"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

venerdì 16 dicembre 2022

Eventi. 91 “Politica-Consapevolezza-Capacità”.  

“Politica-Consapevolezza-Capacità”. Ha scritto Maria Rita Gismondo - direttrice della facoltà di “Microbiologia clinica e virologia” dell’ospedale "Luigi Sacco" di Milano – in “Il neurone dell’incompetenza” pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 14 di dicembre 2022: Una ricerca dell'Università di Bologna su Plos Biology, spiega come esistano differenze neuronali tra consapevolezza e competenza. Il fatto che ci siano due diverse reti cerebrali distinte a regolarle, è spiegazione di molti comportamenti. È stato dimostrato che la nostra rappresentazione interna del mondo non sempre corrisponde alla realtà. L'acquisizione di competenze da un lato e consapevolezza delle proprie abilità dall'altro, sono aspetti dissociabili della nostra esperienza, spiega Paolo Di Luzi, primo autore del lavoro. Di solito, in uno sviluppo cerebrale fisiologico, sebbene capacità e consapevolezza viaggino su “binari" distinti, son concordanti: sono consapevole di saper dipingere, parallelamente alla capacità reale di dipingere. Esser consapevoli delle proprie capacità può rivelarsi vantaggioso nell'interazione con il mondo esterno: se sappiamo di esser stonati evitiamo di esibirci in pubblico. Ma non funziona sempre così. Non siamo fatti solo di meccanismi dovuti a cellule e geni: ha molta influenza l'esperienza, intesa sia come educazione ricevuta che vita vissuta. In infanzia e adolescenza, l'educazione di genitori e insegnanti può significativamente alterare, in negativo o in positivo, la nostra consapevolezza, fino a produrre un'alterazione della percezione dell'altro. Resta il pericolo d'una, più o meno completa, dissociazione tra consapevolezza e capacità. S'assiste sempre più a persone che, senza aver acquisito le dovute capacità, ha una consapevolezza alterata. Sono soggetti che, spesso a causa di un trascorso di umiliazione, mancata affermazione o eccessivo stimolo alla super-autostima, cerca un riscatto, un'affermazione personale nel sentirsi capaci di azioni o professioni assolutamente inadeguate al proprio grado di preparazione. Il pensiero non può non andare a figure istituzionali e politiche che - senza alcuna preparazione ed educazione scolastica adeguata - ricoprono, senza timore, cariche che richiederebbero un ben diverso curriculum. Oggi sappiamo che la causa fisiologica è la diversa rete neuronale che governa consapevolezza e capacità. Di seguito, “Mandare armi a Kiev senza sapere perché” di Massimo Cacciari pubblicato sul settimanale “L’Espresso” dell’11 di dicembre ultimo: Continuiamo a vivere un salto d’epoca con logiche e provvedimenti puramente emergenziali. Tra questi anche il fornire armi all’Ucraina. Se ne discute da una parte e dall’altra come fosse qualcosa valutabile di per sé, un fine e non un mezzo. Servono a che? Per vincere sul campo la Russia? Per costringerla alla resa? Per “riconquistare” la Crimea? Per disfare la Federazione russa (più di 80 soggetti federali, tra cui 22 Repubbliche autonome, in gran parte costituite da minoranze etniche - vi è perfino una piccolissima Repubblica ebraica all’estremo oriente dell’immensa Federazione, la quale confina, non si dimentichi, con gli stessi Stati Uniti)? Quale strategia si persegue? Assieme all’invio di armi quale iniziativa politico-diplomatica sta svolgendo l’Unione Europea? Che cosa si risponde alla Merkel, che ha detto apertis verbis di non essere stata ascoltata da anima viva? Forse con le battute propagandistiche della Presidente della Commissione, che chiede di istituire un tribunale speciale a senso unico per i crimini di guerra russi? Qualche giurista - o Kissinger - non potrebbe spiegare alla van der Leyden che cose simili si possono combinare solo a conflitti finiti e con il nemico schiacciato, e che parlarne ora con una guerra in atto, e di portata globale, può significare soltanto impedire o ostacolare qualsiasi percorso di pace?Se l’Europa non assumerà rapidamente la missione che la storia le ha affidato nel confronto tra i grandi spazi imperiali, ruolo di intesa, di mediazione, agente e promotore di tutte le riforme necessarie degli organismi internazionali, meta-statuali, al fine di farli finalmente funzionare (a partire dalla riforma della stessa Unione), i conflitti in atto sono destinati a continuare fino a un inevitabile punto di rottura. Potenti interessi economici tengono ancora insieme i pezzi del nostro globo, ma è pura illusione pensare che essi bastino a mantenere sine die l’attuale, fragilissimo equilibrio geo-politico. Piaccia o no ad arcaico-liberisti, è proprio la Politica ad aver ripreso il sopravvento, ad essersi rimessa tragicamente in marcia. E il solo soggetto in grado di fare oggi davvero una politica di pace sarebbe l’Europa. L’Europa che non c’è. Perdente o perduta?Come sembrano aver smarrito il significato storico della propria posizione geo-politica, così i Paesi europei sembrano aver dimenticato l’originalità, l’autonomia delle politiche sociali che li hanno caratterizzati per tutto il secondo dopoguerra almeno fino al nuovo Millennio. Erano politiche ridistributive, anche audaci, fondate sulla coscienza che democrazia e benessere, Stato di diritto e uguaglianza di opportunità formano un tutt’uno. Oggi i vincoli di un tempo sono divenuti obiettivi da perseguire. Il mantra ovunque ripetuto dei necessari “sacrifici”, come se l’imposizione di un’economia di quasi-guerra fosse l’effetto di un cataclisma naturale, imprevedibile e irrimediabile, copre l’assenza di politiche fiscali davvero progressive e lo sgretolamento dell’edificio, frutto di tante lotte, dello Stato sociale.I processi in atto tendono per loro natura a moltiplicare nell’Occidente disuguaglianze di ogni genere, alterano i rapporti di potenza economici e politici. Nulla di neutrale. E se ad essi si risponde con l’idea che politiche di “austerità” cadano equamente su tutti come la pioggia che ci manda il buon Dio, non sarà soltanto il nostro Welfare ad andare a pezzi, ma la credibilità stessa dell’ordine democratico. Più si indebolisce lo status economico e sociale del lavoro salariato e dipendente, più drammatica si fa la spaccatura tra precarizzazione delle masse dei giovani, dei pensionati e dei ceti medi e concentrazione della ricchezza in ristrette élite di potere, più la democrazia per sopravvivere dovrà ricorrere a meccanismi di controllo sociale, concentrare i processi decisionali, ridurre ruolo e peso della partecipazione alla vita politica, “demonizzare” i conflitti che di questa sono l’anima stessa. Meno la democrazia somiglierà alla democrazia - fino a non restarne che la memoria. 

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