A lato. Albrecht Durer. "Melenconia".
Tratto da “Malinconia,
non sei più quella di una volta” di Roberto Esposito, pubblicato sul
quotidiano la Repubblica del 10 di novembre 2019: (…). Il presupposto (…) è l'idea,
presente già in Freud, che non esista rigida separazione tra vicende
individuali ed eventi collettivi. Se ciò è vero, gli uni possono servire a
spiegare gli altri, in una relazione, mai meccanica, che getta nuova luce su
entrambi. La storia di questi anni, non solamente italiana, ritrova in tal modo
una leggibilità che spesso manca agli studi sociologici o politologici,
incapaci di discernere il significato di fenomeni apparentemente
contraddittori. Come interpretare, per esempio, il passaggio repentino dagli
anni del berlusconismo, percorsi da una promessa di godimento illimitato, alla
situazione attuale, segnata invece da una sindrome securitaria sempre più
irrigidita? È proprio su questo paradosso che lavora Recalcati con gli
strumenti raffinati di una psicoanalisi libera dal vincolo letterale con i
testi canonici. In base ad essa è possibile ricostruire la sedimentazione di
tre stati d'animo diversi che si sono alternati, non sostituendosi ma
contaminandosi tra loro, nel giro di pochi decenni. Li si possono riconoscere,
nella loro fenomenologia, dalla differente relazione tra soggetto e oggetto. Se
nella prima stagione, riconducibile agli anni Sessanta e Settanta, è prevalso,
soprattutto tra i giovani, una presa di distanza critica dal "feticismo
degli oggetti", la situazione si è capovolta negli anni successivi.
L'edonismo consumistico ha preso il posto delle passioni politiche, in un vero
e proprio culto degli oggetti - si pensi alla diffusione illimitata degli
smartphone che ci assillano anche negli ambienti più riposti. Ma questa
moltiplicazione compulsiva degli oggetti, provocata dal crollo delle ideologie,
anziché riempire il vuoto di senso che scava le nostre esistenze, lo ha
allargato a dismisura, determinando quelle (…) nuove melanconie. Diversamente
dalla melanconia luttuosa, di cui parla Freud, caratterizzata da senso di colpa
nei confronti di una legge troppo severa, le malinconie contemporanee nascono
dall'incapacità di conferire senso all'esperienza, come genialmente racconta
Sartre ne La nausea. Priva di desiderio, chiusa in se stessa, la vita è
inchiodata alla propria insensatezza, mentre il corpo diventa un peso morto da
trascinare. Il soggetto, sottratto al rapporto simbolico con l'alterità, resta
schiacciato sui propri confini, abbarbicandosi a essi come all'unica salvezza
possibile. Mai come in questo caso fenomenologie individuali e dinamiche
sociali rimandano le une alle altre in una sindrome che ha al proprio centro la
richiesta ossessiva di protezione. Il muro, il filo spinato, la chiusura
diventano l'emblema, escludente e mortifero, del nostro tempo. (…). …dalla
ricerca illimitata di godimento all'assunzione del confine come nuovo oggetto
d'investimento. Ma attenzione a contrapporli. I due stati emotivi sono in fondo
uno l'esito rovesciato dell'altro. A congiungerli è la stessa pulsione di morte
- situata in Al di là del principio del piacere di Freud al fondo stesso della
vita. Sotto la sua spinta l'eccesso di immunizzazione si tramuta in malattia
autoimmune, rovesciando la tendenza alla conservazione della vita nella sua
distruzione. Finché non si sarà penetrati a fondo in questo dispositivo
inquietante - vera scatola nera della psicoanalisi - non sarà possibile venire
a capo dei disagi, vecchi e nuovi, della civiltà. Ciò che è difficile
sciogliere è il nodo segreto che stringe la pulsione di morte all'assoluta
volontà di vita. La morte non è il nemico che dall'esterno insidia la vita, ma
qualcosa che essa stessa produce per contrasto allorché cancella il proprio
limite costitutivo. La vertigine della morte è l'esito necessario di una vita
sciolta dalla coscienza della propria vulnerabilità, integralmente coincidente
con se stessa, sottratta alla relazione cogli altri. Il vitalismo sfrenato,
predicato anche da una filosofia che ha rotto i ponti con la categoria di
negativo, non si accorge di marciare contro se stesso. (…). L'illusione che
tutto sia governabile - nella vita individuale e collettiva - conduce gli
uomini alla catastrofe. Solo se essi impareranno a convivere con l'ingovernabile
- a dialogare con l'estraneo che li abita - saranno in grado di governare anche
se stessi.
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