"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

mercoledì 26 ottobre 2016

Paginatre. 54 “Una (perfetta) storia italiana”.



Da “Berlusconi e i suoi debiti il Cavaliere preparava la discesa in campo” di Alberto Statera, sul settimanale A&F del 24 di ottobre 2016: (…). …il disturbo narcisistico della personalità di Silvio Berlusconi ha marchiato un trentennio di questo paese. I segnali erano evidenti già nel Berlusconi pre-politico, se qualcuno avesse saputo leggerli, durante gli anni dedicati, oltre che a operazioni finanziarie oscure, ad accreditarsi nel neghittoso establishment nazionale. Berlusconi non deve mai aver dimenticato l’incontro con Giulia Maria Crespi nella hall del Grand Hotel di Roma. Lo presentano, fasciato nel suo orrendo doppiopetto marrone, e la “zarina”, dopo aver rifiutato un goffo baciamano, fa al suo accompagnatore: «Ma questo giovanotto di che si occupa? Come ha detto che si chiama?» Lui nel 1971 aveva già comprato il suo primo elicottero, che considerava un magnifico status symbol. E poi aveva costruito un intero quartiere milanese, era entrato come socio nel “Giornale” di Indro Montanelli e inventato una televisione. Ma la grande borghesia e la grande finanza continuavano a snobbarlo con sua suprema stizza. Alla fine degli anni Settanta fece carte false per essere ricevuto da Enrico Cuccia, banchiere ben conscio dell’oscurità dei primi finanziamenti concessi generosamente al palazzinaro dalla Banca Rasini, detta banca della mafia o di Andreotti, e dopo l’iscrizione alla P2 di Licio Gelli, dal Monte dei Paschi di Siena e dal Servizio Italia della Bnl. Mal gliene incolse al divino architetto. Dirottato su Cesare Merzagora, fece sapere al presidente delle Generali che era disposto a investire una trentina di miliardi di lire nella compagnia triestina, in cambio di un posto in consiglio d’amministrazione. Merzagora incaricò Enrico Randone, ammini-stratore delegato, di capire che cosa esattamente volesse quel parvenu di incerte origini. Poi mise nero su bianco la sua risposta “a scanso di equivoci e perché rimanga ben chiaro nei nostri archivi il mio punto di vista”. Un documento straordinario, che negli archivi abbiamo rintracciato e che documenta il rigore, la durezza e anche la cattiveria di cui Merzagora era capace. «Le rispondo subito – scrisse al palazzinaro che voleva farsi grande tycoon – che, evidentemente, non avremmo nulla in contrario se il suo nome si aggiungesse ai 36.589 azionisti che abbiamo attualmente. Sarei però reticente se non le aggiungessi per debito di chiarezza che il nostro consiglio non ha mai desiderato avere nel suo seno costruttori. Inoltre, lei sta diventando sempre più ancheun grosso personaggio politico ed infatti lei ha offerto gentilmente a Randone il suo appoggio con i suoi eccellentissimi amici di Roma (Bettino Craxi, ndr), non pensando che a noi questi rapporti non interessano e che anzi di essi facciamo volentieri a meno».
Leggendo le righe che seguono si coglie l’irritazione di Merzagora che cresce ancora: «...siamo stati e saremo sempre molto guardinghi, non aprendo le porte a prestigiosi personaggi della finanza e dell’industria e ancor meno del bosco e del sottobosco politico». Colpito e affondato senza pietà come palazzinaro e come politico del sottobosco. Al rimorchio di Craxi, che tra l’altro gli aveva ottenuto lo spostamento delle rotte aeree sopra l’aeroporto di Linate per non disturbare i residenti di Milano Due in cambio di un ricco finanziamento, nel Berlusconi pre-politico la politica occhieggia da anni. Già nel 1977, in un’intervista a Mario Pirani intitolata “Berlusconi l’è miga un pirla”, mette a disposizione i suoi mass-media ai politici e teorizza: «Ci sono politici che si sanno presentare in modo chiaro, immediato, facendosi capire dalla gente e non come Moro che ogni volta che apre bocca ci vuole un esercito di esegeti per interpretarlo. Questi capi storici hanno il culo per terra, ma ingombrano la porta». Una specie di programma della “pulp politics”, la politica che si sporca le mani dal basso, che vivremo tre lustri dopo tra mafiosi, impostori, macchiette, zelatori, maitresse e pornostar. Nel frattempo la Fininvest ha aumentato il capitale da 2,5 a 10,5 miliardi di lire, di cui 8 miliardi versati in contanti. Provenienza ignota, ma intuibile. L’anno successivo entra in scena una misteriosa società Palina che maneggia 27 miliardi, ancora di provenienza ignota, tra Popolare di Abbiategrasso, le holding di Berlusconi, la Fininvest, la Milano 3 srl, per poi riapprodare alla Palina. Le operazioni finanziarie di Berlusconi sono un arcano, con una sola certezza: che i capitali sono sempre di provenienza ignota. Nel 1989 il palazzinaro che si è fatto tycoon e che ha conquistato l’accesso ai cosiddetti salotti buoni, scippa la Mondadori a Carlo De Benedetti, manipolando il giovane Luca Formenton e soprattutto corrompendo i giudici che ha a libro paga da decenni attraverso Cesare Previti. Ma i conti si appesantiscono, viaggiano verso i 7 mila miliardi di lire di debiti. Franco Tatò, allora amministratore del gruppo, supplica Berlusconi: “Cavaliere, dobbiamo portare i libri in tribunale”. Berlusconi, in una riunione con Craxi, secondo la testimonianza di Ezio Cartotto, consulente politico di Dell’Utri, sussurra: «Che cosa devo fare ? A volte mi capita perfino di mettermi a piangere sotto la doccia». Come salvare l’impero ? L’unica strada è la politica, creando un partito che sarà “la casa dei moderati” (sic). Favorevoli Dell’Utri, Previti e Doris. Contrari Gianni Letta e Confalonieri. Ma prevale Dell’Utri, il quale ha sempre confessato: «A me della politica non frega niente, ma il problema era di non finire in galera». Nasce così nel 1992 - e ancora prima nella testa di Dell’Utri - il “progetto Botticelli”, dal nome del palazzo nel quale si riunivano i congiurati. Si sondano Mariotto Segni e Mino Martinazzoli come possibili leader della “casa dei moderati”, che in realtà nasceva come “la casa dei disperati”, ma i congiurati vengono respinti. Dell’Utri, che conosce bene il disturbo narcisistico del capo (“Faccio di tutto per tenere a bada il mio complesso di superiorità”), lancia lo stesso Berlusconi come leader, perché sa come considera gli italiani, quelli che comprano spazio sulle sue reti, che guardano le sue televisioni e vanno anche a votare. Lo spiegò una volta ai venditori di Publitalia: «Questi si alzano e tutte le mattine e guardandosi allo specchio che cosa vedono ? Vedono uno stronzo. Questi uomini vengono sempre trattati da stronzi, tutti li trattano da stronzi. Siccome lo stronzo viene trattato come uno stronzo se trova invece qualcuno che lo tratta in maniera diversa gli sarà grato per sempre». Nell’ottobre 1993 a casa di Gianni Letta il progetto Botticelli decolla definitivamente. Il 26 gennaio successivo arriva l’annuncio ufficiale della “scesa in campo”, con Gianfrando Fini, che più o meno in contemporanea ci tiene a dichiarare al sottoscritto che “Mussolini fu il più grande statista del secolo”, per la serie del governo dei moderati. Il 10 maggio 1994 nasce il primo governo Berlusconi. Questa che avete dinanzi agli occhi è l’Italia devastata che ci ha lasciato.

Nessun commento:

Posta un commento