Tratto da “Non
ci sono più valori? Allora sta a noi trovarli” di Umberto Galimberti,
pubblicato sul settimanale “D” del quotidiano la Repubblica dell’8 di novembre
dell’anno 2014: Uscire dall'attesa e usare più attivamente la fantasia. È la sola
possibilità per i giovani d'oggi di vincere la passività della rassegnazione. Nel
1887 Nietzsche scriveva: «Il nichilismo è alle porte: da dove ci viene costui,
il più inquietante degli ospiti?».
Dopo questo annuncio, qualche mese dopo scriveva: «Mi capirete tra cinquant'anni». Noi ce ne abbiamo messi centocinquanta per comprenderlo, ma già nel 1956 Martin Heidegger scriveva: «Nietzsche chiama il nichilismo "il più inquietante fra tutti gli ospiti", perché ciò che esso vuole è lo spaesamento come tale. Per questo non serve a niente metterlo alla porta, perché ovunque, già da tempo e in modo invisibile, esso si aggira per la casa. Ciò che occorre è accorgersi di quest'ospite e guardalo bene in faccia». (…). Guardare bene in faccia il nichilismo significa abbandonare quelle che io considero "parole della passività" come "speranza", "augurio", "auspicio", che lasciano intendere che qualcuno provvederà a darci un futuro e a noi non resta che attenderlo. Non è così. Nietzsche invita al "nichilismo attivo", che può prendere avvio solo guardando bene in faccia il nichilismo che lui così definisce: «Manca lo scopo, manca la risposta al "perché?". Che significa nichilismo? Che i valori supremi perdono ogni valore». Ora, che i valori si svalutino non è un grosso problema. I valori non sono entità metafisiche che scendono dal cielo o hanno fondamenti immutabili. I valori sono dei semplici coefficienti sociali con cui una società cerca di vivere con la minor conflittualità possibile. Prima della Rivoluzione Francese, ad esempio, la società era ordinata secondo valori gerarchici, dopo la rivoluzione la società si regolò, almeno formalmente, secondo valori di cittadinanza. Se i valori non cambiassero saremmo ancora all'età dei babilonesi. Nichilismo è quando un sistema di valori crolla e non ne nasce un altro. O, come diceva Hölderlin: «Che più non son gli dèi fuggiti e ancor non sono i venienti». Più importante è che "manca lo scopo". Il futuro, che la cultura occidentale, su ispirazione cristiana, ha sempre pensato come una "promessa" o almeno come una "speranza", oggi appare come una minaccia, o perlomeno, soprattutto per voi giovani, come "imprevedibile". E quando il futuro è imprevedibile retroagisce come demotivazione. "Perché devo studiare? Perché devo lavorare?". A questo punto, come dice opportunamente Nietzsche: «Manca la risposta al perché». "Perché devo impegnarmi?" E al limite, "Perché devo vivere?". Se questa è la situazione, e la situazione è questa, accanto alla strada del "nichilismo passivo" di chi si rassegna, abbiamo la strada del "nichilismo attivo" di chi, per averlo guardato bene in faccia, non si nutre di attese, speranze o auspici, ma prende in mano la sua vita, partendo da lì, perché il giovane sa che il futuro è comunque suo, e se non se lo prende, nessuno glielo regala. Circa il modo di prenderselo, la scelta la lascio a voi giovani. Avete la biologia a vostro vantaggio e, se la rassegnazione non vi divora, anche la fantasia. Forse vi serve solo un po' di forza d'animo.
Dopo questo annuncio, qualche mese dopo scriveva: «Mi capirete tra cinquant'anni». Noi ce ne abbiamo messi centocinquanta per comprenderlo, ma già nel 1956 Martin Heidegger scriveva: «Nietzsche chiama il nichilismo "il più inquietante fra tutti gli ospiti", perché ciò che esso vuole è lo spaesamento come tale. Per questo non serve a niente metterlo alla porta, perché ovunque, già da tempo e in modo invisibile, esso si aggira per la casa. Ciò che occorre è accorgersi di quest'ospite e guardalo bene in faccia». (…). Guardare bene in faccia il nichilismo significa abbandonare quelle che io considero "parole della passività" come "speranza", "augurio", "auspicio", che lasciano intendere che qualcuno provvederà a darci un futuro e a noi non resta che attenderlo. Non è così. Nietzsche invita al "nichilismo attivo", che può prendere avvio solo guardando bene in faccia il nichilismo che lui così definisce: «Manca lo scopo, manca la risposta al "perché?". Che significa nichilismo? Che i valori supremi perdono ogni valore». Ora, che i valori si svalutino non è un grosso problema. I valori non sono entità metafisiche che scendono dal cielo o hanno fondamenti immutabili. I valori sono dei semplici coefficienti sociali con cui una società cerca di vivere con la minor conflittualità possibile. Prima della Rivoluzione Francese, ad esempio, la società era ordinata secondo valori gerarchici, dopo la rivoluzione la società si regolò, almeno formalmente, secondo valori di cittadinanza. Se i valori non cambiassero saremmo ancora all'età dei babilonesi. Nichilismo è quando un sistema di valori crolla e non ne nasce un altro. O, come diceva Hölderlin: «Che più non son gli dèi fuggiti e ancor non sono i venienti». Più importante è che "manca lo scopo". Il futuro, che la cultura occidentale, su ispirazione cristiana, ha sempre pensato come una "promessa" o almeno come una "speranza", oggi appare come una minaccia, o perlomeno, soprattutto per voi giovani, come "imprevedibile". E quando il futuro è imprevedibile retroagisce come demotivazione. "Perché devo studiare? Perché devo lavorare?". A questo punto, come dice opportunamente Nietzsche: «Manca la risposta al perché». "Perché devo impegnarmi?" E al limite, "Perché devo vivere?". Se questa è la situazione, e la situazione è questa, accanto alla strada del "nichilismo passivo" di chi si rassegna, abbiamo la strada del "nichilismo attivo" di chi, per averlo guardato bene in faccia, non si nutre di attese, speranze o auspici, ma prende in mano la sua vita, partendo da lì, perché il giovane sa che il futuro è comunque suo, e se non se lo prende, nessuno glielo regala. Circa il modo di prenderselo, la scelta la lascio a voi giovani. Avete la biologia a vostro vantaggio e, se la rassegnazione non vi divora, anche la fantasia. Forse vi serve solo un po' di forza d'animo.
Carissimo Aldo, leggendo questo post, mi è tornata alla mente la conclusione a cui giunge il Professor Galimberti in un dialogo con Marco Guzzi sul Nichilismo: "Marco Guzzi ci ha detto che dobbiamo uscire dalla modalità egoica che abbiamo della realtà e io sono completamente d'accordo con lui. Bisogna però trovare la strada e Platone ce la indica... Questo significa che la strada è l'Amore". Forse è questa una strada per abbandonare il nichilismo, la cultura del "niente ha un senso" che "degenera nell'apologia della derisione da una parte, o in quella della violenza, dall'altra"(Philippe Barbarin). Uno spiraglio per uscire dal nichilismo può essere intravisto, quindi, nell'amore, a cominciare, come afferma lo stesso Galimberti, in un'altra intervista, non da un amore narcisistico, ma dal vero amore di sé :"Mi fido di me e sono sicuro di realizzarmi". Amore quest'ultimo che nasce da quella identità che ogni giovane deve essere aiutato ad acquisire nell'ambiente familiare e in quello scolastico. Agnese A.
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