(…). Disse allora un ricco:
parlaci del dare. Ed egli rispose: voi non date che cosa di poco conto quando
date qualcosa dei vostri beni. È quando date qualcosa di voi stessi che date
veramente. Poiché cosa sono i vostri beni se non cose che serbate e custodite
per paura di averne bisogno domani? E domani, che cosa porterà il domani al
cane troppo prudente che nasconde gli ossi nella sabbia che non lascia tracce
mentre segue i pellegrini diretti alla città santa? E che cos’è la paura del
bisogno se non il bisogno stesso? E la paura della sete quando il vostro pozzo
è pieno, non è forse insaziabile sete? (…). Così ha scritto nel Suo
straordinario libro “Il Profeta”
Kahlil Gibran. È oggigiorno tutto un fiorire ed un parlare della necessità di un
nuovo rinascimento dello spirito negli abitatori del bel paese. Sembra, a
sentire questi pensatori pensosi assai, che dal lungo sonno riemergerà il bello
ed il buono che sembrava essersi dissolto e svaporato dalle verdi contrade
dell’italico paese. Sembra che una nuova grazia ed una armonia nuova, che più
armonica non la si potrebbe pensare o immaginare, possa riapparire
all’orizzonte a scacciare con decisione la malagrazia, lo strepitare scomposto
dei malmostosi del bel paese. Sarà il bene a vincere e a dominare il futuro
nostro prossimo? Come non sperarlo? Come non auspicarlo per vecchi e giovani e
financo per quelli che non sono ancora in Terra? Sembra che sia un tutto interrogarsi
cosa sia e su dove stia il “bene comune”, ove esso abbia
albergato nei perigliosi nostri ultimi anni che sembrano d’improvviso essersi
chiusi definitivamente. Non ho cuore per dubitarne. Non ho cuore per interrogarmi
sulla validità delle analisi che vengono perentoriamente proposte ed esposte
con dovizia assai di fatti e dati. “Voglio”, e dico voglio,
contravvenendo a malincuore alla cara, materna educazione ricevuta per la quale
“l’erba
voglio non esiste neanche nel giardino del re”, voglio, dicevo,
crederci con tutte le mie forze. Ha proprio ragione il grande Kahlil Gibran
quando sostiene che il “dare”, come aspetto non secondario
del “bene
comune” che risorge, sia tale solamente “quando date qualcosa di voi
stessi”. E sembra proprio che le “cose” nel bel paese stiano
marciando in questa meravigliosa direzione? Un luminoso avvenire? “Voglio”
sperarlo, crederlo, fortissimamente lo “voglio”. È con questa mia voglia di
credere assai alle cose prima scritte che la magnifica corrispondenza che ha
per titolo “Il bene comune” di
Giacomo Papi, pubblicata sul supplemento “D” – del mese di giugno dell’anno
2011? - del quotidiano “la Repubblica”, che in parte di seguito trascrivo,
sembra, agli occhi miei ultimi, come un pezzo di archeologia politica, come un
residuato sociale e sociologico di un
tempo che è stato e che difficilmente potrà mai più riapparire. È la fine
di un incubo? È un fossile di un tempo maligno che è stato? Rileggendo quella
corrispondenza non si ritrova di certo il bene di Kahlil Gibran, ma è sperabile
che col tempo al “bene” buono proposto da Kahlil ci si avvicini pure. Bisogna
sconfiggere gli orchi dei nostri sogni, gli orchi del tempo nostro, però.
Sempre che il “bene” raffigurato dal Papi non abbia a riprendere il
sopravvento. Gli orchi avrebbero vinto di nuovo. E forse per sempre: (…).
All'alba di un mattino d'inverno dei primi anni Ottanta, il Macchi, un vecchio
tipografo anarchico che oggi non c'è più, trovò un barbone che dormiva nella
sua macchina. L'intruso si svegliò spaventato, bofonchiò che se ne andava
subito, ma il Macchi lo convinse a tornare, gli disse che si sentiva più
tranquillo se qualcuno gli controllava la macchina con i ladri che ci sono in
giro. La pantomima andò avanti per mesi fin quando a primavera il barbone
scomparve lasciando sul cruscotto un biglietto di ringraziamento. Si dice che
la democrazia e la sinistra siano in crisi perché è tramontata l'idea del bene
comune, cioè il concetto che fonda ogni politica. Ho fatto un'indagine. Ho
chiesto a un po' di bambini. Una bambina di sei anni ha risposto: - Che cosa
vuol dire comune? -. Perfetto un ragazzo di nove: - È il bene di tutti e si
raggiunge comportandosi in modo civile -. Un diciassettenne via sms: - È un
bene ke un gruppo di persone decide di mettere appunto in comune e di kui
kiunque può usufruire -. Concetto precisato da un dodicenne: - Qualcosa che
tutti hanno. Per esempio il telefonino: io sono l'unico nella mia classe senza,
ma per gli altri è un bene comune -. L'idea del bene comune non è finita, ha
perso via via ogni astrazione. È diventata concreta. Non è più la felicità o
l'uguaglianza, ma ciò che si può acquistare, possedere e usare. È una cosa,
quasi sempre una merce, è l'auto del Macchi, (…), il telefonino del dodicenne.
Persiste la percezione confusa di avere diritto a ciò che hanno gli altri, ma
anche a difendere il proprio dall'assalto di chi è senza. Da come si
stabilizzeranno queste percezioni dipende il futuro. Se l'atlante dei desideri
continuerà a essere disegnato unicamente dalla pubblicità, sarà il mercato a
definire il bene comune e la dimensione pubblica diventerà compiutamente
pubblicitaria.
Carissimo Aldo, questo post molto interessante, significativo e coinvolgente mi induce a soffermarmi su questo meraviglioso pensiero di K. Gibran:"Donerete ben poco se donerete i vostri beni. È quando fate dono di voi stessi che donate veramente".Per comprendere bene questo meraviglioso pensiero, bisogna aver provato la gioia del donare. Il dono non è altro che la materializzazione del pensiero rivolto all'altro, investito di un vissuto emotivo e affettivo. Per H. Hesse: "Non solo è felice chi sa amare, ma è pure profondamente vivo chi sa amare, perché ha trovato stesso". Per amare gli altri è necessario uscire da se stessi, dal proprio egoismo e divenire disponibili a dedicare agli altri tempo, attenzione, presenza, ascolto, essere capaci di una vera condivisione. È difficile essere veramente altruista, perciò, per raggiungere l'obiettivo del "bene comune", bisogna almeno partire dal riconoscimento del primato della coscienza nell'agire, perché la credibilità del politico va misurata sulla fedeltà effettiva ai valori proclamati. È difficile credere e sperare in un cambiamento, in una vera rinascita, visto che oggi, purtroppo, i comportamenti degli uomini politici sono segnati da un'impressionante decadenza etica, dove " il bene comune" è disatteso. Agnese A.
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