Da “Italia, un paese dove nessuno più perde la faccia” di Silvia
Truzzi, intervista allo scrittore Claudio Magris pubblicata su “il Fatto
Quotidiano” del 19 di novembre dell’anno 2013: (…). Su Il Corriere ha scritto
che la borghesia “pronta e incline a ogni indecenza, ha perso il diritto di
definirsi borghese, parola che per Mann, Croce, Einaudi e tanti altri significa
tutt’altra cosa. Una borghesia che diventa anche politicamente il contrario di
se stessa ossia populismo, democrazia per acclamazione di caudillos”. - Marx
parlava di Lumpenproletariat, proletariato intellettualmente e moralmente
pezzente, disponibile a qualsiasi manipolazione politica, contrapponendolo al
proletariato consapevole. Usò questa parola, lumpen, anche Sandro Pertini a
proposito dei brigatisti. Oggi la società italiana è sempre più una pappa
gelatinosa, una specie di Lumpenbourgeoisie, di borghesia intellettualmente
pezzente anche quando è benestante, che non ha nulla a che vedere con la
borghesia classica. Una classe colloidale in cui anche virtù e vizi borghesi
sono scomparsi: non c’è più nemmeno quel modo benpensante, che era comunque
l’omaggio del vizio alla virtù -.
Che danni ha causato la scomparsa
della borghesia? - Improvvisamente certe cose, che prima erano date per
scontate, non lo sono più state. Se ora mi metto le dita nel naso, lei si
offende giusto? Non è un delitto, ma non è educato. Qualcosa, sul piano
civilmente più superficiale è cambiato. Fare le corna dietro la testa di un
ministro, come ha fatto Berlusconi, non è immorale. Ma ci immaginiamo De
Gasperi, alla Conferenza di pace di Parigi che – mentre dice ‘Sento che tutto,
tranne la vostra cortesia, è contro di me’ – fa le corna? Sembra un dettaglio
folkloristico, in realtà è una premessa per l’ignoranza. Un male terribile che
ci affligge, perché se non sappiamo metter in ordine una frase e distinguere
tra nominativo e accusativo, non distinguiamo chi ruba e chi viene derubato -.
Cosa ha sbagliato la sinistra? -
Quando ero adolescente, avevamo una domestica, siora Maria, che era stata
condannata a vent’anni di carcere per attività antifascista. Era scappata
dall’Italia e poi era tornata. Aveva fatto la seconda elementare, era di un’intelligenza stupefacente. Era una
comunista convinta. Tra i nostri conoscenti c’era una famiglia indifferente al
mondo e chiusa in quel che da noi si dice ‘far casetta’, per riferirsi al finto
perbenismo del focolare. Un giorno a pranzo Maria discuteva con mio padre, che
era stato azionista e poi repubblicano: era la vigilia delle elezioni del ’53,
io le chiesi per chi, secondo lei, avrebbe votato questa famiglia di nostri
vicini. Lei mi rispose: ‘Non ha nessuna importanza per chi votano’. Io rimasi
entusiasta di questa risposta aristocratica, che è tragicamente sbagliata,
perché si tratta di milioni di persone, una palude prepolitica, che i vecchi
partiti non consideravano e che ci si limitava tutt’al più a controllare. Poi è
arrivato Berlusconi e ha detto: io sono come voi, voi siete soggetti. Li ha
resi protagonisti, in un chewingum il cui unico valore è il successo. (…). -.
Lei che faceva in quegli anni? – (…). Al ’68 non aderii, forse perché capivo Eugène Ionesco quando, (…), ai ragazzi del maggio francese in corteo diceva: ‘Tra dieci anni sarete tutti notai’. E in parte è successo. La colpa della sinistra è stata di non voler più distinguere l’inevitabile gerarchia tra i gradi del sapere dalla falsità e dall’ingiustizia dell’accesso alla cultura. Il problema non è che non bisogna leggere Tolstoj perché è una lettura d’élite, il problema è che tutti, se ne hanno voglia, devono poterlo leggere -.
Questo cosa ha prodotto? - Che
quasi più nessuno legge Tolstoj. Però non dobbiamo demonizzare quegli anni. Se
i miei studenti non volevano venire a lezione, liberissimi: io facevo altro. Ma
se si presentavano, era chiaro che in quell’ora si parlava di letteratura
tedesca e non di politica. Al massimo se ne parlava al caffè, dopo -.
(…). Conseguenza di tutto ciò è
l’evidente decadenza della classe dirigente. – (…). Le classi dirigenti sono in
gran parte formate da persone pochissimo preparate. Una volta ognuno faceva il
suo mestiere. Intendo: la Mondadori apparteneva al signor Arnoldo Mondadori, di
professione editore; l’Einaudi al signor Giulio Einaudi, Il Corriere della Sera
ai fratelli Crespi. Adesso tutti fanno altro, a cominciare dai politici. Che
non sanno fare le leggi, perché mancano anche di preparazione giuridica, ma non
solo. In La cultura si mangia, Bruno Arpaia e Pietro Greco ricordano le
interviste di “cultura generale” ad alcuni deputati e senatori trasmesse da Le
Iene. Una parlamentare del Pd, alla domanda cos’è una sinagoga, risponde: ‘È il
luogo che le donne musulmane frequentano per pregare il loro Dio, Maometto
oppure Allah’. Parliamo di una signora dalla quale dipende se i miei figli
avranno o no la pensione, come se il pilota del volo sul quale viaggiamo
ignorasse cos’è un aereo -.
(…). Che ricordi ha dei suoi anni
in Parlamento? (…). Cosa l’ha convinta? - Berlusconi era “sceso in campo”, io
in quel momento ho avuto la sensazione, sbagliata, di non potermi sottrarre.
C’era un’alleanza, che andava dai vecchi liberali all’estrema sinistra, che
sosteneva la mia candidatura; insieme
costituirono un movimento e alla fine fui eletto in Senato. La destra si era
spaccata in due qui a Trieste, e così ho vinto. Non ho fatto campagna
elettorale, forse ho vinto perché non si sono potuti accorgere della mia
inettitudine. Ricordo un confronto televisivo disastroso, in cui ero dimesso,
per nulla convincente. Mi sono riscattato alla vigilia del voto, a un incontro
pubblico con tutti i candidati. Qualcuno aveva pesantemente insultato
Margherita Hack, con commenti sul suo aspetto fisico. Io presi la parola: “Vi
ringrazio, fino ad ora ho fatto una pessima figura davanti ai cittadini. Ma
adesso al cospetto di cotante nullità, mi sento qualcuno. Chiederò l’abolizione
del suffragio universale: chi, anziché contestare le idee, insulta le persone,
non può decidere le sorti del Paese”. E poi anche quando ho incontrato Cesare
Previti. Lui era ministro della Difesa, c’era una commemorazione a Redipuglia.
Al momento dei saluti mi è venuta l’idea goliardica, nata dal desiderio di non
stringergli la mano, di chiedergli l’ora: lui ha guardato il polso e ha
abbassato la mano destra. Niente stretta di mano -. (…).
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