Tratto da “La farfalla e i kalashnikov” di Massimo Fini, pubblicato su “il
Fatto Quotidiano” del 13 di agosto dell’anno 2011: (…). Una volta si diceva che il
battito d’ali di una farfalla in Giappone poteva provocare una catastrofe
nell’emisfero opposto. Era un’iperbole per esprimere il concetto che
l’eco-sistema-Terra è integrato e ogni sua componente è interdipendente. Un
battito d’ali di farfalla sposta dell’aria che muove un moscerino che cambia la
sua traiettoria e quella di un passero che gli faceva la posta e così via.
Rimaneva comunque un’iperbole perché la forza d’attrito a un certo punto
spezzava queste concatenazioni. Nel mondo globale invece l’iperbole si è
realizzata in economia, attraverso il denaro che, essendo virtuale, non conosce
l’attrito. Enormi masse di denaro si spostano ogni giorno, ogni ora, ogni
minuto da una parte all’altra del mondo senza trovare ostacoli. In un mondo
integrato e globale il battito d’ali di una farfalla americana, per restare
alla nostra metafora, può avere conseguenze devastanti in ogni angolo del
pianeta. Ne restano fuori solo quelle popolazioni, ormai delle mosche bianche,
che, o per rifiuto consapevole o per altro, non sono entrate nel mercato
internazionale (certamente gli indigeni delle Isole Andemane possono farsi un
baffo di questi tsunami monetari). Lo abbiamo visto con la crisi dei “subprime”
americani del 2008 che è rimbalzata in Europa provocando il default
dell’Irlanda e della Grecia e che poi, come un’onda di ritorno, ha colpito di
nuovo gli Stati Uniti mentre in Europa le defaillances irlandese e greca hanno
intaccato il Portogallo, la Spagna, hanno aggredito l’Italia e domani,
probabilmente, tutto il vecchio continente. Ma il contraccolpo colpisce anche i
paesi cosiddetti emergenti dell’Asia. La cosa più inquietante, anzi disperante,
è il senso di impotenza che dà questo sistema. Nessuno, individuo o Stato, è
più arbitro del proprio destino. Tu puoi aver lavorato una vita, con fatica e
con coscienza, e basta un battito d’ali in una qualsiasi parte del mondo per
distruggere, d’un colpo, il tuo lavoro, la tua fatica, i tuoi risparmi (che
sono “forza-lavoro”, energia tesaurizzata e messa da parte). Ma le leadership
mondiali si ostinano a parare ogni nuova crisi immettendo nel sistema altro
denaro inesistente (nel senso che non corrisponde a nulla, questo è il senso
dell’innalzamento legale del debito pubblico americano, che è come se uno che
ha tutti i parametri del sangue sballati decidesse di essere guarito perché li
ha portati a un livello più alto) che va ad aumentare lo tsunami della massa
monetaria che, al prossimo colpo, si abbatterà su di noi con una violenza ancor
più devastante. Finché, fra non molto, arriverà il colpo del ko che nessun
trucchetto contabile riuscirà a mascherare. Possibile che sia così difficile da
capire che non dobbiamo più crescere ma decrescere, che non dobbiamo
modernizzare ma smodernizzare, che dobbiamo allentare la morsa
dell’integrazione globale? Il mondo occidentale (inteso in senso lato perché
ormai quasi tutti i paesi sono coinvolti nel modello di sviluppo a crescita
esponenziale partito dall’Europa, in Inghilterra, a metà del XVIII secolo) si
rifiuta di capire, perché considera irrinunciabili gli standard di benessere
acquisiti. E allora si droga di denaro. Non comprende che se non pilota una
decrescita graduale di questo benessere lo perderà tutto d’un colpo per quanti
sacrifici, e massacri, possa pretendere dalle popolazioni. Quando la gente
delle città, crollato il sistema del denaro, si accorgerà che non può mangiare
l’asfalto e bere il petrolio, si riverserà alla ricerca di cibo nelle campagne
dove si saranno rifugiati i più previdenti, provvedendosi dell’autosufficienza
alimentare oltre che di un buon numero di kalashnikov per respingere queste
masse di disperati.
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