Tratto da “Però
adesso basta” di Marco Travaglio, pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del
24 di agosto 2018: (…). Salvini, al solito, gioca la sua partita cinicamente e
spregiudicatamente: usa l’arma di distrazione di massa di un’emergenza finta
(qual è fortunatamente, al momento, quella dei migranti, dopo il crollo delle
partenze e degli sbarchi) per riprendersi la scena rubata dai 5Stelle su
vitalizi, dl Dignità e caso Autostrade; e per distrarre l’attenzione dalle vere
emergenze nazionali. Che sono notoriamente ben altre, e la cronaca s’incarica
ogni giorno di rammentarcele.
Per esempio, i rapporti malsani e spesso corrotti fra politica e affari, riportati alla ribalta dal crollo del ponte Morandi, col retrostante scandalo dei beni pubblici regalati ai privati dai vecchi partiti, Lega compresa. Ovvio che Salvini voglia parlarne il meno possibile. E così, per ripartire con la litania sui migranti, fa esplodere un caso gestibilissimo come quello della Diciotti, appigliandosi a un paio di cavilli da azzeccagarbugli (…) che forse lo metteranno al riparo dalle conseguenze penali dei suoi atti e delle sue omissioni. Ma che più passano i giorni e più lo pongono ai margini, se non al di fuori della Costituzione e della Dichiarazione dei diritti dell’uomo. E intanto, in una crisi istituzionale senza precedenti, nessuno – Guardia Costiera, Guardia di Finanza, Capitanerie di Porto – sa più che cosa è giusto o conveniente fare: perché ciascuno rischia di restare col cerino in mano e di dover rispondere in Tribunale per non aver disobbedito a ordini illegittimi. Dovessimo fare una previsione, diremmo che difficilmente la pur doverosa indagine della Procura di Agrigento per sequestro di 177 persone approderà da qualche parte: la questione qui non è giudiziaria, ma tutta politica e stavolta il Codice penale risolve poco. Ma è evidente che, in questa partita tragica con la Libia e l’Europa, non si può vincere sempre. Specie quando la “vittoria” è ben poco onorevole, perché avviene sulla pelle della povera gente. Finora il gioco giallo-verde del poliziotto buono e del poliziotto cattivo (Salvini che fa il duro, Conte e Moavero che raccolgono risultati diplomatici) aveva quasi sempre funzionato. L’Ue aveva accettato il principio che chiunque sbarchi in Italia sbarca in Europa, che dunque deve farsene carico; alcuni Stati membri avevano accettato (almeno a parole e non ancora nei fatti, a quel che si sa) di condividere con noi – sia pure su base volontaria – l’accoglienza degli ultimi sbarcati in Italia; e la Commissione Juncker aveva accolto la proposta di Conte di una cabina di regia centralizzata a Bruxelles per la gestione dei singoli sbarchi oltre il “caso per caso”. Ma è proprio questo terzo impegno, che ha sostituito le telefonate di Conte e Moavero ai partner a ogni sbarco, che è venuto a mancare, o almeno s’è incagliato nelle secche dell’euroburocrazia (sempreché oggi, cosa assai improbabile, il vertice fra Juncker e i rappresentanti permanenti degli Stato membri non sblocchi l’impasse). Così il governo italiano, paradossalmente, è rimasto vittima di uno dei suoi piccoli successi: quello della “cabina di regia” europea. Che sulla carta esiste, ma non funziona: non, almeno, con la tempestività imposta dall’urgenza di tante vite umane in ballo. Ora Conte, mentre fa doverose pressioni sull’Unione e la Commissione europee perché condividano anche la sorte dei 177 eritrei e si diano una politica migratoria stabile ed equa “una volta per tutte”, deve levare al più presto l’Italia dalla parte del torto – cioè della disumanità e della xenofobia – in cui Salvini l’ha cacciata. Proprio perché finora era stata dalla parte della ragione.
Per esempio, i rapporti malsani e spesso corrotti fra politica e affari, riportati alla ribalta dal crollo del ponte Morandi, col retrostante scandalo dei beni pubblici regalati ai privati dai vecchi partiti, Lega compresa. Ovvio che Salvini voglia parlarne il meno possibile. E così, per ripartire con la litania sui migranti, fa esplodere un caso gestibilissimo come quello della Diciotti, appigliandosi a un paio di cavilli da azzeccagarbugli (…) che forse lo metteranno al riparo dalle conseguenze penali dei suoi atti e delle sue omissioni. Ma che più passano i giorni e più lo pongono ai margini, se non al di fuori della Costituzione e della Dichiarazione dei diritti dell’uomo. E intanto, in una crisi istituzionale senza precedenti, nessuno – Guardia Costiera, Guardia di Finanza, Capitanerie di Porto – sa più che cosa è giusto o conveniente fare: perché ciascuno rischia di restare col cerino in mano e di dover rispondere in Tribunale per non aver disobbedito a ordini illegittimi. Dovessimo fare una previsione, diremmo che difficilmente la pur doverosa indagine della Procura di Agrigento per sequestro di 177 persone approderà da qualche parte: la questione qui non è giudiziaria, ma tutta politica e stavolta il Codice penale risolve poco. Ma è evidente che, in questa partita tragica con la Libia e l’Europa, non si può vincere sempre. Specie quando la “vittoria” è ben poco onorevole, perché avviene sulla pelle della povera gente. Finora il gioco giallo-verde del poliziotto buono e del poliziotto cattivo (Salvini che fa il duro, Conte e Moavero che raccolgono risultati diplomatici) aveva quasi sempre funzionato. L’Ue aveva accettato il principio che chiunque sbarchi in Italia sbarca in Europa, che dunque deve farsene carico; alcuni Stati membri avevano accettato (almeno a parole e non ancora nei fatti, a quel che si sa) di condividere con noi – sia pure su base volontaria – l’accoglienza degli ultimi sbarcati in Italia; e la Commissione Juncker aveva accolto la proposta di Conte di una cabina di regia centralizzata a Bruxelles per la gestione dei singoli sbarchi oltre il “caso per caso”. Ma è proprio questo terzo impegno, che ha sostituito le telefonate di Conte e Moavero ai partner a ogni sbarco, che è venuto a mancare, o almeno s’è incagliato nelle secche dell’euroburocrazia (sempreché oggi, cosa assai improbabile, il vertice fra Juncker e i rappresentanti permanenti degli Stato membri non sblocchi l’impasse). Così il governo italiano, paradossalmente, è rimasto vittima di uno dei suoi piccoli successi: quello della “cabina di regia” europea. Che sulla carta esiste, ma non funziona: non, almeno, con la tempestività imposta dall’urgenza di tante vite umane in ballo. Ora Conte, mentre fa doverose pressioni sull’Unione e la Commissione europee perché condividano anche la sorte dei 177 eritrei e si diano una politica migratoria stabile ed equa “una volta per tutte”, deve levare al più presto l’Italia dalla parte del torto – cioè della disumanità e della xenofobia – in cui Salvini l’ha cacciata. Proprio perché finora era stata dalla parte della ragione.
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