Considerati i tempi straordinari
che siamo chiamati a vivere un doppio “scriptamanent” del 26 di giugno. Il
primo risale al 26 di giugno dell’anno 2013 a firma di Barbara Spinelli pubblicato
sul quotidiano la Repubblica con il titolo “Il
giudizio universale di JPMorgan”: (…). La
radice europea è il delicato equilibrio tra poteri fissato nelle Carte
postbelliche. È il bene pubblico e l’uguaglianza. C’è un problema di retaggio,
pontifica il rapporto: un’eredità di cui urge sbarazzarsi, in un’Unione dei
rischi condivisi. Troppi diritti, troppe proteste. Troppe elezioni, foriere di
populismi (è il nome dato alle proteste). All’inizio si pensò che il male fosse
economico. Era politico invece: altro che colpa dei mercati. Unico grande colpevole:
«Il sistema politico nelle periferie Sud, definito dalle esperienze
dittatoriali» e da Costituzioni colme di diritti fabbricate da forze
socialiste. Ecco lo scatto che compie la storia: una crisi generata
dall’asservimento della politica a poteri finanziari senza legge viene
ri-raccontata come crisi di democrazie appesantite dai diritti sociali e
civili. Senza pudore, JPMorgan sale sul pulpito e riscrive le biografie,
compresa la propria, consigliando alle democrazie di darsi come bussola non più
Magne Carte, ma statuti bancari e duci forti. Le patologie europee sono così
elencate: «Esecutivi deboli; Stati centrali deboli verso le regioni; tutele
costituzionali dei diritti dei lavoratori; tecniche di costruzione del consenso
sfocianti in clientelismo; diritto di protestare se vengono proposte sgradite
modifiche dello status quo». (…). Alla luce di rapporti simili si capisce
meglio la smania italiana, o greca, di nuove Costituzioni; e l’allergia diffusa
alle sue regole fondanti, che vietano l’uomo solo al comando, l’ampliarsi delle
disuguaglianze, la svendita delle utilità pubbliche. (…). Si capisce (…) la
trepidazione di costituzionalisti come Gustavo Zagrebelsky: ferree leggi
dell’oligarchia imporranno una riscrittura delle Costituzioni che svuoterà Parlamenti
e democrazia. (…).
Il “Brexit” d’oggi affonda le sue
radici in quel tempo lontano. Il secondo “scriptamanent” è del 26 di giugno dell’anno
2015 a firma di Stefano Rodotà - “L'inverno
dei diritti e le contro-Costituzioni", pubblicato sul quotidiano la
Repubblica. Necessiterebbe che oggi la “politica” riflettesse sul malessere creato
alle moltitudini d’Europa e fuori di essa. Rintraccerebbe cause ed effetti del
suo pessimo operato. Ha scritto Stefano Rodotà due anni appena dopo la denuncia
di Barbara Spinelli: L'inverno dei diritti è tra noi, e non è
cominciato ieri. Vengono smantellate le garanzie previste dallo Statuto dei
lavoratori, ultime quelle riguardanti i controlli a distanza, alle quali era
affidata la dignità dei lavoratori. Alte mura si ergono ai confini dell'Unione
europea e tra gli stessi Stati, per allontanare i disperati migranti in forme
che negano la loro umanità. Si spende la parola solidarietà e mai le politiche
sono state così poco solidali. Ai diritti sociali si oppone l'inesorabile
logica economica. Si respingono le proposte sul reddito minimo in nome di una
sua presunta incostituzionalità. (…). Su questo dovrebbero meditare quanti
continuano a parlare di un'enfasi eccessiva posta sui diritti, giungendo fino a
dire che "di diritti si muore". A questa retorica è fin troppo facile
opporre le durezze di una realtà che mostra come si muoia davvero, proprio per
la mancanza di diritti. L'esistenza "libera e dignitosa", di cui
parla l'articolo 36 della Costituzione, si trasforma in vita disperata, in
esistenza precaria, in sfruttamento che sconfina nella schiavitù. Le inchieste
romane hanno mostrato l'indecente uso dei migranti attraverso accordi che
assicuravano agli sfruttatori un euro per ciascuno di loro. Nelle campagne
campane e calabresi lo sfruttamento di chi lavora nell'agricoltura ha assunto
forme di schiavitù gestita anche da organizzazioni criminali, in quelle
siciliane donne rumene vengono obbligate a prestazioni sessuali per mantenere
il lavoro. E dovremmo distogliere lo sguardo dai diritti? Questo accade quando
le società vengono "liberate" dalle costituzioni. Fragili barriere di
carta, illusori riferimenti quando la politica impone le sue durezze? Forse
stiamo per certificare la fine del costituzionalismo nato nel secondo
dopoguerra, quando lo "Stato costituzionale di diritto" venne fondato
sul riconoscimento dei diritti fondamentali e sul controllo di
costituzionalità. Oggi stanno nascendo "contro costituzioni",
dominate dal primato della finanza, alla quale tutto deve essere subordinato.
Qui libertà e diritti non trovano posto, e così è la stessa democrazia a
rischiare la scomparsa. Qui è anche la radice della crisi dell'Unione europea.
L'Europa, terra di diritti, sta negando se stessa. Nel Preambolo della Carta
dei diritti fondamentali è scritto che l'Unione "pone la persona al centro
della sua azione". Nella realtà proprio la persona con dignità e diritti
viene dimenticata e su tutto prevalgono gli impersonali meccanismi del calcolo
economico e le pretese degli Stati membri di agire come meglio credono. (…). Dall'orizzonte dell'Unione scompare anche
un principio innovativo contenuto nella Carta dei diritti fondamentali e nel
Trattato di Lisbona - la solidarietà. Dell'Europa fraterna si perdono le
tracce, come accade quando si rifiuta l'assunzione di responsabilità comuni per
l'accoglienza dei migranti. Lo stesso accade in Italia con l'esplodere degli
egoismi municipali. Tutti ferocemente tesi a chiudersi in identità che
escludono l'altro, e alimentano quello scomparire della coesione sociale e
politica che alimenta il populismo. È vero che non si può invocare la
solidarietà come fosse una bacchetta magica e non l'esito di politiche rigorose
e coerenti. Ma queste politiche possono nascere solo se si parte dalla premessa
del carattere fondativo di quel principio. (…). L'abbandono dei diritti, letti
impropriamente da qualcuno come strumenti di frammentazione individualistica,
nasce della regressione culturale e civile nella quale siamo immersi. Un'Europa
cieca cerca sempre più la salvezza in direzioni sbagliate. Mentre gli Stati
Uniti riducono i poteri della National Security Agency sui controlli di massa,
le leggi di Francia e Spagna (in misura più ridotta quella italiana) imboccano
il cammino opposto con il pretesto della lotta al terrorismo e trasformano le
nostre società in nazioni di sospetti. L'accentramento di poteri di controllo
negli organismi di sicurezza si congiunge così con l'accentramento nelle mani
dell'imprenditore di poteri di controllo elettronico sui lavoratori. Prendere
sul serio l'aggressione ai diritti è indispensabile per mettere a punto
strategie di risposta, oggi affidate quasi esclusivamente alle corti
costituzionali. (…). Ho scritto in altre occasioni che non è un segno di buona
salute di un sistema il concentrarsi della garanzia solo negli organi
giurisdizionali. Ma gli equilibri non si ricostituiscono eliminando le garanzie
essenziali, gridando tutte le volte all'invasione delle prerogative
parlamentari. (…). Né la Corte deve fermarsi se la violazione ha prodotto
effetti finanziari rilevanti. Può "modulare" le sue decisioni, ma
questo non restituisce discrezionalità piena a governo e Parlamento, né la
misura del giudizio può diventare il puro calcolo economico. Altrimenti si
arriverebbe alla paradossale conclusione che più consistente è la violazione,
minore è la possibilità di sanzionarla. Siamo vittime di quello che Alain
Supiot ha chiamato il governo affidato ai numeri, che rende impotente la
politica e impraticabile la via dei diritti. Se non ci liberiamo da questa
ipoteca, né i diritti, né la politica democratica possono salvarsi.
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