Da “Perché ad alcuni potere e denaro non bastano mai?” di Umberto
Galimberti, sul settimanale “D” del 1° di giugno dell’anno 2013: Che
cosa spinge i politici, e non solo loro, a non separarsi mai dal potere? E che
cosa porta i superricchi ad accumulare denaro senza limite, a volte a qualunque
costo? Oltre alla dipendenza dall’alcool, dalle droghe, dal gioco, dal sesso,
esiste anche una dipendenza dal potere e dal denaro. E come chi ha già bevuto
abbastanza non si lascia convincere che forse e meglio che smetta, o chi ha già
perso somme significative al tavolo da gioco non è in grado di interrompere le
puntate, o chi dipende dal sesso non sa contenersi in alcuna circostanza che
cerca o gli si offre, così chi è affetto da dipendenza dal potere o dal denaro
è costretto ad accrescerlo o almeno a mantenerlo a tutti i costi, non perché il
livello raggiunto non gli basta, ma perché se si arrestasse nella sua rincorsa
al potere o al denaro ne andrebbe della sua identità. Più specificatamente,
l’incapacità di abbandonare il potere sembra sia connessa a una carenza di identità
dovuta a scarsi riconoscimenti nell’infanzia, accompagnati da soverchianti
richieste genitoriali che generano un senso di inadeguatezza a cui i più si
rassegnano, mentre gli uomini di potere non cessano di cercare nel
riconoscimento esterno.
Questa teoria, formulata da Manfred Kets De Vries,
della Harvard Busines School, trova conferma nel fatto che per compensare il
bisogno di attenzione, riconoscimento e affetto non riscosso da bambino, l’uomo
di potere ha una sorta di coazione a comparire, a farsi vedere, riscuotere
approvazione, consenso, séguito, per non fare i conti con la scarsa stima di sé
che segretamente avverte. Apprendo (…) dalla lettura di (…) una ricerca
dell’Università di Surrey (che) ha comparato un gruppo di 39 manager di
successo con altrettanti criminali, riscontrando in entrambi i gruppi
caratteristiche antisociali, immoralità e un alto tasso di aggressività, che
nei manager, (definiti ‘psicopatici di successo” a differenza dei criminali,
“psicopatici senza successo”) non è immediatamente visibile e quindi più
pericolosa, accompagnata da un cinismo non dissimile da quello riscontrato nei
criminali. Come si fa, con questa natura, a separarli dal potere? Per quanto
riguarda invece la coazione ad accumulare denaro senza alcun limite e misura,
la spiegazione la si può leggere nel primo libro del Capitale, dove Marx scrive
che ciò che affascina nel denaro non è la sua materialità, ma la sua
“sistematicità”, dovuta alla sua capacità di sostituire tutti i valori, per cui
il capitalista non è avaro, ma ‘feticista”. Su ciò conviene anche il filosofo
Jean Baudrillard che scrive: “Ciò che si adora nel denaro è la conclusa
perfezione di un sistema che viene “feticizzato” e non il ‘vitello d’oro’ o il
“tesoro”. La patologia di chi accumula denaro al di là di ogni misura è simile
a quella del collezionista a cui non interessa la natura delle cose raccolte,
ma la sistematicità dell’insieme collezionato, che gli garantisce la sicurezza
di un mondo chiuso e invulnerabile. E questa invulnerabilità che interessa a
chi accumula denaro, non il denaro in sé. Queste mie risposte (…) sono
naturalmente solo delle interpretazioni, non esaustive ma senz’altro indicative
di comportamenti, (…), altrimenti inspiegabili.
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