Scrive Nietzsche: «Tutti vogliono
le stesse cose, tutti sono uguali: chi sente diversamente va da sé al manicomio».
(…) Se dopo il crollo del muro di Berlino si è diffuso nel mondo il pensiero
unico, in Italia, oltre al pensiero, si è diffuso anche il “sentimento unico”
che guarda al massimo con compatimento, quando non con disinteresse e a colpi
di rimozione, i più disagiati della terra, che non sono solo i migranti, ma
quanti ogni giorno perdono il lavoro e, nella scala sociale, scendono ai
livelli minimi di povertà. Il sentimento unico esonera dal pensiero e fa da
linea guida acritica alle proprie convinzioni, che diventano ogni giorno sempre
più radicate, perché, a differenza del pensiero, il sentimento non è mai
attraversato dal dubbio, per coltivare il quale bisognerebbe avere fonti di
informazioni che non si riducano ai programmi televisivi, dove parlare di
disagio, di sofferenza, di ingiustizia, non solo non fa ascolti, ma addirittura
infastidisce. (…). …occultare la realtà, indebolire le fonti di acculturazione,
dalla scuola all'università, all'editoria, oggi più attenta agli autori di
successo che alle idee, indebolisce il senso critico e fa sentire chi la pensa
diversamente fuori tempo, senza referenti, senza rappresentanti, senza
speranza, finché, per evitare l'isolamento e la solitudine, si adegua, e si
adagia in quello stato di passività emotiva che toglie slancio e voglia di
impegno. Tutto ciò può essere vantaggioso sul presente a chi governa, ma che
futuro può attendere un popolo ridotto a massa inerte che assorbe tutto e non
reagisce più?. Ove si parla di seguito – “Parte terza. L’uomo gretto” -
della “grettezza”, della quale magistralmente ne scriveva il professor Umberto
Galimberti in una Sua corrispondenza del 17 di aprile dell’anno 2010,
corrispondenza pubblicata sul supplemento “D” del quotidiano “la Repubblica”
col titolo “Il sentimento unico”, corrispondenza
che ho appena trascritto in parte. E la memoria di quella autorevolissima
riflessione e la sua ricerca affannosa tra i miei ritagli, per associarla alla
parte terza dell’”Antropologia del
conformista che fugge dalla libertà” del professor Gustavo Zagrebelsky, che
trascrivo, penso rappresenti un giusto tratto d’unione poiché essa,
l’autorevole riflessione intendo dire, individua e delinea la “misura” esatta
della figura nuova che emerge dai “tipi umani” tratteggiati in quello
straordinario intervento del professor Zagrebelsky, intervento tenuto il 16 di
giugno dell’anno 2011 all’Auditorium della Musica di Roma nell’ambito delle
lezioni “Le parole della politica”, intervento
pubblicato sul quotidiano “la Repubblica”: (…). L'uomo gretto è interessato solo a ciò
che tocca la piccola sfera dei suoi interessi privati, indifferente o
sospettoso verso la vita che si svolge al di là, che chiama spregiativamente la
politica. Rispetto alle questioni comuni, il suo atteggiamento l'ipocrita
superiorità: certo gli uni hanno torto, ma nemmeno gli altri hanno ragione,
dunque è meglio non immischiarsi. La grettezza è incapace di pensieri generali.
Al più, in comune si coltivano piccoli interessi, hobby, manie, peccatucci
privati, unitamente a rancori verso la società nel suo insieme. Nell'ambiente
ristretto dove si alimentano queste attività e questi umori, ci si sente sicuri
di sé e aggressivi ma, appena se ne esce, si è come storditi, spersi,
impotenti. La grettezza si accompagna al narcisismo e alla finta ricerca della
cosiddetta autenticità personale che si traduce in astenia politica accompagnata
dal desiderio d'esibirsi. In apparenza, è profondità esistenziale; in realtà è
la vuotaggine della società dell'immagine. Il profeta della società gretta è
Alexis de Tocqueville, nella sua analisi della uguaglianza solitaria: vedo una
folla innumerevole di uomini simili ed eguali che girano senza posa su se
stessi per procurarsi piccoli, volgari piaceri. Ciascuno di loro, tenendosi
appartato, è estraneo al destino degli altri: se ancora gli rimane una
famiglia, si può dire almeno che non abbia più patria. Su questa massa
solitaria s'innesta la grande, terribile e celebre visione del dispotismo
democratico: ‘al di sopra di costoro s'innalza un potere immenso e tutelare,
che s'incarica da solo di assicurare il godimento dei loro beni e di vegliare
sulla loro sorte. È assoluto, particolareggiato, regolare, previdente e mite.
Ama che i cittadini siano contenti, purché non pensino che a stare contenti’.
Ora, chi invoca su di sé un potere di tal genere, immenso e tutelare, è un uomo
libero o è un bambino fissato nell'età infantile? (…).
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