Tratto da “United
Dolors” di Marco Travaglio, pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 17 di
agosto 2018: (…). A un certo punto – era il 1999, in piena età dell’oro del
centrosinistra – scoprimmo che i fratelli turchini (i Benetton n.d.r.) s’erano
aggiudicati la concessione di Autostrade per l’Italia, che gestisce oltre la
metà della rete nazionale. Nessuno spiegò perché mai un bene pubblico,
costruito con le tasse dei cittadini, dovesse fruttare miliardi a un privato,
né cosa c’entrassero col cemento e l’asfalto quei simpatici tosatori di pecore
e fabbricanti di maglioni. Eppure quella “privatizzazione”, (…), era piuttosto
singolare. Immaginate un contadino che, dopo tanti sacrifici, riesce ad
acquistare una cascina, la ristruttura a sue spese e va ad abitarci. Un brutto
giorno, si ritrova all’ingresso un bel casello con dentro un Gilberto o un
Luciano che sbuca dalla finestrella e lo apostrofa: “Lei dove va?”. “A casa
mia, dove vuole che vada? Lei piuttosto chi è?”. “Sono Gilberto (o Luciano,
ndr), il nuovo concessionario: da oggi casa sua è mia, se vuole entrare mi deve
15 euro”. “E perché dovrei pagare lei per entrare in casa mia?”. “Perché l’ha
deciso il governo, io sono un imprenditore”. “Ah sì, e cos’ha fatto per la mia
casa?”. “Beh, incasso il pedaggio e i dividendi in Borsa, le par poco?”.
“Quindi, se si rompe qualcosa, ora ci pensa lei?”. “Non esageriamo: dipende
dagli azionisti e dal titolo in Borsa”. Il fatto che nel caso Autostrade il
contadino fosse lo Stato, cioè milioni e milioni di italiani che per decenni
avevano finanziato con le imposte la rete viaria, avrebbe dovuto sollevare
qualche obiezione su un’operazione che regalava a un privato una gallina dalle
uova d’oro in regime di monopolio e senza rischi d’impresa, mentre privava la
collettività di un bene pubblico che non può sottostare alle regole del
mercato: perché le autostrade non devono produrre profitti, ma risorse da
reinvestire in manutenzione, sicurezza, nuove infrastrutture e, se avanza
qualcosa, taglio delle tariffe. Il contrario di quanto accade da 19 anni:
sempre meno manutenzione e sicurezza, sempre più utili ai Benetton (nascosti
dietro sigle rassicuranti, tipo “Atlantia”, più adatta a un’astronave, o
“Sintonia”, che fa pensare a un gruppo rock). Ma, si sa, alle privatizzazioni
non si comanda, e soprattutto non si domanda. Specialmente se i beneficiari
elargiscono qualche aiutino per le campagne elettorali dei partiti che, appena
vanno a governo, si sdebitano aumentando le tariffe autostradali senza badare
troppo a dettagli tipo gl’investimenti previsti dal contratto (peraltro coperto
da segreto di Stato). E se, dal tavolo dei loro banchetti, ogni tanto cade
qualche boccone dritto in gola ai giornaloni e alle tv sotto forma di
pubblicità. Questo forse spiega perché, dopo il crollo epocale di Genova,
stampa e tg non riuscivano proprio a ricordare il nome del concessionario che
avrebbe dovuto garantire la sicurezza del Ponte Morandi e che, mentre si
cercavano cadaveri, feriti e superstiti fra le macerie, favoleggiava di
“costanti monitoraggi”. Molto meglio puntare il dito contro il fulmine, la
pioggia, il traffico, la fatalità, il governo che è lì da due mesi, i 5Stelle
che avevano osato fidarsi dei comunicati di Autostrade sulla granitica
resistenza del ponte e opporsi al progetto faraonico della “Gronda” (che
costerebbe, se va bene, 5 o 6 miliardi e soprattutto non sostituirebbe il Ponte
Morandi, fermo restando che l’alternativa a un ponte pericolante è un ponte
solido, non una grande opera inutilmente cara). (…).
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