(…). Com'era fa vostra vita familiare in quegli anni? «Papà, se poteva, tornava a casa per pranzo, anche se molto tardi, perché arrivava verso le due e mezzo, tre meno un quarto. Ed è stata un'abitudine che i miei genitori hanno sempre voluto mantenere; passate le due non ne potevamo più per la fame, aspettavamo con ansia la telefonata di papà e la sua frase "cominciate a buttare la pasta". E noi: "Finalmente..."».
Altra epoca. «Quando papà morì, il giorno dopo i funerali, fu un dolore nel dolore avere la certezza che da quel pomeriggio il telefono non avrebbe più squillato (si commuove). Fu una sensazione…».
Che sensazione…? «Il primo momento di consapevolezza famigliare dopo un'onda, enorme, di condivisione emotiva».
(…). Berlinguer che fa piegamenti e fa oscillare le gambe. «Gli era stata insegnata da suo nonno materno, un medico, convinto dei benefici».
Qualcuno di voi figli si è mai cimentato con gli esercizi? «No, lo guardavamo con ironia; poi amava camminare, ma una cosa era quando poteva farlo solo con noi, tutt'altra quando, durante il terrorismo, era protetto dalla scorta dei compagni e della polizia».
Sempre il film (“Berlinguer – La grande ambizione” n.d.r.) racconta di una quotidianità non sfarzosa. «Lo stipendio dei dirigenti del Pci era equiparato a quello dei metalmeccanici, il resto andava al partito, anzi mio padre si definiva "privilegiato" perché, in quanto segretario, riceveva 200 mila lire in più. Papà, (…), per sicurezza aveva nascosto 50 mila lire in un libro, salvo non ricordarsi in quale: la domenica lo cercava…».
Germano (Elio Germano, l’interprete n.d.r.) ha colto una differenza: suo padre era un segretario, oggi ci sono i leader. «Condivido, è una distinzione fondamentale: il segretario era l'uomo che guidava il partito, ma si identificava con il suo popolo, che come lui e con lui aveva un progetto di cambiamento della società. Il segretario lavorava per questo insieme al gruppo dirigente e ai militanti. Papà sentiva questa enorme responsabilità, in un momento storico e politico complicato».
Il film parte dall'attentato in Bulgaria. «Appena tornato in Italia, lo rivelò a mamma: "Non è stato un incidente d'auto ... ". Ne uscì praticamente incolume, ma nonostante questo il partito bulgaro provò a trattenerlo per 48 ore. Non ci ha mai più messo piede e noi ogni tanto scherzavamo: "Quest'anno dove andiamo in vacanza, in Bulgaria?"».
Sul Foglio Giliano Ferrara lo ha definito un uomo infinitamente triste in un Paese disperatamente allegro. «È il cliché che gli hanno cucito addosso i suoi avversari politici e d'altra parte non mi risulta che Giuliano Ferrara abbia mai frequentato privatamente mio padre. Certo per chi amava la spassosità di Craxi e De Michelis è difficile comprendere il carattere di papà. Era un uomo a cui piaceva giocare con i figli, scalare, andare in barca a vela, leggere ed era anche talvolta stravagante. Siccome non apprezzava la mondanità e il lusso veniva rappresentato come una persona incapace di allegria. Tutto il contrario».
C'è una (…) una lettera d'amore alla moglie. «Dopo la morte di mamma, abbiamo trovato alcune lettere indirizzate a lei. Lettere d'amore. Tutte iniziavano con "caro amore mio": una grandissima passione e complicità nonostante le differenze. Mamma non era comunista, si sarebbe aspettata un'altra vita, certamente non quella della moglie di un uomo che aveva dedicato l’intera esistenza alla causa».
(…). …emerge l'impossibilità del compromesso storico". «La grande ambizione era quella di rappresentare il bene collettivo; nel '73 c'era stato il colpo di Stato in Cile contro Allende arrivato democraticamente al potere; per questo papà ripeteva: "Non si può governare con il 51 per cento dei voti". L'Italia in quegli anni doveva fare i conti con il partito comunista più grande dell'Occidente, che aveva raggiunto il 34 per cento ma senza poter governare; ma né gli Stati Uniti né l'Unione sovietica potevano permettere che un paese della Nato avesse ai vertici dello Stato un partito comunista arrivato al potere attraverso libere elezioni».
Ci sono le immagini di suo padre al congresso di Mosca. «Papà all'inizio doveva parlare venti minuti, poi quindici infine sette...».
Poco applaudito. «Il meno applaudito: 30 secondi».
A comando. «Era tutto a comando; con lui sono stata una sola volta in Unione Sovietica e sempre si raccomandava: "Parlate solo in giardino perché ci sono microfoni ovunque"».
Per Gasparri bisogna evitare di deificare suo padre. «Dicesse quello che vuole, tanto il suo obiettivo sono anche io: l'anno scorso ha messo in scena una protesta surreale contro me e il mio programma, minacciando di entrare in studio con un megafono per replicare alle affermazioni di un leader politico fatte il giorno prima». (…). (Testo tratto dalla intervista – “Papà era il segretario legato al suo popolo. Ora sono tutti leader” – di Alessandro Ferrucci a Bianca Berlinguer pubblicata su “il Fatto Quotidiano” del 22 di ottobre 2024).
“A lezione da Berlinguer”, testo di Massimo Giannini pubblicato sul settimanale “il Venerdì di Repubblica” del 25 di ottobre 2024: (…). Come parla la politica contemporanea? E il modo in cui parla accorcia o accresce la distanza tra gli elettori e gli eletti? Berlusconi è stato un grande facitore e corruttore del linguaggio: lo ha semplificato e deformato fino alla sua essenza più basica, per portarlo al livello della neo-casalinga di Voghera che guarda Rete4 e piegarlo al servizio del suo disegno cesarista e populista. Oggi, il linguaggio dei suoi epigoni bascula tra l’”apocalittismo difensivo” di Giuli, forbito e sostanzialmente improduttivo, e il tribalismo aggressivo di Meloni, sguaiato e falsamente inclusivo. Cioè tra l’io parlo come voi della premier e il vi piacerebbe parlare come me del ministro. In mezzo non c’è nient’altro. Ma sull’altro fronte come vanno le cose? Gianni Cuperlo, (…), coglie il punto. Vittima del ricatto del presente – l’urgenza di schiacciare la politica e il suo lessico sul brevissimo termine – la sinistra ha giocato al ribasso, finendo per chiudere un bel numero di uffici studi e per aprire altrettanti uffici stampa. Nella convinzione che la debolezza della politica risiedesse negli strumenti della comunicazione, non nei suoi contenuti. Tutto sbagliato. Serve a poco assoldare l’armocromista o rappare dal palco con J-Ax, credendo di ritessere la tela strappata del dialogo con i giovani che non vanno più a votare. Concordo con Cuperlo: serve riformare partiti degni della qualifica e formare classe dirigente. Al cinema lo splendido Berlinguer - La grande ambizione di Andrea Segre – con un mostruoso Elio Germano che al segretario del Pci ha rubato le mosse, lo sguardo, la voce – ci insegna molto. A parte la solita nostalgia canaglia, il modo in cui quell’uomo riusciva a far coincidere il suo modo di vivere e di pensare, le cose che faceva e quelle che diceva, andrebbe fatto studiare a chiunque voglia fare politica. Berlinguer ha fatto i suoi errori, sui quali il film sorvola. Ma è stato un politico onesto perché credibile, o credibile perché onesto. Parlava bene, perché studiava e pensava bene. La gente lo capiva per questo. Come Gramsci, dice nel film «la nostra pazienza è limitata, ma non passiva e inerte». Come Gramsci, aggiungo io qui «istruitevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra intelligenza».
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