“StoriedelNatale”. Ha scritto il
religioso Antonio Mazzi in “Vorrei un Natale
con meno lucine ma più carico di luci interiori” pubblicato sul settimanale
“Famiglia Cristiana” del 25 di dicembre 2022: Potrebbe diventare monotono:
regali, presepio, alberi, auguri dovunque in casa, fuori casa, in azienda, in
televisione e via via fino alla fine dell’anno, perché dopo inizia un altro
capitolo che ha lo stesso titolo ma contesti diversi. C’è notte e notte, augurio
e augurio, più banalità e (forse) meno genuinità di quelli del primo capitolo.
Ciò nonostante la vita, che è una cosa seria, tira diritto per la sua strada e
non bada alle moine. Per cui passando dalle parole ai fatti, con umiltà e
serietà dobbiamo sperare e magari essere protagonisti di azioni, gesti e scelte
diverse. È stato un anno quello passato, particolare, carico di dolori, guerre,
paure, politiche false, giovinezze deviate e cronache deliranti. Il nuovo che
sta arrivando deve in qualche modo, aggiustare i tiri. Io mi fermo al mio
mondo, per non perdermi nel nulla del tutto. Spero una scuola diversa, una
democrazia ribattezzata, una adolescenza amata, accolta, ascoltata ed accettata
dai padri. La mia lettura è pesante. Grossman ha ragione di dire che anche
questa epoca di follia insensata “la bontà spicciola, granello radio attivo
sbriciolato nella vita, non è scomparso”. È vero, ma io che faccio un po’ parte
dei granelli sbriciolati sono stufo. Vorrei una bontà costante, larga,
autentica, paziente oltre ogni pazienza e distribuita dal centro alla
periferia, dall’esteriore all’interiore, dalla briciola al pasto intero, dalla
misericordia alla eguaglianza, dalla giustizia, addomesticata su misura,
all’educazione fatta legge e diritto. Siamo meno cittadini e sempre più
individui. Sempre meno inseriti in reti di relazioni sociali e sempre più
isolati nonostante le connessioni virtuali. È più facile per noi trovare nemici
che amici e addirittura essere nemici degli altri e nemici di noi stessi. Il nostro
malessere sociale che da sempre esiste è esploso con il covid. Ci siamo privati
di un ideale più grande dell’interesse di ciascuno di noi, che sia riconosciuto
da tutti e per questo risulti in grado di unire le singole libertà. Dice
Toqueville: “Senza idee comuni non c’è azione comune e senza azione comune
esistono sì gli uomini, ma non un corpo sociale. Urge che tutti riusciamo a
mettere insieme alcune idee base”. Vorrei un Natale con meno luci sulle strade
e sui monumenti, ma carico di luci interiori, di gioie popolari e di
accoglienze fraterne. Di seguito “Nella
foresta incantata”, testo dello scrittore inglese Matt Haig pubblicato sul
quotidiano “la Repubblica” del 24 di dicembre ultimo: Avevo camminato per tutto il
giorno nella fitta foresta finlandese. Laura non era mai stata in Finlandia,
visto che le foreste non le interessavano. Forse questo spiegava tutto. Non
c'era niente, in Finlandia, che mi facesse pensare a lei. Ma soprattutto volevo
andare via per Natale; era una strategia di elusione. L'anno scorso mi ero
ritrovato in trappola. Intrappolato dal Natale, gravato dal peso del lutto,
incapace di uscire di casa. Tutti quei bovindi, quegli alberi di Natale e
quelle famiglie felici. Non stava funzionando. Anche qui, nella natura
selvaggia della Finlandia, non riuscivo a sfuggire all'assenza di speranza. Mi
rendevo conto che ci si poteva equipaggiare per tenere lontano il freddo, ma
non il dolore. E poi lo vidi. Il vecchio seduto a terra, con la schiena contro
un albero. L'albero era uguale a migliaia di altri che avevo già visto. Era un
pino, non un abete. L'uomo teneva gli occhi chiusi e portava un cappotto
marrone. Avrà avuto settant'anni, forse di più. La faccia, sopra la barba, era
arrossata, segnata dalle intemperie. Per un momento pensai che fosse morto. Era
immobile. Ma poi notai il leggero movimento della sua pancia rotonda. Era come
un sole che sorgeva, tramontava e sorgeva di nuovo. "Ah" disse con
sorriso gentile, come se fosse stato il padrone di casa in una festa a cui non
sapevo di essere stato invitato. "Eccoti qui. Quasi puntuale". Il suo
inglese era perfetto, perfino oltre gli standard scandinavi. "Quasi
puntuale?" ripetei, confuso. Dette una risata profonda. Poi si alzò,
puntando una mano a terra per fare leva. "Si sente bene, signore?"
chiesi. "Raramente" disse. "Ma non smetto di sperare. E bisogna
sempre sperare, no? A qualsiasi età". Non avevo una risposta. Come facevi
a sperare quando la cosa migliore di tutta la tua vita non c'era più? Un
fringuello atterrò accanto allo scarpone sinistro del vecchio. Si guardò
intorno, muovendosi a scatti come tutti gli uccelli. Il vecchio tese la mano e
chiuse gli occhi. "Spero proprio che questo uccello si posi sul mio
dito" disse. Era matto, pensai. Ovviamente. Cercai di farmi venire in
mente una scusa per allontanarmi. Il problema delle foreste è che tutte le
leggi che regolano la fuga nella vita moderna (riunioni a cui non puoi tardare,
ristoranti prenotati, negozi che stanno per chiudere) non valgono. Ma in quel
momento, mentre balbettavo la prima parola di una frase improvvisata,
l'uccellino volò sull'indice dell'uomo. Lui guardò la creatura con una tale
dolcezza e meraviglia che non sembrava affatto un vecchio. Avrebbe potuto avere
sette anni. Come se mi avesse letto nel pensiero, disse: "Ricordi quando
avevi nove anni, Sam?". Sam. Come faceva a sapere il mio nome? "Ti
ricordi quella casetta per gli uccelli che avevano i tuoi genitori? Ti ricordi
che vedevi gli uccelli che arrivavano e non trovavano il mangime? Ti ricordi
quella mattina di Natale, quando sei uscito a portare da mangiare agli uccelli
prima ancora di aprire i regali? Ti sei messo le pantofole di tuo padre e sei
uscito sul prato coperto di brina". Il terrore mi strinse il petto.
"Chi diavolo sei?". Lui guardò l'uccellino. "Ora vai. Di' che
sono pronto". "Senti, è meglio che vada... devo tornare indietro. Al
mio albergo. Se si fa buio rischio di non vedere il sentiero". Lui annuì,
saggiamente. "Se si fa buio rischi di non vedere il sentiero. Mai sentita
una cosa più vera. Ma il sentiero è comunque lì". "Scusa, non sono
molto bravo con gli indovinelli". "Tu una volta mi hai visto, non è
vero?". Gli avevo già voltato le spalle, e meno male, perché ora la mia
faccia era paralizzata dallo choc della consapevolezza improvvisa. O
quantomeno, della consapevolezza che forse stavo diventando matto. "Non ho
visto niente. Avevo una grande immaginazione, da bambino. Credevo a qualsiasi
cosa. Perfino alle renne volanti. Era una stella cadente". "Il
bambino è ancora lì, sai. Deve solo ritrovare un po' di speranza. Un po' di
fiducia". Chiusi gli occhi per contrastare la tristezza. Cercai di
controllare la voce. "È impossibile". Lui
guardò il cielo. "L'impossibilità è solo una possibilità che ancora non
capisci". Seguii il suo sguardo e lo vidi anch'io. Quello che aveva
visto da bambino. E in quel momento sentii un calore che non sentivo da tanto
tempo. Un calore che non aveva niente a che fare con i sette strati di vestiti
che avevo addosso.
"È impossibile, disse l'orgoglio. È rischioso, disse l'esperienza. È inutile, tagliò la ragione. Provaci, sussurrò il cuore". (Anonimo). "Chiunque ami crede nell'impossibile". (Elizabeth Barrett Browning). "Agli uomini di cuore, a coloro che si ostinano a credere nel sentimento puro. A tutti quelli che ancora si commuovono... Agli sconfitti che sono pronti a risorgere e a combattere di nuovo!" (Corrado d'Elia:"Don Chisciotte"). Grazie anche oggi per questo nuovo, stupendo post che alimenta la speranza e l'ottimismo. Ne avevo tanto bisogno. Grazie ancora e buona continuazione.
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