Tratto da “Pur
ridicolo, il nazi è nazi: serve da controfigura e utile idiota delle destre”
di Alessandro Robecchi, pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 13 di novembre
2019: (…). La storia è nota: un consigliere comunale di Bologna, Marco Lisei,
meloniano di Fratelli d’Italia, insieme a un deputato della Repubblica,
Galeazzo Bignami, meloniano di Fratelli d’Italia anche lui (ma ex Forza
Italia), videocamera alla mano, si sono fatti una passeggiata tra le case
popolari di Bologna. Hanno così certificato che sui citofoni molti non si
chiamano Rossi o Fabbri, come le nostre radici cristiane ci imporrebbero, ma
nomi strambi, anche con delle h o delle k. La cosa ha molto turbato i due, che
hanno preso al volo quella china dell’ottovolante che conduce alla cretineria
assoluta: invasione, prima gli italiani, l’Emilia da liberare, eccetera
eccetera. Non tragga in inganno il fatto che i due caratteristi,
nell’irresistibile inquadratura-selfie-comizio, sembrino più Totò e Peppino in
piazza del Duomo invece che due camicie brune al lavoro, è la solita questione
della storia come tragedia e come farsa. Quanto alla camicia bruna, il Bignami
ce l’ha veramente, esistono foto che lo ritraggono mentre la indossa, con tanto
di pugnale e fascia al braccio con la svastica, e ancora nel relax post
prandiale con bandieroni della Repubblica di Salò e del partito hitleriano alle
pareti. È roba vecchia, di quand’era capogruppo di Forza Italia in regione, e
lui si difese dicendo… indovinate? Goliardia: era il suo addio al celibato (che
bella festa, forse pioveva, se no andava a cercare Anna Frank sui citofoni con
gli amici). Naturalmente i due incursori hanno dovuto togliere il video dai
loro social, nonostante avessero detto esplicitamente che della privacy se ne
fottevano alla grande (un sincero “me ne frego”, con la retromarcia, però), ma
resta l’enormità di un deputato della Repubblica che se ne va in giro a
schedare i citofoni. Piccola storia istruttiva, ma non l’unica. Il fascista
tira, produce quel momentaneo, sterile accaloramento che hanno le provocazioni,
oppure viene esibito come un tempo la donna barbuta o il mangiafuoco nelle
fiere di paese. Paolo De Debbio, per dirne uno che fa quel giochetto lì,
esibisce nel suo programma un certo Brasile, energumeno-borgataro-fascista, con
duplice effetto. Il primo: minimizzare e fare del nazismo di periferia una
macchietta quasi patetica, e al tempo stesso aprire, sdoganare, inserire nella
normale dialettica popolar-sovranista un elemento – lo squadrista più o meno
ripulito – come se fosse un interlocutore normale.
Interessante il sottopancia che scorreva mentre il camerata Brasile in primo piano diceva cose come “Nella borgata mia devi fa’ quello che dico io”; una scritta illuminante, una vera dichiarazione di poetica: “L’odio della sinistra: la destra è fascista”. Un ribaltamento così sfacciato che sembra una rivendicazione, non più sdoganamento di un’ideologia coi suoi maestri e i suoi mostri, ma un fattivo, operoso fiancheggiamento, cosa che fanno ogni giorno i giornali della destra. La sensazione, insomma, è che ai bravi “liberali” e “sovranisti” e leghisti e meloniani, tutto ‘sto fiorire di volenterosi filonazi (nei comportamenti, nei gesti, nelle parole, nelle scritte sul corpo) non dispiaccia per niente, anzi. È come avere delle controfigure per le scene pericolose: gli squadristi dicono cose raccapriccianti su discriminazione, odio razziale, pulizia etnica, e i potentati politici annuiscono con aria pensosa, quando non incoraggiano apertamente il testacoda ideologico (Salvini che si paragona alla signora Segre per minacce, ne è un buon esempio). Il nazi è nazi, poi è goliardo quando lo sgamano, d’accordo, ma è tanto utile, signora mia.
Interessante il sottopancia che scorreva mentre il camerata Brasile in primo piano diceva cose come “Nella borgata mia devi fa’ quello che dico io”; una scritta illuminante, una vera dichiarazione di poetica: “L’odio della sinistra: la destra è fascista”. Un ribaltamento così sfacciato che sembra una rivendicazione, non più sdoganamento di un’ideologia coi suoi maestri e i suoi mostri, ma un fattivo, operoso fiancheggiamento, cosa che fanno ogni giorno i giornali della destra. La sensazione, insomma, è che ai bravi “liberali” e “sovranisti” e leghisti e meloniani, tutto ‘sto fiorire di volenterosi filonazi (nei comportamenti, nei gesti, nelle parole, nelle scritte sul corpo) non dispiaccia per niente, anzi. È come avere delle controfigure per le scene pericolose: gli squadristi dicono cose raccapriccianti su discriminazione, odio razziale, pulizia etnica, e i potentati politici annuiscono con aria pensosa, quando non incoraggiano apertamente il testacoda ideologico (Salvini che si paragona alla signora Segre per minacce, ne è un buon esempio). Il nazi è nazi, poi è goliardo quando lo sgamano, d’accordo, ma è tanto utile, signora mia.
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