Tratto da “Il
silenzio è d’oro” di Marco Travaglio, pubblicato su “il Fatto Quotidiano”
del 13 di novembre 2019: (…). Cosa Nostra, ai picciotti e agli amici che parlano, di solito
riserva una brutta fine. E B. l’ha già irritata abbastanza, a giudicare dagli
sfoghi furibondi contro di lui del boss Giuseppe Graviano, captati in carcere
qualche anno fa dalle microspie della Procura di Palermo. Non che si sia
risparmiato, nei nove anni dei suoi tre governi: di leggi pro mafia ne ha fatte
varie e tentate altre, per non parlare dei messaggi amichevoli inviati: continui
attacchi ai pentiti, al 41-bis, al 416-bis, all’ergastolo ostativo, panegirici
a Vittorio Mangano (“un eroe” perché non aveva parlato), campagne denigratorie
contro magistrati, investigatori, giornalisti, scrittori, programmi tv
antimafia (“Basta con questa Piovra”). Ma le attese dei mafiosi per le promesse
fatte da lui o chi per lui erano ben più ambiziose dei risultati ottenuti.
Meglio non farli incazzare vieppiù, non si sa mai. E poi mettetevi nei suoi
panni: un conto è raccontare frottole giocando in casa, nei propri studi tv
davanti ai propri impiegati. Un altro è raccontarle ai giudici togati e
popolari di una Corte di assise d’appello, ai Pg e agli avvocati. Quelli dei
boss e dei carabinieri che condussero la Trattativa. E quelli dell’amico Marcello,
condannato a 7 anni definitivi per concorso esterno e ad altri 12 in primo
grado per “violenza o minaccia a corpo politico”. Cioè al primo governo B.. In
pratica Dell’Utri, se la condanna fosse confermata anche in appello e in
Cassazione, tornerebbe in galera per altri 12 anni per aver aiutato la mafia a
minacciare il primo governo B. a suon di stragi. Dunque B. è vittima della
joint venture Dell’Utri-Cosa Nostra, anche se non s’è mai costituito parte
civile, né mai lo farà: altrimenti Dell’Utri potrebbe incazzarsi ancor più di
quanto già non lo sia dopo la scena muta. I suoi legali hanno anche tentato di
far proiettare in aula un’intervista dell’amico Silvio sulla sentenza
Trattativa: quella in cui B. assicura che “non abbiamo ricevuto nel ’94 né successivamente
nessuna minaccia dalla mafia o dai suoi rappresentanti”. Ma i giudici si sono
accontentati della trascrizione, per quel che vale la parola di un bugiardo
matricolato, anzi abituale. Nei processi, purtroppo, funziona così: se un teste
racconta balle, si assume tutti i rischi penali del caso, ma soprattutto
magistrati e avvocati possono fargli contro-domande per sbugiardarlo. E, fra
domande e contro-domande, a B. non sarebbe bastato un mese di udienze. Chi era
per lui Mangano: uno stalliere o un mafioso? No, perché negli anni 70 e 80,
ogni volta che subiva un attentato, B. lo attribuiva a Mangano, mostrando di
sapere benissimo chi fosse. E allora perché s’è tenuto accanto per 45 anni
Dell’Utri, prima in azienda e poi in Parlamento, visto che era stato proprio
lui a raccomandargli e a mettergli in casa fra il 1974 e il ’76 quel bocciolo
di rosa?
Perché, ogni volta che sospettava di un delitto di Mangano, non lo denunciava ai carabinieri? Perché dal 1974 al 1994 (quand’era già premier) – come si legge nella sentenza Trattativa (ma anche, fino al ’92, in quella definitiva della Cassazione su Dell’Utri) – pagò semestralmente fior di milioni a Cosa Nostra, sempre tramite Marcello? Perché nel ’94 il suo primo decreto, firmato dal ministro Biondi e passato alla storia come “Salvaladri”, conteneva una norma che aboliva l’arresto obbligatorio per i mafiosi e una che obbligava i pm a svelare agli avvocati dei mafiosi se i loro clienti erano indagati? Chi le infilò in quel decreto? Fu per caso Dell’Utri a suggerirle, visto che – in base alle sue agende e alla sentenza Trattativa – fra il ’93 e il ’94 incontrò spesso il vecchio Mangano (nel frattempo condannato per mafia e droga al maxiprocesso) fra Milano e Como? Ecco: provate voi a rispondere a domande del genere e a continuare a fare politica: potrebbe essere impossibile persino in Italia. Meglio tacere e sperare in bene. Nel 2002 i pm del processo per mafia a Marcello andarono a Palazzo Chigi per interrogare B. che, già allora, si avvalse della facoltà di non rispondere. E Dell’Utri si beccò 7 anni di galera. Ora, onde evitare di tornarci per altri 12, gli ha chiesto lui di testimoniare: altra scena muta. Manca solo che si incazzi Dell’Utri e parli, o faccia parlare qualche compare. Non l’augureremmo neppure al nostro peggior nemico. Figurarsi a un amico come Silvio.
Perché, ogni volta che sospettava di un delitto di Mangano, non lo denunciava ai carabinieri? Perché dal 1974 al 1994 (quand’era già premier) – come si legge nella sentenza Trattativa (ma anche, fino al ’92, in quella definitiva della Cassazione su Dell’Utri) – pagò semestralmente fior di milioni a Cosa Nostra, sempre tramite Marcello? Perché nel ’94 il suo primo decreto, firmato dal ministro Biondi e passato alla storia come “Salvaladri”, conteneva una norma che aboliva l’arresto obbligatorio per i mafiosi e una che obbligava i pm a svelare agli avvocati dei mafiosi se i loro clienti erano indagati? Chi le infilò in quel decreto? Fu per caso Dell’Utri a suggerirle, visto che – in base alle sue agende e alla sentenza Trattativa – fra il ’93 e il ’94 incontrò spesso il vecchio Mangano (nel frattempo condannato per mafia e droga al maxiprocesso) fra Milano e Como? Ecco: provate voi a rispondere a domande del genere e a continuare a fare politica: potrebbe essere impossibile persino in Italia. Meglio tacere e sperare in bene. Nel 2002 i pm del processo per mafia a Marcello andarono a Palazzo Chigi per interrogare B. che, già allora, si avvalse della facoltà di non rispondere. E Dell’Utri si beccò 7 anni di galera. Ora, onde evitare di tornarci per altri 12, gli ha chiesto lui di testimoniare: altra scena muta. Manca solo che si incazzi Dell’Utri e parli, o faccia parlare qualche compare. Non l’augureremmo neppure al nostro peggior nemico. Figurarsi a un amico come Silvio.
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