Da “Se la norma infrange il diritto” di Gustavo Zagrebelsky, sul
quotidiano “la Repubblica” dell’11 di giugno dell’anno 2010: (…). In
ogni regime libero, l'informazione è un delicatissimo sistema di diritti e di
doveri, in cui l'interesse dei cittadini a essere informati e il connesso
diritto-dovere dei giornalisti di fare cronaca, onesta e completa, dei fatti di
rilevanza pubblica incontra i soli limiti che derivano dal rispetto dell'onore
e della riservatezza delle persone. Sono le persone offese che, ricorrendo al
giudice, in un rapporto per così dire, paritario con il giornalista o il
giornale, possono chiedere la riparazione del loro diritto violato. Il potere
politico, governo o parlamento, non c'entrano per niente. Non possono prendere
provvedimenti o stabilire per legge quel che i giornali, gli organi
d'informazione in genere, possono o non possono pubblicare. Possono certo
stabilire casi di segretezza o di riservatezza, per proteggere l'interesse al
buon andamento di funzioni pubbliche (ad esempio, trattative diplomatiche,
operazioni dei servizi di sicurezza, svolgimento di indagini giudiziarie, ecc.)
e, a questo fine, possono prevedere sanzioni a carico dei funzionari infedeli
che violano il segreto e la riservatezza. Ma non possono estendere il divieto e
la sanzione agli organi dell'informazione i quali, quale che sia stato il modo,
siano venuti in possesso di informazioni rilevanti e le abbiano portate alla
conoscenza della pubblica opinione. In breve: il potere politico può
proteggersi, ma non può farlo imbavagliando un potere - il
potere dell'informazione - che ha la sua ragion d'essere nel controllo
del potere. Potrà sembrare un'anomalia che la lecita auto-tutela della politica
non si estenda fino alle estreme conseguenze, non investa la stampa. Ma in ogni
regime libero un'anomalia non è, perché l'informazione appartiene a un'altra
sfera e non può diventare un'appendice, una funzione servente, un organo della
politica e del governo (come avviene nei momenti eccezionali della guerra o del
pericolo per la sicurezza nazionale). È la separazione dei poteri (e l'informazione è un potere) a richiederlo
e a determinare la possibilità della contraddizione.
Sono i regimi autoritari, quelli in cui non vi sono contraddizioni. Ma allora, lì, la stampa vive delle informazioni che il potere politico, caso per caso o per legge non fa differenza, l'autorizza a rendere pubbliche; vive degli ossi che il padrone le butta. Da dove traiamo questo principio d'autonomia e libertà della stampa? Innanzitutto dalla cultura e dalla civiltà costituzionale, cioè dal quadro di sfondo che dà un senso alla democrazia. Poi dall'art. 21 della Costituzione, che proclama il diritto alla libertà d'informazione senza limiti diversi dal buon costume, vietando per sovrapprezzo, e come rafforzamento, le autorizzazioni e le censure, cioè gli strumenti di asservimento della stampa conosciuti sotto il fascismo. Oggi poi è la Convenzione europea dei diritti dell'uomo, da quando, nel 2001, è assurta a livello costituzionale e al medesimo livello si collocano le interpretazioni che ne dà la Corte di Strasburgo, altra base sicura del diritto alla libertà della stampa. L'art. 10 § 2 della Convenzione ammette bensì "formalità, condizioni, restrizioni o sanzioni", ma solo quando siano "misure necessarie in una società democratica" per tutelare certe esigenze di sicurezza, ordine pubblico, ecc., che nel caso della legge italiana certamente non ricorrono in generale. La Corte europea ha precisato che le limitazioni possono derivare solo da "bisogni sociali imperativi" (non esigenze di funzionamento di pubblici poteri), che le misure prese "non devono essere di natura tale da dissuadere la stampa dal partecipare alla discussione di problemi di legittimo interesse generale" e, nel celebre caso Dupuis contro Francia (7 giugno 2007), riguardante la pubblicazione di notizie coperte dal segreto processuale, che quando c'è di mezzo il diritto all'informazione, "il potere di apprezzamento degli Stati si arresta di fronte all'interesse delle società democratiche ad assicurare e mantenere la libertà di stampa". Si trattava, per l'appunto, di giornalisti che si erano documentati attraverso fughe di notizie o documenti e conversazioni confidenziali: tutte cose che le società libere non demonizzano affatto (pur cercando di impedirle da parte dei funzionari pubblici), quando vengono nelle mani di giornalisti. (…).
Sono i regimi autoritari, quelli in cui non vi sono contraddizioni. Ma allora, lì, la stampa vive delle informazioni che il potere politico, caso per caso o per legge non fa differenza, l'autorizza a rendere pubbliche; vive degli ossi che il padrone le butta. Da dove traiamo questo principio d'autonomia e libertà della stampa? Innanzitutto dalla cultura e dalla civiltà costituzionale, cioè dal quadro di sfondo che dà un senso alla democrazia. Poi dall'art. 21 della Costituzione, che proclama il diritto alla libertà d'informazione senza limiti diversi dal buon costume, vietando per sovrapprezzo, e come rafforzamento, le autorizzazioni e le censure, cioè gli strumenti di asservimento della stampa conosciuti sotto il fascismo. Oggi poi è la Convenzione europea dei diritti dell'uomo, da quando, nel 2001, è assurta a livello costituzionale e al medesimo livello si collocano le interpretazioni che ne dà la Corte di Strasburgo, altra base sicura del diritto alla libertà della stampa. L'art. 10 § 2 della Convenzione ammette bensì "formalità, condizioni, restrizioni o sanzioni", ma solo quando siano "misure necessarie in una società democratica" per tutelare certe esigenze di sicurezza, ordine pubblico, ecc., che nel caso della legge italiana certamente non ricorrono in generale. La Corte europea ha precisato che le limitazioni possono derivare solo da "bisogni sociali imperativi" (non esigenze di funzionamento di pubblici poteri), che le misure prese "non devono essere di natura tale da dissuadere la stampa dal partecipare alla discussione di problemi di legittimo interesse generale" e, nel celebre caso Dupuis contro Francia (7 giugno 2007), riguardante la pubblicazione di notizie coperte dal segreto processuale, che quando c'è di mezzo il diritto all'informazione, "il potere di apprezzamento degli Stati si arresta di fronte all'interesse delle società democratiche ad assicurare e mantenere la libertà di stampa". Si trattava, per l'appunto, di giornalisti che si erano documentati attraverso fughe di notizie o documenti e conversazioni confidenziali: tutte cose che le società libere non demonizzano affatto (pur cercando di impedirle da parte dei funzionari pubblici), quando vengono nelle mani di giornalisti. (…).
P.s. Articolo 21 della “Costituzione
italiana”: Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con
la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può
essere soggetta ad autorizzazioni o censure. Si può procedere a sequestro
soltanto per atto motivato dell'autorità giudiziaria nel caso di delitti, per i
quali la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi, o nel caso di
violazione delle norme che la legge stessa prescriva per l'indicazione dei
responsabili. In tali casi, quando vi sia assoluta urgenza e non sia possibile
il tempestivo intervento dell'autorità giudiziaria, il sequestro della stampa
periodica può essere eseguito da ufficiali di polizia giudiziaria, che devono
immediatamente, e non mai oltre ventiquattro ore, fare denunzia all'autorità
giudiziaria. Se questa non lo convalida nelle ventiquattro ore successive, il
sequestro s'intende revocato e privo d'ogni effetto. La legge può stabilire,
con norme di carattere generale, che siano resi noti i mezzi di finanziamento
della stampa periodica. Sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli
e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume. La legge stabilisce
provvedimenti adeguati a prevenire e a reprimere le violazioni.
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