Da "Attenti
ai politici che fanno dei nostri sentimenti uno strumento di potere", intervista di Giulio Azzolini al Professor
Bauman, pubblicata sul quotidiano “la Repubblica” del 5 di agosto dell’anno 2016:
Professor
Bauman, sono passati dieci anni da quando scrisse "Paura liquida"
(Laterza). Che cos'è cambiato da allora? "La paura è ancora il sentimento
prevalente del nostro tempo. Ma bisogna innanzitutto intendersi su quale tipo
di paura sia. Molto simile all'ansia, a un'incessante e pervasiva sensazione di
allarme, è una paura multiforme, esasperante nella sua vaghezza. È una paura difficile
da afferrare e perciò difficile da combattere, che può scalfire anche i momenti
più insignificanti della vita quotidiana e intacca quasi ogni strato della
convivenza".
Per il filosofo e psicoanalista argentino
Miguel Benasayag, la nostra è l'epoca delle "passioni tristi". Che
cosa succede quando la paura abbraccia la sfiducia? "Succede che i legami
umani si frantumano, che lo spirito di solidarietà si indebolisce, che la
separazione e l'isolamento prendono il posto del dialogo e della cooperazione.
Dalla famiglia al vicinato, dal luogo di lavoro alla città, non c'è ambiente
che rimanga ospitale. Si instaura un'atmosfera cupa, in cui ciascuno nutre
sospetti su chi gli sta accanto ed è a sua volta vittima dei sospetti altrui.
In questo clima di esasperata diffidenza basta poco perché l'altro sia
percepito come un potenziale nemico: sarà ritenuto colpevole fino a prova
contraria".
Eppure l'Europa ha già conosciuto e
sconfitto l'ostilità e il terrore: quello politico delle Br in Italia e della
Raf in Germania, quello etnico-nazionalistico dell'Eta in Spagna e dell'Ira in
Irlanda. Il nostro passato può insegnarci ancora qualcosa o il pericolo di oggi
è incomparabile? "I precedenti sicuramente esistono, tuttavia pochi ma
decisivi aspetti rendono le attuali forme di terrorismo assai differenti dai
casi che lei ricordava. Questi ultimi erano prossimi ad una rivoluzione
(mirando, come le Br o la Raf, ad una sovversione del regime politico) o ad una
guerra civile (puntando, come l'Eta o l'Ira, all'autonomia etnica o alla
liberazione nazionale), ma si trattava pur sempre di fenomeni essenzialmente
domestici. Ebbene, gli atti terroristici odierni non appartengono a nessuna
delle due fattispecie: la loro matrice, infatti, è completamente diversa".
Qual è la peculiarità del terrorismo
attuale? "La sua forza deriva dalla capacità di corrispondere alle nuove
tendenze della società contemporanea: la globalizzazione, da un lato, e
l'individualizzazione, dall'altro. Per un verso, le strutture che promuovono il
terrorismo si globalizzano ben al di là delle facoltà di controllo degli Stati
territoriali. Per altro verso, il commercio delle armi e il principio di
emulazione alimentato dai media globali fanno sì che ad intraprendere azioni di
natura terroristica siano anche individui isolati, mossi magari da vendette
personali o disperati per un destino infausto. La situazione che scaturisce
dalla combinazione di questi due fattori rende quasi del tutto invincibile la
guerra contro il terrorismo. Ed è assai improbabile che esso abdichi a
dinamiche ormai autopropulsive. Insomma, si ripropone, sotto nuove forme, il
mitico problema del nodo gordiano, quello che nessuno sa sciogliere: e sono
molti i sedicenti eredi di Alessandro Magno che, ingannando, giurano che le
loro spade riuscirebbero a reciderlo".
Per molti politici e molti commentatori, le
radici del terrorismo vanno rintracciate nell'aumento incontrollato dei flussi
migratori. Quali sono, a suo giudizio, le principali ragioni della violenza
contemporanea? "Com'è evidente, i profitti elettorali che si ottengono
stabilendo un nesso di causa-effetto tra immigrazione e terrorismo sono troppo
allettanti perché i concorrenti al gioco del potere vi rinuncino. Per chi
decide è facile e conveniente partecipare ad un'asta sul mezzo più efficace per
abolire la piaga della precarietà esistenziale, proponendo soluzioni fasulle
come fortificare i confini, fermare le ondate migratorie, essere inflessibili
con i richiedenti asilo... E per i media è altrettanto facile dare visibilità
alla polizia che assalta i campi profughi oppure diffondere le immagini fisse e
dettagliate di uno o due kamikaze in azione. La verità è che è maledettamente
complicato toccare con mano le radici autentiche di una violenza che cresce in
tutto il mondo, per volume e per intensità. E giorno dopo giorno diventa ancora
più arduo, se non proprio impossibile, dimostrare che i governi abbiano
individuato quelle radici e stiano lavorando davvero per sradicarle".
Vuole dire che anche i politici occidentali
utilizzano la paura come strumento politico? "Esattamente. Come le leggi
del marketing impongono ai commercianti di proclamare senza sosta che il loro
scopo è il soddisfacimento dei bisogni dei consumatori, pur essendo loro
pienamente consapevoli che è al contrario l'insoddisfazione il vero motore
dell'economia consumistica, così gli imprenditori politici dei nostri giorni
dichiarano sì che il loro obiettivo è garantire la sicurezza della popolazione,
ma al contempo fanno tutto il possibile, e anche di più, per fomentare il senso
di pericolo imminente. Il nucleo dell'attuale strategia di dominio, dunque,
consiste nell'accendere e tenere viva la miccia dell'insicurezza...".
E quale sarebbe lo scopo di questa
strategia? "Se c'è qualcosa che tanti leader politici non vedevano l'ora
di apprendere, è lo stratagemma di trasformare le calamità in vantaggi:
rinfocolare la fiamma della guerra è una ricetta infallibile per spostare
l'attenzione dai problemi sociali, come la disuguaglianza, l'ingiustizia, il
degrado e l'esclusione, e rinsaldare il patto di comando-obbedienza tra i
governanti e la loro nazione. La nuova strategia di dominio, fondata sulla
deliberata spinta verso l'ansia, permette alle autorità stabilite di venire
meno alla promessa di garantire collettivamente la sicurezza esistenziale. Ci
si dovrà accontentare di una sicurezza privata, personale, fisica".
Crede che in tal modo le istituzioni rischino di smarrire il carattere democratico? "Di sicuro la costante sensazione di allerta incide sull'idea di cittadinanza, nonché sui compiti ad essa legati, che finiscono per essere liquidati o rimodellati. La paura è una risorsa molto invitante per sostituire la demagogia all'argomentazione e la politica autoritaria alla democrazia. E i richiami sempre più insistiti alla necessità di uno stato di eccezione vanno in questa direzione".
Papa Francesco appare l'unico leader
intenzionato a sfatare quello che lei altrove ha chiamato "il demone della
paura". "Il paradosso è che sia proprio colui che i cattolici
riconoscono come il portavoce di Dio in terra a dirci che il destino di
salvezza è nelle nostre mani. La strada è un dialogo volto a una migliore
comprensione reciproca, in un'atmosfera di mutuo rispetto, in cui si sia
disposti ad imparare gli uni dagli altri. Ascoltiamo troppo poco Francesco, ma
la sua strategia, benché a lungo termine, è l'unica in grado di risolvere una
situazione che somiglia sempre di più a un campo minato, saturo di esplosivi
materiali e spirituali, salvaguardati dai governi per mantenere alta la tensione.
Finché le relazioni umane non imboccheranno la via indicata da Francesco, è
minima la speranza di bonificare un terreno che produrrà nuove esplosioni,
anche se non sappiamo prevedere con esattezza le coordinate".
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