"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

domenica 26 giugno 2016

Scriptamanent. 19 “Il giudizio universale di JPMorgan e le contro-Costituzioni".



Considerati i tempi straordinari che siamo chiamati a vivere un doppio “scriptamanent” del 26 di giugno. Il primo risale al 26 di giugno dell’anno 2013 a firma di Barbara Spinelli pubblicato sul quotidiano la Repubblica con il titolo “Il giudizio universale di JPMorgan”: (…). La radice europea è il delicato equilibrio tra poteri fissato nelle Carte postbelliche. È il bene pubblico e l’uguaglianza. C’è un problema di retaggio, pontifica il rapporto: un’eredità di cui urge sbarazzarsi, in un’Unione dei rischi condivisi. Troppi diritti, troppe proteste. Troppe elezioni, foriere di populismi (è il nome dato alle proteste). All’inizio si pensò che il male fosse economico. Era politico invece: altro che colpa dei mercati. Unico grande colpevole: «Il sistema politico nelle periferie Sud, definito dalle esperienze dittatoriali» e da Costituzioni colme di diritti fabbricate da forze socialiste. Ecco lo scatto che compie la storia: una crisi generata dall’asservimento della politica a poteri finanziari senza legge viene ri-raccontata come crisi di democrazie appesantite dai diritti sociali e civili. Senza pudore, JPMorgan sale sul pulpito e riscrive le biografie, compresa la propria, consigliando alle democrazie di darsi come bussola non più Magne Carte, ma statuti bancari e duci forti. Le patologie europee sono così elencate: «Esecutivi deboli; Stati centrali deboli verso le regioni; tutele costituzionali dei diritti dei lavoratori; tecniche di costruzione del consenso sfocianti in clientelismo; diritto di protestare se vengono proposte sgradite modifiche dello status quo». (…). Alla luce di rapporti simili si capisce meglio la smania italiana, o greca, di nuove Costituzioni; e l’allergia diffusa alle sue regole fondanti, che vietano l’uomo solo al comando, l’ampliarsi delle disuguaglianze, la svendita delle utilità pubbliche. (…). Si capisce (…) la trepidazione di costituzionalisti come Gustavo Zagrebelsky: ferree leggi dell’oligarchia imporranno una riscrittura delle Costituzioni che svuoterà Parlamenti e democrazia. (…).
Il “Brexit” d’oggi affonda le sue radici in quel tempo lontano. Il secondo “scriptamanent” è del 26 di giugno dell’anno 2015 a firma di Stefano Rodotà - “L'inverno dei diritti e le contro-Costituzioni", pubblicato sul quotidiano la Repubblica. Necessiterebbe che oggi la “politica” riflettesse sul malessere creato alle moltitudini d’Europa e fuori di essa. Rintraccerebbe cause ed effetti del suo pessimo operato. Ha scritto Stefano Rodotà due anni appena dopo la denuncia di Barbara Spinelli: L'inverno dei diritti è tra noi, e non è cominciato ieri. Vengono smantellate le garanzie previste dallo Statuto dei lavoratori, ultime quelle riguardanti i controlli a distanza, alle quali era affidata la dignità dei lavoratori. Alte mura si ergono ai confini dell'Unione europea e tra gli stessi Stati, per allontanare i disperati migranti in forme che negano la loro umanità. Si spende la parola solidarietà e mai le politiche sono state così poco solidali. Ai diritti sociali si oppone l'inesorabile logica economica. Si respingono le proposte sul reddito minimo in nome di una sua presunta incostituzionalità. (…). Su questo dovrebbero meditare quanti continuano a parlare di un'enfasi eccessiva posta sui diritti, giungendo fino a dire che "di diritti si muore". A questa retorica è fin troppo facile opporre le durezze di una realtà che mostra come si muoia davvero, proprio per la mancanza di diritti. L'esistenza "libera e dignitosa", di cui parla l'articolo 36 della Costituzione, si trasforma in vita disperata, in esistenza precaria, in sfruttamento che sconfina nella schiavitù. Le inchieste romane hanno mostrato l'indecente uso dei migranti attraverso accordi che assicuravano agli sfruttatori un euro per ciascuno di loro. Nelle campagne campane e calabresi lo sfruttamento di chi lavora nell'agricoltura ha assunto forme di schiavitù gestita anche da organizzazioni criminali, in quelle siciliane donne rumene vengono obbligate a prestazioni sessuali per mantenere il lavoro. E dovremmo distogliere lo sguardo dai diritti? Questo accade quando le società vengono "liberate" dalle costituzioni. Fragili barriere di carta, illusori riferimenti quando la politica impone le sue durezze? Forse stiamo per certificare la fine del costituzionalismo nato nel secondo dopoguerra, quando lo "Stato costituzionale di diritto" venne fondato sul riconoscimento dei diritti fondamentali e sul controllo di costituzionalità. Oggi stanno nascendo "contro costituzioni", dominate dal primato della finanza, alla quale tutto deve essere subordinato. Qui libertà e diritti non trovano posto, e così è la stessa democrazia a rischiare la scomparsa. Qui è anche la radice della crisi dell'Unione europea. L'Europa, terra di diritti, sta negando se stessa. Nel Preambolo della Carta dei diritti fondamentali è scritto che l'Unione "pone la persona al centro della sua azione". Nella realtà proprio la persona con dignità e diritti viene dimenticata e su tutto prevalgono gli impersonali meccanismi del calcolo economico e le pretese degli Stati membri di agire come meglio credono.  (…). Dall'orizzonte dell'Unione scompare anche un principio innovativo contenuto nella Carta dei diritti fondamentali e nel Trattato di Lisbona - la solidarietà. Dell'Europa fraterna si perdono le tracce, come accade quando si rifiuta l'assunzione di responsabilità comuni per l'accoglienza dei migranti. Lo stesso accade in Italia con l'esplodere degli egoismi municipali. Tutti ferocemente tesi a chiudersi in identità che escludono l'altro, e alimentano quello scomparire della coesione sociale e politica che alimenta il populismo. È vero che non si può invocare la solidarietà come fosse una bacchetta magica e non l'esito di politiche rigorose e coerenti. Ma queste politiche possono nascere solo se si parte dalla premessa del carattere fondativo di quel principio. (…). L'abbandono dei diritti, letti impropriamente da qualcuno come strumenti di frammentazione individualistica, nasce della regressione culturale e civile nella quale siamo immersi. Un'Europa cieca cerca sempre più la salvezza in direzioni sbagliate. Mentre gli Stati Uniti riducono i poteri della National Security Agency sui controlli di massa, le leggi di Francia e Spagna (in misura più ridotta quella italiana) imboccano il cammino opposto con il pretesto della lotta al terrorismo e trasformano le nostre società in nazioni di sospetti. L'accentramento di poteri di controllo negli organismi di sicurezza si congiunge così con l'accentramento nelle mani dell'imprenditore di poteri di controllo elettronico sui lavoratori. Prendere sul serio l'aggressione ai diritti è indispensabile per mettere a punto strategie di risposta, oggi affidate quasi esclusivamente alle corti costituzionali. (…). Ho scritto in altre occasioni che non è un segno di buona salute di un sistema il concentrarsi della garanzia solo negli organi giurisdizionali. Ma gli equilibri non si ricostituiscono eliminando le garanzie essenziali, gridando tutte le volte all'invasione delle prerogative parlamentari. (…). Né la Corte deve fermarsi se la violazione ha prodotto effetti finanziari rilevanti. Può "modulare" le sue decisioni, ma questo non restituisce discrezionalità piena a governo e Parlamento, né la misura del giudizio può diventare il puro calcolo economico. Altrimenti si arriverebbe alla paradossale conclusione che più consistente è la violazione, minore è la possibilità di sanzionarla. Siamo vittime di quello che Alain Supiot ha chiamato il governo affidato ai numeri, che rende impotente la politica e impraticabile la via dei diritti. Se non ci liberiamo da questa ipoteca, né i diritti, né la politica democratica possono salvarsi.

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