Ci ha lasciato scritto Polibio – II secolo avanti
Cristo – nelle Sue “Storie (6.4)”: “Esistono 6 forme di governo (…) la prima a
sorgere è il regno. Quando questo incorre nei difetti che sono a esso
connaturati, e si trasforma in tirannide, viene abolito e subentra l’aristocrazia.
Quando, secondo un processo naturale, essa degenera in oligarchia, e il popolo
punisce indignato l’ingiustizia dei capi, sorge la democrazia. Quando questa a
sua volta si macchia di illegalità e violenza, con il passare del tempo
costituisce l’oclocrazia (forma degenerata della democrazia che
potrebbe essere assimilata a “kakistocrazìa”, termine composto dal greco
kákistos ‘peggiore’, superlativo di kakós ‘cattivo’, e –crazia, ovvero governo
dei peggiori n.d.r.)”. Da “Scalfari, una
strana idea di democrazia” di Antonio Esposito, su “il Fatto Quotidiano”
dell’8 di ottobre 2016: Eugenio Scalfari, nel suo editoriale su la
Repubblica di domenica scorsa dal titolo “Zagrebelsky è un amico ma il match
con Renzi l’ha perduto”, sostiene due tesi: la prima è che il dibattito su La7
tra Renzi e Zagrebelsky sulla riforma costituzionale si è concluso con un 2-0
per di Renzi; la seconda è che Zagrebelsky ritiene erroneamente che la
“politica renziana tende all’oligarchia” e che l’errore è dovuto al fatto che
il costituzionalista “forse non sa bene che cosa significhi oligarchia”. (…). …Scalfari
ci ha impartito una lezione su “che cosa significhi oligarchia”. È partito da
Platone per passare a Pericle, alle Repubbliche Marinare e ai Comuni per
arrivare nel “passato prossimo” alla Dc e al Pci fino a concludere che
“oligarchia e democrazia sono la stessa cosa” e che “Renzi non è oligarchico,
magari lo fosse ma ancora non lo è. Sta ancora nel cerchio magico dei suoi più
stretti collaboratori. Credo e spero che alla fine senta la necessità di avere
intorno a sé una classe dirigente che discute e a volte contrasti le sue
decisioni e poi cercare la necessaria unità d’azione. Ci vuole appunto una
oligarchia”. Per anni è stato insegnato che l’oligarchia – e, cioè, “il comando
di pochi” (“olìgoi” e “arché”), quel tipo di governo i cui poteri sono
accentrati nelle mani di pochi – è qualcosa di molto diverso dalla democrazia,
il “governo del popolo” (“dèmos” e “Kràtos”) che si esercita, negli Stati
moderni, attraverso la rappresentanza parlamentare. Dall’Antichità al Medioevo,
l’oligarchia è stata considerata dal pensiero politico (in primis Aristotele)
una forma di governo “cattiva”. Parimenti, nell’età moderna e contemporanea si
è rafforzata la tesi che un governo di pochi è un “cattivo” governo. Il sistema
oligarchico è in antitesi a quello democratico. Orbene, non vi è dubbio che nel
nostro Paese il Parlamento sia stato, di fatto, esautorato dall’esecutivo che –
legato a ben individuati “poteri forti” che hanno chiesto ed ottenuto norme
riduttive dei diritti dei lavoratori – ha esteso sempre più la sua sfera di
influenza sulla informazione, sui vertici della Pa, delle forze di sicurezza, e
delle aziende pubbliche e pone sistematicamente in atto una campagna, da un
lato, di disinformazione e, dall’altro, di propaganda ingannevole. Il Fatto Quotidiano,
nel febbraio di quest’anno (“Le Ragioni del no”, 9/2), denunciò che la riforma
costituzionale e la nuova legge elettorale – le quali, nel loro perverso,
inestricabile intreccio, riducono il ruolo dei contrappesi, azzerano la
rappresentatività del Senato, sottraggono poteri alle Regioni, consentono ad
una minoranza di elettori di conquistare la maggioranza della Camera, unica
rilevante (anche per la fiducia al Governo) di fronte ad un Senato
delegittimato e composto della peggiore classe politica oggi esistente –
avrebbero contribuito a portare a compimento un disegno autoritario diretto a
concentrare tutto il potere nelle mani dell’esecutivo e, segnatamente, nel capo
del Governo, (che da tempo è anche segretario del partito di maggioranza, e la
doppia carica preoccupa), e di un gruppo di oligarchi da lui designati. Basti
pensare a quei personaggi, ben noti, che lo stesso Scalfari inserisce nel c.d.
“cerchio magico” di Renzi e che però, definisce, eufemisticamente, “i suoi più
stretti collaboratori”. Questo spiega la impropria discesa in campo degli
oligarchi e del loro capo – (che si sarebbero dovuti astenere dal partecipare
alla campagna referendaria) – ed il loro attivismo, (anche all’estero), ogni
giorno sempre più frenetico, ossessivo, invasivo con la promessa – da veri
imbonitori – di stabilità e benessere se vincerà il SÌ e con il prospettare
catastrofi e caos nel caso opposto. Solo votando NO sarà possibile evitare la
deriva autoritaria.
Nessun commento:
Posta un commento