Da “Berlusconi
e i suoi debiti il Cavaliere preparava la discesa in campo” di Alberto
Statera, sul settimanale A&F del 24 di ottobre 2016: (…). …il disturbo narcisistico
della personalità di Silvio Berlusconi ha marchiato un trentennio di questo
paese. I segnali erano evidenti già nel Berlusconi pre-politico, se qualcuno
avesse saputo leggerli, durante gli anni dedicati, oltre che a operazioni
finanziarie oscure, ad accreditarsi nel neghittoso establishment nazionale.
Berlusconi non deve mai aver dimenticato l’incontro con Giulia Maria Crespi
nella hall del Grand Hotel di Roma. Lo presentano, fasciato nel suo orrendo
doppiopetto marrone, e la “zarina”, dopo aver rifiutato un goffo baciamano, fa
al suo accompagnatore: «Ma questo giovanotto di che si occupa? Come ha detto
che si chiama?» Lui nel 1971 aveva già comprato il suo primo elicottero, che
considerava un magnifico status symbol. E poi aveva costruito un intero
quartiere milanese, era entrato come socio nel “Giornale” di Indro Montanelli e
inventato una televisione. Ma la grande borghesia e la grande finanza
continuavano a snobbarlo con sua suprema stizza. Alla fine degli anni Settanta
fece carte false per essere ricevuto da Enrico Cuccia, banchiere ben conscio
dell’oscurità dei primi finanziamenti concessi generosamente al palazzinaro
dalla Banca Rasini, detta banca della mafia o di Andreotti, e dopo l’iscrizione
alla P2 di Licio Gelli, dal Monte dei Paschi di Siena e dal Servizio Italia
della Bnl. Mal gliene incolse al divino architetto. Dirottato su Cesare
Merzagora, fece sapere al presidente delle Generali che era disposto a
investire una trentina di miliardi di lire nella compagnia triestina, in cambio
di un posto in consiglio d’amministrazione. Merzagora incaricò Enrico Randone,
ammini-stratore delegato, di capire che cosa esattamente volesse quel parvenu
di incerte origini. Poi mise nero su bianco la sua risposta “a scanso di
equivoci e perché rimanga ben chiaro nei nostri archivi il mio punto di vista”.
Un documento straordinario, che negli archivi abbiamo rintracciato e che
documenta il rigore, la durezza e anche la cattiveria di cui Merzagora era
capace. «Le rispondo subito – scrisse al palazzinaro che voleva farsi grande
tycoon – che, evidentemente, non avremmo nulla in contrario se il suo nome si
aggiungesse ai 36.589 azionisti che abbiamo attualmente. Sarei però reticente
se non le aggiungessi per debito di chiarezza che il nostro consiglio non ha
mai desiderato avere nel suo seno costruttori. Inoltre, lei sta diventando
sempre più ancheun grosso personaggio politico ed infatti lei ha offerto
gentilmente a Randone il suo appoggio con i suoi eccellentissimi amici di Roma
(Bettino Craxi, ndr), non pensando che a noi questi rapporti non interessano e
che anzi di essi facciamo volentieri a meno».
Leggendo le righe che seguono si
coglie l’irritazione di Merzagora che cresce ancora: «...siamo stati e saremo
sempre molto guardinghi, non aprendo le porte a prestigiosi personaggi della
finanza e dell’industria e ancor meno del bosco e del sottobosco politico».
Colpito e affondato senza pietà come palazzinaro e come politico del
sottobosco. Al rimorchio di Craxi, che tra l’altro gli aveva ottenuto lo
spostamento delle rotte aeree sopra l’aeroporto di Linate per non disturbare i
residenti di Milano Due in cambio di un ricco finanziamento, nel Berlusconi
pre-politico la politica occhieggia da anni. Già nel 1977, in un’intervista a
Mario Pirani intitolata “Berlusconi l’è miga un pirla”, mette a disposizione i
suoi mass-media ai politici e teorizza: «Ci sono politici che si sanno
presentare in modo chiaro, immediato, facendosi capire dalla gente e non come
Moro che ogni volta che apre bocca ci vuole un esercito di esegeti per
interpretarlo. Questi capi storici hanno il culo per terra, ma ingombrano la
porta». Una specie di programma della “pulp politics”, la politica che si
sporca le mani dal basso, che vivremo tre lustri dopo tra mafiosi, impostori,
macchiette, zelatori, maitresse e pornostar. Nel frattempo la Fininvest ha
aumentato il capitale da 2,5 a 10,5 miliardi di lire, di cui 8 miliardi versati
in contanti. Provenienza ignota, ma intuibile. L’anno successivo entra in scena
una misteriosa società Palina che maneggia 27 miliardi, ancora di provenienza
ignota, tra Popolare di Abbiategrasso, le holding di Berlusconi, la Fininvest,
la Milano 3 srl, per poi riapprodare alla Palina. Le operazioni finanziarie di
Berlusconi sono un arcano, con una sola certezza: che i capitali sono sempre di
provenienza ignota. Nel 1989 il palazzinaro che si è fatto tycoon e che ha
conquistato l’accesso ai cosiddetti salotti buoni, scippa la Mondadori a Carlo
De Benedetti, manipolando il giovane Luca Formenton e soprattutto corrompendo i
giudici che ha a libro paga da decenni attraverso Cesare Previti. Ma i conti si
appesantiscono, viaggiano verso i 7 mila miliardi di lire di debiti. Franco
Tatò, allora amministratore del gruppo, supplica Berlusconi: “Cavaliere,
dobbiamo portare i libri in tribunale”. Berlusconi, in una riunione con Craxi,
secondo la testimonianza di Ezio Cartotto, consulente politico di Dell’Utri,
sussurra: «Che cosa devo fare ? A volte mi capita perfino di mettermi a
piangere sotto la doccia». Come salvare l’impero ? L’unica strada è la
politica, creando un partito che sarà “la casa dei moderati” (sic). Favorevoli
Dell’Utri, Previti e Doris. Contrari Gianni Letta e Confalonieri. Ma prevale
Dell’Utri, il quale ha sempre confessato: «A me della politica non frega
niente, ma il problema era di non finire in galera». Nasce così nel 1992 - e
ancora prima nella testa di Dell’Utri - il “progetto Botticelli”, dal nome del
palazzo nel quale si riunivano i congiurati. Si sondano Mariotto Segni e Mino
Martinazzoli come possibili leader della “casa dei moderati”, che in realtà
nasceva come “la casa dei disperati”, ma i congiurati vengono respinti.
Dell’Utri, che conosce bene il disturbo narcisistico del capo (“Faccio di tutto
per tenere a bada il mio complesso di superiorità”), lancia lo stesso
Berlusconi come leader, perché sa come considera gli italiani, quelli che
comprano spazio sulle sue reti, che guardano le sue televisioni e vanno anche a
votare. Lo spiegò una volta ai venditori di Publitalia: «Questi si alzano e
tutte le mattine e guardandosi allo specchio che cosa vedono ? Vedono uno
stronzo. Questi uomini vengono sempre trattati da stronzi, tutti li trattano da
stronzi. Siccome lo stronzo viene trattato come uno stronzo se trova invece
qualcuno che lo tratta in maniera diversa gli sarà grato per sempre».
Nell’ottobre 1993 a casa di Gianni Letta il progetto Botticelli decolla
definitivamente. Il 26 gennaio successivo arriva l’annuncio ufficiale della
“scesa in campo”, con Gianfrando Fini, che più o meno in contemporanea ci tiene
a dichiarare al sottoscritto che “Mussolini fu il più grande statista del
secolo”, per la serie del governo dei moderati. Il 10 maggio 1994 nasce il
primo governo Berlusconi. Questa che avete dinanzi agli occhi è l’Italia
devastata che ci ha lasciato.
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