Ove si discorre delle intriganti figure
dei “liberi
servi”, figure che nel bel paese s’affacciano con prepotenza, con smisurata
arroganza, tanto da volerne diffondere le ignobili, infide loro nature ed
essenze per le ridenti ed ubertose contrade dell’italica terra; ché l’essere “servi”
sembra essere titolo di merito per acquartierarsi presso il signorotto di turno
e raccoglierne dalla tavola, all’uopo imbandita, ciò che sono i resti del suo lauto
banchettare; ora che tutto ciò sale alla ribalta delle cronache con la
inevitabile, dissacrante caduta negli spiriti di quel che un tempo era per i
popoli tutti l’aspirazione ad essere uomini compiutamente e completamente
liberi; ora, mi preme trascrivere cosa ne pensasse dei “liberi servi “ del Suo
tempo Etienne de La Boétie (1530-1563) in quel Suo straordinario libello che ha
per titolo “Discorso sulla servitù
volontaria” – Chiarelettere editrice (2011), pagg. 71, € 7,00 –. Autore
grande e prematuramente mancato Etienne de La Boétie, che il professor Gustavo
Zagrebelsky ha citato nella parte prima del Suo “Antropologia del conformista che fugge dalla libertà” e dal quale
autorevole ultimo Suo lavoro, pubblicato sul quotidiano “la Repubblica”, si
trascriverà di seguito la parte seconda. Scriveva Etienne de La Boétie: “(…). Quale vizio, o meglio quale
orribile vizio vedere un numero infinito di uomini non obbedire ma servire; non
essere governati, ma tiranneggiati, senza più avere come propri né beni, né
genitori, né donne, né figli e neanche la loro stessa vita; subire le rapine, i
brigantaggi, le crudeltà non da un esercito, non da un’onda di barbari, contro
cui si dovrebbe dare il proprio sangue e la propria vita, ma da uno solo; non
da un Ercole o da un Sansone, ma da un qualche omuncolo che spesso è il più
vigliacco e il più effeminato della nazione; non da uno avvezzo alla polvere
delle battaglie, ma da chi a mala pena è abituato alla sabbia dei tornei; non da
uno capace con la forza di comandare degli uomini, ma da chi è incapace di
servire vilmente l’ultima donnicciola. Definiremo tutto ciò mollezza?
Chiameremo vili e codardi gli uomini che servono? Se due, se tre, se quattro
cedono a uno solo è cosa strana, ma comunque possibile; forse a buon diritto
potremmo dire che è mancanza di coraggio. Ma se cento, se mille sopportano uno
solo, non si dirà forse che non vogliono, e non già che non possono
affrontarlo, e che non è per viltà quanto per abiezione e mancanza di dignità?
(…). “Abiezione e mancanza di dignità”: chi ne possegga in cotanta
misura da menarsene vanto assai è come una rapa dalla quale diviene
impresa stolta e vana volerne ricavare un delizioso nettare. Parte seconda, ove
si tratteggia la figura dell’”opportunista”: (…). L'opportunista è un carrierista,
disposto a mettersi al traino. Il potere altrui è la sua occasione, quando gli
passa vicino e riesce ad agganciarlo. Per ottenere favori e protezione, che
cosa può dare in cambio? Piaggeria e fedeltà, cioè rinuncia alla libertà.
Messosi nella disponibilità del protettore, cessa d'essere libero e si trasforma in materiale di costruzione di sistemi di potere. Così, a partire dalla libertà, si creano catene soffocanti che legano gli uni agli altri. Si può illudersi d'essere liberi. Lo capisci quando chi ti sta sopra ti chiede di pagare il prezzo dei favori che hai ricevuto. Allora, t'accorgi d'essere prigioniero d'una struttura di potere basata su favori e ricatti, che ti prende dal basso e ti solleva in alto, a misura del tuo servilismo. Quel de la Boétie, già nominato, ha descritto questo meccanismo. Il segreto del dominio sta in un sistema a scatole cinesi: un capo, circondato da pochi sodali che, distribuendo favori e cariche, a loro volta ne assoldano altri come complici in prevaricazioni e nefandezze, e questi altri a loro volta. Così la rete si estende, da poche unità, a centinaia, a migliaia, a milioni. Alla fine, il numero degli oppressori è quasi uguale a quello degli oppressi, perché appena compare una cricca, tutto il peggio, tutta la feccia degli ambiziosi fa gruppo attorno a lui per aver parte al bottino. Il tiranno genera tirannelli. Ma questi sono uomini liberi o parassiti come quelli che infestano il regno animale e vegetale? (…).
Messosi nella disponibilità del protettore, cessa d'essere libero e si trasforma in materiale di costruzione di sistemi di potere. Così, a partire dalla libertà, si creano catene soffocanti che legano gli uni agli altri. Si può illudersi d'essere liberi. Lo capisci quando chi ti sta sopra ti chiede di pagare il prezzo dei favori che hai ricevuto. Allora, t'accorgi d'essere prigioniero d'una struttura di potere basata su favori e ricatti, che ti prende dal basso e ti solleva in alto, a misura del tuo servilismo. Quel de la Boétie, già nominato, ha descritto questo meccanismo. Il segreto del dominio sta in un sistema a scatole cinesi: un capo, circondato da pochi sodali che, distribuendo favori e cariche, a loro volta ne assoldano altri come complici in prevaricazioni e nefandezze, e questi altri a loro volta. Così la rete si estende, da poche unità, a centinaia, a migliaia, a milioni. Alla fine, il numero degli oppressori è quasi uguale a quello degli oppressi, perché appena compare una cricca, tutto il peggio, tutta la feccia degli ambiziosi fa gruppo attorno a lui per aver parte al bottino. Il tiranno genera tirannelli. Ma questi sono uomini liberi o parassiti come quelli che infestano il regno animale e vegetale? (…).
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