Tratto da “I
dieci anni che hanno diviso il mondo” di Ettore Livini, pubblicato sul
quotidiano la Repubblica del 9 di agosto dell’anno 2017: (…). Lo tsunami dei subprime ha
travolto tutto e tutti il 9 agosto 2007 senza guardare in faccia nessuno e
infischiandosene dei confini. Quel mattino – complice uno scarno comunicato di
Bnp-Paribas che formalizzava ciò che tutti sapevano («la liquidità sui mercati
è evaporata») – le banche hanno smesso all’improvviso di prestarsi soldi a
vicenda. Fed e Bce sono intervenute d’urgenza con un’iniezione di contanti da
125 miliardi in 24 ore (86 milioni al minuto) per evitare che la finanza
globale andasse in tilt. E da allora non hanno mai smesso di stampare moneta
per esorcizzare un remake del 1929. Qualche vittima collaterale, ovviamente,
c’è stata: Lehman Brothers è fallita, Grecia, Irlanda, Spagna e Portogallo sono
state salvate dal corto circuito dei debiti sovrani grazie a 535 miliardi di
aiuti, l’Islanda è andata in bancarotta, Europa e Stati Uniti hanno messo sul
piatto 5.900 miliardi – la somma dei Pil di Francia e Germania – per puntellare
gli istituti di credito. E 10 mila persone, calcola il British Journal of
Psychiatry, si sono suicidate per motivi economici. Il salvataggio però è
(quasi) andato in porto lasciandoci in eredità un mondo a tre velocità.
Qualcuno non ha mai smesso di correre: il Pil della Cina, ad esempio, è balzato
dell’85% dal 2007. Le vittime più robuste hanno sofferto poco: gli Usa son
tornati a crescere già dal 2009, il prodotto interno lordo tedesco – malgrado
un paio di anni in rosso – ha messo assieme dal 2007 un bel +5,5%. E il valore
dei listini mondiali, crollato a 31 mila miliardi di dollari nei giorni più
bui, è più che raddoppiato ora a 77 mila miliardi, più del Pil di tutto il
pianeta. La grande finanza, risorta dalle sue ceneri, gode ottima salute:
banche d’affari e big del credito – gli “untori” del crac salvati dai soldi dei
contribuenti – macinano utili come negli anni d’oro e al netto delle norme più
rigide imposte da Barack Obama (quella riforma Frank-Dodd che ora Donald Trump
vuole smantellare) se le sono cavata con poco: zero condanne o quasi, nessuna
licenza cancellata e 150 miliardi di dollari di multe per manipolazione del
mercato. Noccioline per chi come gli istituti Usa ha realizzato nel 2016
profitti record per 171 miliardi di dollari, 25 in più di dieci anni fa. Il
“grande freddo” invece deve ancora finire per i Paesi più deboli e indebitati
come l’Italia che faticano a metabolizzare le scorie della crisi. La cartella
medica del Belpaese nel 2017 è quella di una nazione in convalescenza. E in
condizioni molto peggiori di quelle in cui si trovava prima di Lehman e delle
fibrillazioni dello spread. Un dato parla per tutti: dieci anni fa gli italiani
che vivevano in povertà assoluta per l’Istat erano 2,42 milioni. Ora sono 4,7,
il doppio. Il nostro tasso di disoccupazione nel giorno dell’annuncio di
Bnp-Paribas era del 6,2%, ora è dell’11,3%. Negli Usa, per dire, è tornato al
4,3%, esattamente lo stesso livello di allora, a Berlino è calato dal 9% al
5,7%. (…). …Mario Draghi e il suo provvidenziale intervento a favore dell’euro
hanno fatto da paracadute ai nostri guai, schiacciando i tassi e regalandoci un
“tesoretto” extra: nel 2012 l’annus horribilis dello spread, l’Italia aveva
pagato 83 miliardi di euro di interessi sul debito – lo scorso anno il conto è
stato di 66, 13 in meno. Il Paese delle cicale non è riuscito però a sfruttare
questa manna piovuta dal cielo della Bce: il debito pubblico ha continuato a
salire senza soste. Il 9 agosto del 2007 ogni neonato tricolore nasceva con
sulle spalle un’esposizione di 28.556 euro. Chi viene al mondo oggi invece
parte con una zavorra lievitata a 36.800. La crisi, come in un circolo vizioso,
ha finito per autoalimentarsi: il reddito disponibile degli italiani è crollato
del 10% in 10 anni e fatica ancora a rialzare la testa. Un decennio fa solo il
15% delle famiglie doveva mettere mano ai risparmi per far quadrare i conti di
casa. Oggi sono il 25%. In tanti, obtorto collo, sono stati costretti a
smettere di pagare le rate di mutui e prestiti. Risultato: le sofferenze nette
delle banche sono salite dai 15 miliardi di euro del 2007 ai 77 di oggi, mettendo
altra polvere negli ingranaggi dell’economia. A due lustri da quel 9 agosto
nero, nessuno in Italia ha davvero voglia di festeggiare. Il Pil nazionale,
certifica Banca d’Italia, tornerà a livelli pre-crisi solo nel 2019. Cinque
anni dopo l’Europa che conta.
Nessun commento:
Posta un commento