiare oggi il miracolo della natività significa riconoscere che la vita non si arrende a quel potere. Siamo responsabili anche della nostra nascita, diceva paradossalmente Sartre. Ma come è possibile esserlo? È necessario un "Sì!" anche per nascere. È necessario dire di "Sì!" alla vita per vivere. Questo significa che ogni volta che la vita dice "Sì!" alla vita, la vita può fare esperienza della nascita. (…). È quello che Nietzsche vede apparire nel mistero dell'eterno ritorno dell'eguale: è necessario dire un grande "Sì!" alla vita perché questo ritorno - la ripetizione inesorabile del tempo che ci divora - non appaia come un peso oppressivo, ma come l'esito di una nostra decisione, di una nostra volontà: "Sì! Voglio ancora nascere! Voglio ancora la vita nel suo splendore e nella sua atrocità! Voglio che si ripeta ancora, ancora come oggi e come tutto il tempo che è già avvenuto!". Il miracolo della nascita è, dunque, il miracolo del nuovo che accade nello stesso. Nella ripetizione uniforme della vita che ci consuma, la nascita è quel taglio che riapre la vita alla vita. È il "Sì!" che vince sul "No!". È l'affermazione che vince sulla tentazione, sempre in agguato, della negazione nichilista: "tutto è vano, tutto è inutile", diceva rassegnato l'indovino-Schopenhauer allo Zarathustra di Nietzsche. Il "Sì!" della nascita che si rinnova insiste nel mostrare che non tutto è morte, che la morte non è l'ultima parola sulla vita, che non tutto è vano, che non tutto è inutile. Lo sanno bene coloro che hanno ridato respiro ai malati di Covid, lo sanno bene i protagonisti eroici della resistenza ucraina che difendono la dignità della loro vita e la libertà della loro terra di fronte all'invasore, lo sanno bene le donne e il popolo iraniano che rivendicano il diritto di nascere di nuovo, finalmente liberi dall'oppressione di una Legge folle che agisce non in nome della vita ma in quello tetro della morte. Di seguito, “Il Natale prima del Natale” di Maurizio Bettini pubblicato sul quotidiano “la Repubblica” del 23 di dicembre ultimo:
"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
lunedì 26 dicembre 2022
Piccolegrandestorie. 36 Recalcati: «Nella ripetizione uniforme della vita che ci consuma, la nascita è quel taglio che riapre la vita alla vita».
A lato. "Sigillaria".
E questo chi è?» domandò Seneca
vedendosi alla porta quello strano tipo. «Ma come, non mi riconosci?» rispose l'altro «sono Felicione, il figlio
del fattore Filosito, ero il tuo cocco. Mi regalavi sempre i sigilla quando ero
un bambinello». Che cosa sono i sigilla che il filosofo regalava a Felicione
quando era il suo "cocco"? Si trattava di statuine che venivano
donate ai bambini durante i Sigillaria, cioè la festa dei sigilla, come i
Romani chiamavano queste figurine di gesso o terracotta. La cosa interessante
però è che questa festa si celebrava ogni anno proprio alla fine di dicembre:
ossia nel periodo che corrisponde al nostro Natale. Il fatto è che sul finire
dell'anno ha luogo un fenomeno che riguarda una delle componenti fondamentali
dell'esistenza e della esperienza umana: il tempo. Infatti, mentre il tempo
fisico continua a scorrere imperturbato, nel suo movimento lineare e
irreversibile, il tempo cronico, quello dei calendari, in questo periodo si
interrompe: per poi subito ricominciare da capo con l'inizio del nuovo anno.
L'invenzione del calendario, ossia la griglia di mesi e giorni che si ripetono
ogni anno con la stessa cadenza, costituisce una finzione culturale
meravigliosa, perché non solo permette di dare un'organizzazione condivisa alla
nostra vita collettiva; ma suggerisce l'illusione che il tempo non sia in
perenne fuga, come invece purtroppo è, ma che ogni volta possa ricominciare da
capo, identico, allo scadere di una data fissa. È inevitabile, però, che il
periodo in cui il tempo "di prima" si interrompe per lasciare il
passo al tempo "di dopo", sia percepito come un momento di passaggio,
dal carattere eccezionale, che chiede di essere celebrato. Ed è appunto qui,
all'interno di questa frattura fra calendari, che si collocano le nostre feste
di Natale e fine d'anno; così come nello stesso periodo si festeggiavano a Roma
i Sigillaria in concomitanza con un'altra importantissima celebrazione romana:
i Saturnalia. Questa festa si teneva in onore del dio Saturno e coinvolgeva
tutti gli abitanti della Città. Sotto il segno del vecchio dio tornava a
rivivere un mito, quello dell'età dell'oro, di cui Saturno era stato appunto il
signore. Si era trattato di un periodo felice per l'umanità, quando non c'era bisogno
di lavorare la terra per goderne i frutti e tutti vivevano in un regime di pace
e giustizia. Sul modello di questa età felice, i Saturnalia erano
caratterizzati dalla cancellazione rituale dello scarto che sussisteva fra
liberi e schiavi. In quei giorni, infatti, i liberi abbandonavano la toga,
ossia l'abito che distingueva il cittadino romano dai non cittadini, per
indossare altre vesti; e mettevano sulla testa il copricapo tipico dei liberti,
ossia gli schiavi liberati. Si chiamava pilleus, ed era considerato il
"berretto della libertà". La festa poteva addirittura prevedere un
rovesciamento dei ruoli fra liberi e schiavi. I padroni servivano cibo ai
propri schiavi e si permetteva addirittura che i servi facessero il verso ai
patrizi, prendendoli in giro. Era la "libertà di dicembre" come
veniva chiamata, e anzi Orazio, in una delle sue Satire, raccontò della volta
in cui il proprio schiavo, Davo, gli aveva fatto una lunga predica sui suoi
vizi, approfittando appunto di questa libertà. Questa situazione non ricorda un
po' il comportamento di Ebenezer Scrooge, nel Canto di Natale di Charles
Dickens? Il vecchio avaro che proprio a fine dicembre si scopre più generoso
nei confronti dei poveri di Londra. Del resto, la nostra tradizione vorrebbe
che a Natale tutti si sentissero "più buoni" - che poi questo accada
davvero, naturalmente, è un altro discorso. Dunque, anche a Roma alla fine
dell'anno i ricchi e i privilegiati erano animati da una miglior disposizione
d'animo verso i più sfortunati, come il vecchio e terribile Scrooge. Ed eccoci
tornati ai Sigillaria, la festa delle statuine. Queste "piccole
immagini", i sigilla da cui abbiamo preso spunto, erano dedicate al dio
Saturno ed erano poste in vendita nel mercato annuale che sì teneva per la
circostanza. Un antico grammatico ce lo descrive, sia pure in maniera
disgraziatamente un po' troppo succinta. Al momento dei Sigillaria, ci spiega,
i mercanti aprivano delle tende di lino nei porticati, un tempo in quello di
Agrippa, in seguito in quello delle Terme di Traiano. Non c'è che dire, questi
mercatini dei Sigillaria, con i loro teloni messi su alla fine di dicembre e in
cui si vendevano statuine di terracotta, come quella che Seneca regalava al
piccolo Felicione, somigliano molto ai nostri mercatini di Natale. Nei quali,
almeno in certe regioni d'Italia, dove ancora si pratica la tradizione del
presepio, si vendono proprio statuine da collocare intorno alla grotta o nella
capannuccia. Le botteghe di San Gregorio Armeno, a Napoli, con la loro
meravigliosa offerta di sacre famiglie, pastori o personaggi bizzarri, sembrano
dunque trovare in Roma antica un precedente abbastanza inatteso. Presso questi
tendoni, aperti dai mercanti nei porticati, si potevano poi acquistare anche
altri oggetti. Sappiamo ad esempio di libri o vassoi, destinati a essere donati
a persone amiche alla stessa stregua dei sigilla. Anche nella Roma antica,
infatti, il periodo di fine dicembre era caratterizzato dallo scambio dei doni,
proprio come avviene in occasione del nostro Natale. Naturalmente in queste
occasioni non si trattava semplicemente di esternare generosità o bontà. In
qualsiasi società, infatti, la pratica del dono è inserita in realtà in un
complesso sistema di relazioni sociali, che possono talora dar vita a vere e
proprie forme di obbligazione. Obbligo di donare, obbligo non solo di ricevere,
ma soprattutto di ricambiare. Come peraltro avviene in occasione del nostro
Natale, quando ci tormentiamo al pensiero che il dono verso una persona non
costituisca un contraccambio adeguato a quello da noi ricevuto. A proposito di
doni obbligati, ci viene anzi detto che, in occasione dei Sigillaria, i ricchi
romani ave-vano preso l'abitudine di esigere dai loro clienti doni così costosi
che un tribuno, Publicio, intervenne direttamente con un provvedimento che
limitava questa pratica ai soli cerei, le candele tipiche della festa. Che
anche il potere legislativo si fosse interessato ai Sigillaria mette
ulteriormente in evidenza l'importanza di cui a Roma godeva questa festa.
Inutile dire però che si resta colpiti anche dal ruolo centrale occupato in
essa dai cerei, le candele, ritenute essenziali per la celebrazione dei
Sigillaria, e che dobbiamo immaginare destinate a illuminare le vie e le case
della città: luci di fine dicembre che tanto ricordano i costumi caratteristici
del nostro Natale, con i suoi festoni di lampadine. La cosa forse più
interessante, però, è che le "statuine" dei Sigillaria venivano
donate in particolare ai bambini, come Seneca usava fare con il piccolo Felicione.
Le si donava addirittura ai più piccoli, "quelli che non camminano
ancora", come giocattoli. Ora, se c'è una cosa che caratterizza il nostro
Natale, è proprio l'attenzione dedicata i bambini. È a loro che sono destinati
i regali che si fanno in famiglia, sono loro i piccoli eroi delle feste
natalizie. Lo si vede perfino dalle pubblicità che passano in televisione. Del
resto, nel Natale cristiano il personaggio principale non è forse un bimbo
adagiato in una mangiatoia? Un bambino divino, la cui nascita è salutata da un
coro di angeli e che, per coloro che credono, è addirittura destinato a salvare
il mondo.
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"Natale è il giorno dell'anno in cui abbiamo più nostalgia di quando eravamo bambini, quando ogni cosa ci incuriosiva e meravigliava. Perché vedevamo tutto con gli occhi del cuore e dalla vita ci aspettavamo solo cose positive. Andavamo a dormire correndo gioiosamente incontro al domani. Quando il futuro significava speranza ". (Agostino Degas). Il Natale è simbolo di rinascita, rinnovamento e quindi cambiamento, ma anche di speranza e fiducia che gli inverni dell'esistenza siano in grado di promuovere veri cambiamenti ed evoluzioni interiori. Grazie per questo post meraviglioso che mi ha aiutato a riflettere a lungo e molto piacevolmente. Buona continuazione.
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