Da “Laicità
vuol dire dubitare di tutte le proprie verità” di Umberto
Galimberti, pubblicato sul settimanale “D” del 6 di agosto dell’anno 2016: Nata
con un significato spregiativo, questa parola non è ancora all'altezza del
senso che le ha assegnato Kant: «Avere il coraggio di pensare con la propria testa».
La parola "laico" nasce nel linguaggio ecclesiastico con un
significato spregiativo. A quanto ne sappiamo questo termine lo introduce
l'apologeta cristiano Tertulliano (155-220 d.C.): utilizza la parola greca
laikós, che significa "ciò che è proprio del popolo (laós)" per
distinguere i chierici dal resto della popolazione. Niente di male, senonché
"proprio del popolo" significa "popolare", e se il popolo
si chiama anche "volgo" significa "volgare". La cultura,
infatti, era patrimonio di quel mondo ecclesiastico a cui va riconosciuto il
merito di aver conservato tutti i manoscritti greci, arabi e latini dell'area
mediterranea che altrimenti sarebbero andati perduti. Da questa cultura era
naturalmente escluso il popolo per la gran parte analfabeta . E, se "laico"
significa "ciò che è proprio del popolo", il laicismo nasce proprio
come sinonimo di volgarità (da "volgo") e ignoranza. Dovremo
aspettare il XVIII secolo per vedere un riscatto della parola nel segno
dell'Illuminismo, che, per Kant, «è l'uscita dell'uomo da una condizione di
minorità di cui è egli stesso responsabile. Minorità è l'incapacità di servirsi
del proprio intelletto senza la guida di altri. La responsabilità di tale
minorità va attribuita all'uomo stesso, quando la sua causa non risiede in una
carenza dell'intelletto, ma dipende dalla mancanza di determinazione e di
coraggio nel servirsene, appunto, senza la guida d'altri. Sapere aude!,
"abbi il coraggio di servirti del tuo stesso intelletto!". È questo
il motto dell'illuminismo». Da allora "laico" ha assunto il
significato di chi pensa con la propria testa e non con la testa dei chierici
(oggi diremmo della Chiesa) che fino all'Illuminismo detenevano il monopolio
della cultura e a loro dire della "verità", con conseguenti
persecuzioni per chi non vi aderiva. (…). …mi (si) chiede poi se viene prima la
giustizia o la carità, il rispetto o la compassione, che, (…), è prerogativa
dei non laici, per cui invita i laici ad accedervi. Io penso che siano proprio
gli uomini di chiesa a non essere compassionevoli quando antepongono la difesa
dei loro principi, definiti "non negoziabili", alle persone.
Solo con papa Francesco si comincia vedere un'inversione di questa tendenza in conformità allo spirito evangelico, ma basta che nel nostro Parlamento si discuta una legge che non coincide perfettamente con la morale della Chiesa perché i laici finiscano col piegare la testa, come si è potuto constatare in occasione della legge sulle unioni civili. Per quanto riguarda la "giustizia", non sapremo mai cos'è davvero "giusto" perché siamo tutti attori della storia e nessuno è al di sopra di essa, come per molto tempo ha ritenuto di essere la Chiesa in quanto depositaria della verità. Per quanto riguarda il "rispetto", questo va insegnato sia ai laici sia ai credenti, perché, come dice ancora Kant: «L'uomo va trattato sempre come un fine e mai come un mezzo». E l'Europa dalle radici cristiane come tratta quegli uomini migranti, ammassati e guardati a vista dai militari davanti ai muri eretti per scoraggiarne l'accoglienza? Resta infine il problema della "tolleranza" che, considerata nella sua essenza, è impraticabile per gli uomini di chiesa, perché "tollerare" non significa semplicemente non aggredire, non mettere al rogo, non proclamare eretico chi la pensa diversamente, ma assumere verso chi non è d'accordo con noi l'atteggiamento di chi ipotizza che l'altro, con la sua tesi opposta alla nostra, possa avere un gradiente di verità superiore. Solo così è possibile iniziare un dialogo, che invece è impossibile per chi ritiene di essere in possesso della verità assoluta.
Solo con papa Francesco si comincia vedere un'inversione di questa tendenza in conformità allo spirito evangelico, ma basta che nel nostro Parlamento si discuta una legge che non coincide perfettamente con la morale della Chiesa perché i laici finiscano col piegare la testa, come si è potuto constatare in occasione della legge sulle unioni civili. Per quanto riguarda la "giustizia", non sapremo mai cos'è davvero "giusto" perché siamo tutti attori della storia e nessuno è al di sopra di essa, come per molto tempo ha ritenuto di essere la Chiesa in quanto depositaria della verità. Per quanto riguarda il "rispetto", questo va insegnato sia ai laici sia ai credenti, perché, come dice ancora Kant: «L'uomo va trattato sempre come un fine e mai come un mezzo». E l'Europa dalle radici cristiane come tratta quegli uomini migranti, ammassati e guardati a vista dai militari davanti ai muri eretti per scoraggiarne l'accoglienza? Resta infine il problema della "tolleranza" che, considerata nella sua essenza, è impraticabile per gli uomini di chiesa, perché "tollerare" non significa semplicemente non aggredire, non mettere al rogo, non proclamare eretico chi la pensa diversamente, ma assumere verso chi non è d'accordo con noi l'atteggiamento di chi ipotizza che l'altro, con la sua tesi opposta alla nostra, possa avere un gradiente di verità superiore. Solo così è possibile iniziare un dialogo, che invece è impossibile per chi ritiene di essere in possesso della verità assoluta.
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