“Quellichelasinistra” d’oggi. Ha scritto
Mariana Mazzuccato in “La ricchezza
giusta per la sinistra” – sul quotidiano la Repubblica del 16 di giugno
dell’anno 2015 -: (…). …il capitalismo produttivo è un capitalismo in cui le imprese, lo
Stato e i lavoratori operano insieme per creare ricchezza. Sono cioè tutti
potenziali creatori di ricchezza. Gli emblemi di ricchezza nella moderna
economia della conoscenza, dall’iPhone alla Tesla S, hanno tutti fatto leva su
un settore pubblico strategico, disposto a farsi carico dei rischi e delle
incertezze maggiori lavorando fianco a fianco con un settore privato disposto a
reinvestire i suoi profitti nelle aree «a valle», come ricerca e sviluppo o la
formazione del capitale umano. Oggi sono a rischio entrambi. Da una parte un
settore pubblico timoroso, che cede agli appelli a introdurre ancora più
austerity, che discute delle dimensioni del disavanzo invece che della
composizione del disavanzo, che parla solo di limiti allo spending e non di
investimento strategico. E dall’altra un settore privato ultra-finanziarizzato,
che spende più per riacquistare le proprie azioni che in ricerca e sviluppo e
formazione del capitale umano. I lavoratori, naturalmente, sono anche loro
creatori di ricchezza, non solo per il contributo che offrono, con il loro
capitale umano, alla produzione di nuovi prodotti e servizi, ma anche perché,
nel capitalismo moderno, si assumono a loro volta dei rischi, avendo scarse
garanzie di un lavoro permanente e potendo trovarsi a fare molti sacrifici. La
ricchezza è insomma frutto di un lavoro collettivo, decentralizzato, con
diversi attori pubblici, privati, individui e organizzazioni. È l’assenza di
questo punto di vista ad aver creato una relazione disfunzionale tra imprese e
Stato. Le imprese, presentandosi come le (sole) creatrici di ricchezza, hanno
convinto sia i tories che i laburisti a introdurre misure come la patent box
(le agevolazioni fiscali sui guadagni legati ai brevetti, che si stanno
diffondendo in quasi tutti i Paesi europei incluso l’Italia) che non accrescono
in alcun modo l’innovazione (i brevetti sono già un monopolio garantito per 20
anni) ma servono solo a far diminuire il tax revenue pubblico ed aumentare la
disuguaglianza. (…). Simili politiche disfunzionali sono spesso state motivate
dal desiderio di rendere l’economia più innovativa e competitiva. Ma in pratica
sia il Labour che i Tories si sono limitati ai soliti discorsi sul dare più
risorse alle piccole imprese cosa che ha poco senso quando la maggior parte
delle piccole imprese sono poco innovative, poco produttive e creano anche poco
lavoro. Le poche piccole imprese di valore hanno bisogno di un enorme appoggio
pubblico, come quello che ricevono negli Usa, ed anche di una relazione più
simbiotica con le grandi imprese. La cosa migliore che qualsiasi governo
potrebbe fare per le piccole imprese è insistere perché le grandi imprese
comincino a investire di più, rendendo maggiormente dinamico e mutualistico il
rapporto con le imprese più piccole loro fornitrici. Ma questo vuole dire
appunto mettere pressione sane sulle imprese: non essere solo timidamente
friendly. (…). …questa visione più coraggiosa — della ricchezza di una nazione
creata da tutti, e non solo dalle imprese — può servire anche a costruire
fondamenta più solide per lo Stato sociale (che storicamente ha aumentato le
opportunità per tutti), finanziato non più solo dal contribuente volenteroso,
ma anche attraverso i profitti condivisi delle fatiche di tutti i creatori di
ricchezza.
“Quellichelasinistra” d’oggi guardano al mercato come dio
assoluto, impossibile da contrastare nonché da indirizzare. “Quellichelasinistra”
d’oggi che nel vuoto ideologico che li contraddistingue immaginano
immutabili gli scenari della Storia, da prendere quelli, gli scenari della
Storia, quali calamità discese dall’alto e mandate nell’inferno terrestre da un
dio imperscrutabile e vendicativo che sembra abbia scelto da quale parte stare.
“Quellichelasinistra”
d’oggi che odiano il confronto dialettico, odiano la presenza dei
necessari contrappesi al potere, che studiano leggi e regolamenti che, anziché
incoraggiare e facilitare la partecipazione alla vita sociale e politica,
allontanano sempre più le masse da una oligarchia che vede di buon occhio l’assottigliarsi
del numero delle persone con voglia ed interesse ad impegnarsi in prima persona
nell’agone politico. “Quellichelasinistra” d’oggi
ignorano il mondo del lavoro, ne ignorano i bisogni e le aspettative in nome di
un “capitalismo finanziario” che ha a cuore i suoi stratagemmi speculativi. Sostiene
Alfredo Reichlin nell’intervista concessa ad Alessandro Ferrucci “Lo so noi di sinistra alla fine siamo
stati sconfitti” su “il Fatto Quotidiano” del 2 di novembre dell’anno 2015:
«La
politica non è solo immanenza, è anche formazione di una soggettività, è
visione del futuro; la politica deve leggere il presente con in testa un
disegno per andare oltre l’interesse immediato».“Quellichelasinistra” d’oggi
non vedono e non cercano quell’“andare oltre” indicato da un
novantunenne; come dire, che nulla conta l’anagrafe di “quellichelasinistra” d’oggi.
Che della “sinistra” hanno ben poco. Anzi il nulla. Trascrivo di seguito l’intervista:
Lei
ha detto: “Dietro a Renzi c’è un vuoto politico, non c’è alcuna cultura
politica, non c’è un disegno del futuro”. «Questo è il punto. Attenzione: Renzi
(…) non è un fondatore di partito, non è il fondatore di una cultura di
partito».
E qual è la sua idea di partito? «È una
parte di società che si organizza in nome di una visione della realtà e per
consentire a pezzi del Paese di entrare in una dimensione statale. Il limite di
Renzi è questo».
La visione odierna muta nell’arco di pochi
mesi, come con la vicenda dei 3mila euro (la possibilità nelle
transazioni commerciali di utilizzare 3.000 € introdotta dal governo di Renzi
Matteo n.d.r.). «Eh, sì. Però la politica deve anche essere gestione dell’esistente e
soluzione dei problemi, ma la questione è che oggi la politica non conta più
nulla».
E chi comanda? «Il mio slogan sull’oggi è: i
mercati governano, i tecnici amministrano, i politici vanno in televisione ad
assolvere la funzione della gestione mediata e del simbolico».
Solo apparenza. «Forse esagero, ma le grandi
decisioni non vengono più prese dalla politica, oramai messa in mora
dall’economia».
Da quando? «Dalla grande svolta promossa da
Reagan e dalla Thatcher, quando la finanza
da
infrastruttura dell’economia è diventata struttura a sé, finalizzata a produrre
denaro e ai capitali è stata data la totale libertà di circolazione. Vede, a
suo tempo Gianni Agnelli era una potenza, ma Luciano Lama (ex segretario della
Cgil dal 1970 al 1986) aveva un esercito alle spalle; tu sei il grande
banchiere ma lo Stato può prendere delle decisioni che ti condizionano».
Ma perché questa rottura degli equilibri? «L’economia
si è mondializzata, la politica no, restano gli Stati nazione».
Noi siamo arrivati ad avere Monti presidente
del Consiglio, e un governo di banchieri. «È evidente, ma le ripeto: le vere
grandi decisioni sono altrove e la politica ha cessato di esprimere la funzione
precedente, quella di manifestare un grande potere, attraverso la formazione di
classi dirigenti all’altezza.
Il Pci era radicato sul territorio come
pochi, una forma piramidale distrutta negli ultimi dieci anni. «È tutto lì, e
l’ho detto anche alla commemorazione di Ingrao. Oggi il Parlamento non conta
nulla, si governa solo con i decreti legge, il resto è chiasso».
Con Berlusconi si è rotto un argine... «Lui
è stato il segnale che oramai vinceva questo indirizzo, ma qualcosa è iniziato
anche con la fine del compromesso storico, ma nessuno ricorda bene su quali
basi era nato... Nasceva da grandi preoccupazioni, tra doppio Stato,
terrorismo, trame, crisi economica, inflazione: era un periodo di grandissime
difficoltà, quindi alcuni, in primis Berlinguer, avevano avvertito la necessità
di un accordo simile a quello del secondo dopoguerra tra due grandi forze
popolari.
Perché la storia di cui lei è rappresentante
e protagonista a un certo punto si è interrotta? «Semplice: siamo stati
sconfitti. La sinistra ha inventato i sindacati, i partiti di massa, i diritti
sociali, lo Stato sociale. Lo ha potuto fare perché questi poteri li ha
esercitati, e poteva dire alla sua base ‘io ti conduco e ti apro un orizzonte’.
Se lo Stato viene meno come soggetto in grado di gestire i poteri reali, va in
crisi anche il ruolo della sinistra».
Renzi attacca continuamente i sindacati. «Ovvio,
per lui sono solo un intralcio. Mentre Giolitti rivendicava la trattativa con i
rappresentati dei lavoratori».
Qualcuno ha azzardato il paragone tra Craxi
e Renzi. «Craxi ha inaugurato molto di questa fase, ha distrutto una grande
forza come il Psi; il cerchio magico era suo, un cerchio che ha violato ogni
regola».(…). “Quellichelasinistra” d’oggi, che si specchiano nelle
parole di Alfredo Reichlin.
Nessun commento:
Posta un commento