Da “Tempo di
oligarchie e di chiarimenti” di Gustavo Zagrebelsky, sul quotidiano la
Repubblica del 12 di ottobre 2016: (…). L’oligarchia è (…) una forma di
governo da sempre considerata cattiva; così cattiva che deve celarsi agli occhi
dei più e nascondersi nel segreto. Questa è una sua caratteristica tipica: la
dissimulazione. Anzi, questa esigenza è massima per le oligarchie che proliferano
a partire dalla democrazia. Gli oligarchi devono occultare le proprie azioni e
gli interessi particolari che li muovono. Non solo. Devono esibire una realtà
diversa, fittizia, artefatta, costruita con discorsi propagandistici,
blandizie, regalie e spettacoli. Devono promuovere quelle politiche che, oggi,
chiamiamo populiste. Occorre convincere i molti che i pochi non operano alle
loro spalle, ma per il loro bene. Così, l’oligarchia è il regime della
menzogna, della simulazione. Se è così, se cioè non ne facciamo solo una
questione di numeri ma anche di attributi dei governanti e di opacità
nell’esercizio del potere, l’oligarchia, anche secondo il sentire comune, non
solo è diversa dalla democrazia, ma le è radicalmente nemica. Aveva, dunque,
ragione Norberto Bobbio quando denunciava tra le contraddizioni della
democrazia il “persistere delle oligarchie”. Se ci guardiamo attorno, potremmo
dire: non solo persistere, ma rafforzarsi, estendersi “globalizzandosi” e
velarsi in reti di relazioni d’interesse politico-finanziario, non prive di
connessioni malavitose protette dal segreto, sempre più complicate e sempre
meno decifrabili. Se, per un momento, potessimo sollevare il velo e guardare la
nuda realtà, quale spettacolo ci toccherebbe di vedere? Annodiamo i fili: (…)
la democrazia dei grandi numeri genera inevitabilmente oligarchie e (…) le
oligarchie sono nemiche della democrazia. Dovremmo dire allora,
realisticamente, che la democrazia è il regime dell’ipocrisia e del mimetismo,
un regime che produce e nutre il suo nemico: il condannato che collabora
all’esecuzione della sua condanna. Poveri e ingenui i democratici che in buona
fede credono nelle idee che professano! C’è del vero in questa visione
disincantata della democrazia come regime della disponibilità nei confronti di
chi vuole approfittarne per i propri scopi. La storia insegna. Ma non ci si
deve fermare qui. Una legge generale dei discorsi politici è questa: il
significato di tutte le loro parole (libertà, giustizia, uguaglianza, ecc.) è
ambiguo e duplice, dipende dal punto di vista. Per coloro che stanno in cima
alla piramide sociale, le parole della politica significano legittimazione
dell’establishment; per coloro che stanno in fondo, significa il contrario,
cioè possibilità di controllo, contestazione e partecipazione. Anche per
“democrazia” è così. Dal punto di vista degli esclusi dal governo, la
democrazia non è una meta raggiunta, un assetto politico consolidato, una
situazione statica. La democrazia è conflitto. Quando il conflitto cessa di
esistere, quello è il momento delle oligarchie. In sintesi, la democrazia è
lotta per la democrazia e non sono certo coloro che stanno nella cerchia dei
privilegiati quelli che la conducono. Essi, anzi, sono gli antagonisti di
quanti della democrazia hanno bisogno, cioè gli antagonisti degli esclusi che
reclamano il diritto di essere ammessi a partecipare alle decisioni politiche,
il diritto di contare almeno qualcosa. Le costituzioni democratiche sono quelle
aperte a questo genere di conflitto, quelle che lo prevedono come humus della
vita civile e lo regolano, riconoscendo diritti e apprestando procedimenti
utili per indirizzarlo verso esiti costruttivi e per evitare quelli
distruttivi. In questo senso deve interpretarsi la democrazia dell’articolo 1
della Costituzione, in connessione con molti altri, a incominciare
dall’articolo 3, là dove parla di riforme finalizzate alla libertà,
all’uguaglianza e alla giustizia sociale. Queste riflessioni, a commento delle
convinzioni manifestate da Eugenio Scalfari, sono state occasionate da una
discussione sulla riforma costituzionale che, probabilmente, sarà presto
sottoposta a referendum popolare. Hanno a che vedere con i contenuti di questa
riforma? Hanno a che vedere, e molto da vicino.
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