Da “Quando il potere invoca la privacy” di Carlo Galli, sul quotidiano
la Repubblica dell’11 di ottobre dell'anno 2011: (…). La privacy – insieme all´habeas corpus
di cui è una conseguenza – è stata (…) progressivamente elaborata, in età
moderna, per affermare l´autonomia e l´autocontrollo del cittadino, il suo
dominio su se stesso, per consentirgli, insomma, di difendersi dal potere; per
istituire uno spazio fortificato, e ben presidiato dalla legge, che custodisce
la prima libertà moderna: la vita del singolo. Ma questa affermazione di
libertà si inserisce in una lotta fra popolo e governi assoluti, e non si
esaurisce in se stessa; fa parte di una più ampia rivendicazione di trasparenza
e di pubblicità del potere, delle sue origini e dei suoi modi d´esercizio, che
dal liberalismo storico si è diffusa fino alla contemporanea civiltà
democratica, divenendo patrimonio di costumi e di costituzioni. L´opacità
difensiva che riveste la sfera privata del singolo individuo ha infatti il
proprio pendant nella lotta dei cittadini contro il segreto, contro l´opacità
della politica assolutistica, contro gli arcana imperii.
Il liberalismo non consiste solo nel fare i propri comodi, nel vivere nascosti, come sembrano ritenere parecchi di coloro che affollano l´improvvisata platea dei liberali italiani: è anche iscrivere la vita politica di tutti nel paradigma della pubblicità. Ossia dell´opinione pubblica, e delle pubbliche istituzioni. E la pubblicità implica non solo la strenua difesa della prima e più elementare forma di trasparenza, cioè della legalità – tema liberale anch´esso, non “giacobino” né “comunista” – e l´esercizio della critica; che per avere senso deve essere informata. Di qui il ruolo decisivo, in un contesto liberale, della libera stampa, che fornisca al pubblico le notizie sul potere, delle quali i cittadini hanno bisogno per poterlo criticare e giudicare, approvare o disapprovare. E quindi per tentare – esercizio sempre più difficile – di essere liberi. Eludere la dialettica fra il potere e i cittadini, uniformarli entrambi in uno spazio politico omogeneo e informe costituito da monadi tutte ugualmente chiuse in se stesse, opache a ogni valutazione, non è liberalismo; è appunto una mistificazione. È infatti evidente che ciò che non fa notizia nel caso di un privato cittadino – le sue conversazioni, o il fatto che porti i calzini viola (come invece fu amabilmente fatto rilevare da una persecutoria trasmissione televisiva a proposito di un giudice sgradito al potere) – può farlo se il soggetto che agisce è uno degli uomini più importanti d´Italia, la principale carica politica del governo. Le cui azioni e frequentazioni, i cui stili di vita pubblica e privata – soprattutto quando pubblico e privato, spassi sessuali e appalti, si intrecciano l´un l´altro inestricabilmente – , hanno rilievo pubblico perché rientrano nella sfera del potere; che in una società liberale, in una cultura politica liberale, è sempre tenuto a un tasso di virtuosità e di trasparenza superiore a quelli dei cittadini. O, se si vuole è sempre sorvegliato speciale; così che tutto ciò che lo riguarda fa notizia: la pera di Einaudi come le escort di Berlusconi. Se, come nel caso che il nostro Paese per l´ennesima volta si appresta ad affrontare, il potere si difende sprofondandosi nell´opacità, nella riservatezza, nel bunker della privacy, benché si collochi sullo stesso piano dei cittadini fa in realtà un´operazione assolutamente contraria, nella sostanza, all´uguaglianza; fa un´operazione da ancien régime, aggiornata nella forma in omaggio ai tempi nuovi – non moderni ma postmoderni – . Infatti, l´insindacabilità della vita privata del premier implica di fatto l´insindacabilità del suo agire pubblico, che privato dello sfondo su cui si staglia resta anch´esso opaco, incomprensibile. Un premier che vuole presentarsi ai cittadini come crede meglio, mettendo in scena se stesso con tutti gli artifici e gli accorgimenti del caso, per nascondere i retroscena, non è il premier di un Paese libero, o liberale; è una nuova edizione dell´autorappresentazione barocca del potere. Incarna la vecchia pretesa al monopolio dello sguardo, dell´interpretazione, della decifrazione della politica. È un potere estraneo alla pubblicità e alle sue logiche politiche, che di volta in volta vuole lo status di ‘difeso speciale´ dalla magistratura e quello di ‘semplice cittadino´ uguale a tutti gli altri. È, in una parola, un potere arbitrario, un´autocrazia che, classicamente, esercita una vera e propria censura, ammantandosi di malintesa liberaldemocrazia garantista. (…).
Il liberalismo non consiste solo nel fare i propri comodi, nel vivere nascosti, come sembrano ritenere parecchi di coloro che affollano l´improvvisata platea dei liberali italiani: è anche iscrivere la vita politica di tutti nel paradigma della pubblicità. Ossia dell´opinione pubblica, e delle pubbliche istituzioni. E la pubblicità implica non solo la strenua difesa della prima e più elementare forma di trasparenza, cioè della legalità – tema liberale anch´esso, non “giacobino” né “comunista” – e l´esercizio della critica; che per avere senso deve essere informata. Di qui il ruolo decisivo, in un contesto liberale, della libera stampa, che fornisca al pubblico le notizie sul potere, delle quali i cittadini hanno bisogno per poterlo criticare e giudicare, approvare o disapprovare. E quindi per tentare – esercizio sempre più difficile – di essere liberi. Eludere la dialettica fra il potere e i cittadini, uniformarli entrambi in uno spazio politico omogeneo e informe costituito da monadi tutte ugualmente chiuse in se stesse, opache a ogni valutazione, non è liberalismo; è appunto una mistificazione. È infatti evidente che ciò che non fa notizia nel caso di un privato cittadino – le sue conversazioni, o il fatto che porti i calzini viola (come invece fu amabilmente fatto rilevare da una persecutoria trasmissione televisiva a proposito di un giudice sgradito al potere) – può farlo se il soggetto che agisce è uno degli uomini più importanti d´Italia, la principale carica politica del governo. Le cui azioni e frequentazioni, i cui stili di vita pubblica e privata – soprattutto quando pubblico e privato, spassi sessuali e appalti, si intrecciano l´un l´altro inestricabilmente – , hanno rilievo pubblico perché rientrano nella sfera del potere; che in una società liberale, in una cultura politica liberale, è sempre tenuto a un tasso di virtuosità e di trasparenza superiore a quelli dei cittadini. O, se si vuole è sempre sorvegliato speciale; così che tutto ciò che lo riguarda fa notizia: la pera di Einaudi come le escort di Berlusconi. Se, come nel caso che il nostro Paese per l´ennesima volta si appresta ad affrontare, il potere si difende sprofondandosi nell´opacità, nella riservatezza, nel bunker della privacy, benché si collochi sullo stesso piano dei cittadini fa in realtà un´operazione assolutamente contraria, nella sostanza, all´uguaglianza; fa un´operazione da ancien régime, aggiornata nella forma in omaggio ai tempi nuovi – non moderni ma postmoderni – . Infatti, l´insindacabilità della vita privata del premier implica di fatto l´insindacabilità del suo agire pubblico, che privato dello sfondo su cui si staglia resta anch´esso opaco, incomprensibile. Un premier che vuole presentarsi ai cittadini come crede meglio, mettendo in scena se stesso con tutti gli artifici e gli accorgimenti del caso, per nascondere i retroscena, non è il premier di un Paese libero, o liberale; è una nuova edizione dell´autorappresentazione barocca del potere. Incarna la vecchia pretesa al monopolio dello sguardo, dell´interpretazione, della decifrazione della politica. È un potere estraneo alla pubblicità e alle sue logiche politiche, che di volta in volta vuole lo status di ‘difeso speciale´ dalla magistratura e quello di ‘semplice cittadino´ uguale a tutti gli altri. È, in una parola, un potere arbitrario, un´autocrazia che, classicamente, esercita una vera e propria censura, ammantandosi di malintesa liberaldemocrazia garantista. (…).
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