"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

mercoledì 22 giugno 2016

Sfogliature. 61 “È in gioco l'Italia”.



Correva l’anno 2006, l’anno del referendum costituzionale preparato per ed in conto dell’uomo venuto da Arcore. Lavorarono a quella “riforma” i “quattro saggi” – innominabili - calati su Lorenzago del Cadore in perfetta tenuta da montagna. E quella montagna di masse cerebrali partorì l’orribile riforma che il “popolo sovrano” si peritò di cancellare nelle giornate del 25 e 26 di giugno di quell’anno. La “sfogliatura” è di mercoledì 21 di giugno dell’anno 2006. Protagonisti politici di quel tempo andato l’uomo di Arcore e l’uomo dal rutto facile e dal dito medio innalzato come segno distintivo di una visione politica nuova che sintetizzava nel celeberrimo suo pensiero «se gli italiani votano no, noi useremo altri mezzi, fuori dalla democrazia». Oggi come allora, chi non sta con noi male gli colga! Scriveva allora Furio Colombo sul quotidiano l’Unità del 18 di giungo di quell’anno “horribilis” - “È in gioco l'Italia” -: (…). Ora che stiamo per votare al Referendum sugli oltre cinquanta articoli di devastazione e offesa alla Costituzione che ha funzionato mirabilmente per sessant´anni (un anniversario che tanti italiani celebreranno votando NO) ricordiamoci dello scambio di favori avvenuto fra Bossi e Berlusconi. Bossi ha ottenuto via libera per una disastrosa serie di articoli che spaccano, dividono e rendono inagibile il Paese. Era la sua alternativa alla secessione violenta. Devastare da fuori o devastare da dentro. Berlusconi ha scelto di dargli mano libera, per devastare da dentro, con un disegno di «riforma federale» che nessun costituzionalista accetta o approva, tanto è disastrosamente pericoloso. Come controprova di tale pericolo Bossi, il 15 giugno, ha detto: «se gli italiani votano no, noi useremo altri mezzi, fuori dalla democrazia». Ricordiamolo, al momento del voto.
E ricordiamo che il disegno è unico, frutto di una macchina di distruzione e preparazione di un nuovo potere in cui una mente ha diretto (Berlusconi e i suoi avvocati) e alcune braccia senza scrupoli hanno eseguito (ma eseguito anche con partecipazione sincera, se si considera la naturale inclinazione a umiliare e devastare di personaggi come Borghezio e Gentilini, come Calderoli e le Guardie padane, personaggi e gruppi rivelatori della spinta vandalica della Lega Nord). E tutti gli altri, nella Casa delle Libertà, hanno ciecamente eseguito persino a scapito della propria reputazione. Quando alla fine non hanno esitazioni a definire «una porcata» ciò che hanno fatto, ci dicono con quale atteggiamento hanno messo mano al «cambiamento del Paese» e con quale faccia parlano di «riforme» contrapposte al «conservatorismo» di chi (e per fortuna siamo in tanti) intende salvare la Costituzione. (…). A tutto ciò va aggiunta la voce della Rai. Ha ragione Giovanni Sartori. La "scheda" sul referendum presentata dal Tg1, ore 13,30 del 15 giugno, avrebbe potuto accreditare e spiegare benissimo anche la «Riforma Mussolini» del 1926. Infatti la vasta modifica costituzionale Bossi-Berlusconi viene spiegata leggendo ciò che viene dato, non ciò che viene tolto dalla nuova legge, in modo che si perda del tutto le percezione dello squilibrio di poteri che si crea, tagliando, abolendo, spostando, punti essenziali di contrappeso e garanzia. L´introduzione della parola "Nazione" in luogo di Stato viene oscurata, si parla di comitati per il Sì «organizzati dagli italiani nel mondo». Il tutto in un clamoroso vuoto di vere notizie che, sul Corriere della Sera del 13 giugno, il prof. Sartori ha giustamente chiamato «disinformazione». (…). C´è dunque un disegno unico. Prevede che la "spallata" possa essere data, attraverso la polverizzazione dell´attività legislativa in una delle Camere, una volta ottenuto il Sì alla loro riforma della Costituzione. A quel punto essi avrebbero in mano una tremenda legge elettorale («la porcata» di Calderoli), una Costituzione deformata che ha abbandonato alcuni dei più importanti principi della cultura antifascista e resistenziale, basata sul riconoscimento di uguali diritti umani e civili a tutti i cittadini e alla loro protezione dalle prevaricazioni dei veri poteri forti, che sono i poteri dell´informazione. E hanno in mano la «riforma del premierato» che attribuisce al primo ministro poteri che - con scandalo e severo giudizio negativo di ciascun costituzionalista rispettabile che si conosca - sommano e allargano i poteri di Blair, quelli di Bush, senza gli adeguati contrappesi parlamentari previsti in quei due Paesi. In altre parole, un lungo passo verso la dittatura. Aggravato dal silenzio imposto ai giudici, e dall´uso di una televisione di Stato che continua a essere integralmente berlusconiana. Certo lo è nella informazione sul referendum. Ecco, questo è il disegno contro cui gli italiani dovranno dire NO, in tanti, il 25 e il 26 giugno. Tra i “saggi” dell’oggi accorsi all’appello dell’uomo venuto da Rignano sull’Arno si distingue per perspicacia e coerenza tale Franco Bassanini. Ne ha scritto Marco Travaglio su “il Fatto Quotidiano” del 25 di maggio 2016 – ne’ i “Gabbanini” -: (…). Non è certo la prima volta che l’insigne giurista firma. L’11 dicembre 1989 il suo pregiato autografo apparve in calce a una lettera piuttosto servile a Bettino Craxi, che si chiudeva così: “A tua disposizione per ogni collaborazione che riterrai utile”. Il che – quando uscì sul Giornale otto anni fa – fece un po’ discutere, perché Bassanini nell’89 era deputato della Sinistra Indipendente e, ai tempi del Psi, aveva militato nella sinistra ferroviaria di Signorile, prima di essere espulso nel 1981 per un manifesto sulla questione morale, peraltro in lieve contraddizione con i trascorsi accanto a Giorgio Mazzanti, ras craxiano e piduista dell’Eni. Bassanini comunque giurò che la lettera, conservata da Craxi in archivio, era “apocrifa”. È invece autentico un suo saggio del settembre 2006 su Il Mulino a proposito del referendum costituzionale che l’aveva appena visto ai vertici del Comitato del No alla schiforma Berlusconi-Bossi-Calderoli. Un saggio che, senza la data, sarebbe perfetto per il Comitato del No alla schiforma Renzi-Boschi-Verdini. Dopo la vittoria schiacciante dei No, Bassanini parlava di “svolta”, come dopo “i referendum sul divorzio e sul maggioritario”: “Uno di quei referendum che lasciano un segno e impongono una discontinuità nella storia politica”, con buona pace dei “gattopardi, già all’opera per ridimensionarne la portata”. Quale portata? Il definitivo e irreversibile “rifiuto di riforme non condivise o incoerenti con i principi e i valori fondamentali della Costituzione”, come richiesto dal Comitato del No creato dalla sua Astrid e da Libertà e Giustizia a suon di convegni su “Salviamo la Costituzione: aggiornarla, non demolirla”, con “Amato, Fassino, Rutelli, Bertinotti, Veltroni e Prodi” autore di “un ruvido intervento: ‘No alla dittatura del premier’”. Ai valorosi combattenti si unirono tosto “Cgil, Cisl, Uil, i partiti dell’Unione, Acli, Arci, Anpi”. Perbacco, perfino l’Anpi, allora tutta formata da partigiani veri. E poi “una vastissima schiera di costituzionalisti, giuristi e studiosi”: gli stessi che dicono No anche oggi, salvo Bassanini s’intende. E pure – udite udite – vari “magistrati”, ancora dotati del diritto di parola. Il messaggio era forte e chiaro: “Le Costituzioni son destinate a durare nel tempo. Non cambiano a ogni cambio di maggioranza… Nelle grandi democrazie le modifiche costituzionali vanno concordate fra maggioranza e opposizione”, mai “sostenute dalla sola maggioranza”. Questo “lo fece il centrosinistra, nel 2001, con la riforma del titolo V… Lo ha fatto il centrodestra, con una riforma assai più impegnativa” e non doveva accadere mai più. (…). E che a nessuno venisse più in mente “il modello ipermonista di concentrazione dei poteri nelle mani del capo del governo, in deroga al principio della divisione dei poteri”. (…). “Purtroppo – notava il Bassanini – in Italia hanno molto seguito teorie esasperatamente moniste…l’idea che la miglior forma di governo sia quella che concentra quasi tutti i poteri in capo a un uomo solo e gli garantisce l’inamovibilità nella carica, per tutta la legislatura, alla sola condizione che egli sia scelto dagli elettori”. (…). Ecco, per l’appunto, che quel “capo” “sia scelto dagli elettori”. Considerati i tempi che corrono – Roma, Torino etc etc -!

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