"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

sabato 16 novembre 2024

Lavitadeglialtri. 55 Remo Remotti: «Abito in una città in cui non è rimasto più niente e non ho più consigli. Solo desideri residuali. Aiutano a vivere anche quelli».


(…). Andiamo a vedere i tagli previsti dalla manovra di Bilancio, (…) quelli che riguardano la cultura. Perché in questi giorni c'è chi ha preso davvero la calcolatrice, e non per imitare la presidente del Consiglio, ma per cercare di capire dove si taglierà: sappiamo infatti che ai ministeri verrà imposta una spending review sotto forma di taglio lineare da 7,7 miliardi. Giusto, ma quali ministeri? Per fortuna c'è (…) webzine ateatro, che ci spiega come il ministero più colpito sia, sorpresa, quello della Cultura, proprio il protagonista di un'altra serie pop che ci ha intrattenuto di recente, ma vera: meno 147 milioni per il 2025, meno 178 per il 2026 e meno 204 per il 2027. La calcolatrice informa che siamo a meno 529 milioni. Settore più colpito: la tutela del patrimonio culturale, che si vede sottrarre 100 milioni. Ma ce n'è per tutti: via 36 milioni alle belle arti, via 18 ai beni librari e dell'editoria (nonostante le promesse del ministro a Francoforte), via 13,5 milioni ai beni archivistici, via 3 milioni al cinema. Peraltro, ci sono anche 700 milioni di tagli lineari, ci dice ateatro, a Università e Ricerca, e 500 all'Ambiente. «Meno cultura, meno diritto allo studio, meno piste ciclabili, carceri sempre meno vivibili. In compenso, gli investimenti nei nuovi sistemi d'arma crescono a 7,5 miliardi nel triennio, per un totale di 35 miliardi al 2039». Insomma, (…) concentrati come siamo sul taglio (fisico) sul cranio di Sangiuliano ci stiamo distraendo dai tagli non meno sanguinosi che ci aspettano. Bel colpo. Per questo, la cosa preziosa di oggi è Erediterai la terra di Jane Smiley, (…): perché spiega molto bene cosa succede quando, all'improvviso, si riesce a vedere. Ovvero quando due delle tre sorelle Cook capiscono che la terra che il padre Larry decide di lasciare loro affinché continuino il suo lavoro è un inganno, come un inganno è la fattoria stessa e la lotta per diventare i possidenti più ricchi dello Iowa mentre fuori infuria la guerra del Vietnam. Ci si arriva troppo tardi, però, e a caro prezzo, e dopo aver cercato di eliminarsi a vicenda con un barattolo di salsicce avvelenate, senza rendersi conto di chi è il vero avversario. E questo è un monito che dovremmo tenere bene a mente: perché probabilmente siamo solo all'inizio. (Tratto da “Dove finiscono i fondi tagliati a cultura e ricerca” di Loredana Lipperini pubblicato sul settimanale “L’Espresso” dell’8 di novembre 2024).

Uomini&Cinema”. “Solo desideri residuali”, testo di Malcom Pagani pubblicato sul settimanale “d” del quotidiano “la Repubblica” del 9 di novembre 2024: Con Maria Luisa, la prima moglie, non era finita bene.  Ma Remo aveva messo in piazza i suoi dubbi e da grande bugiardo, a suo modo, era stato onesto: "E tra madonne, cere e candelotti/ Maria Luisa Loy diventerà Remotti. Ma se tu per marito non mi vuoi / mi ripiglio il Remotti e tu rimani Loy". Maria Luisa era la sorella di Nanni, il regista che con Detenuto in attesa di giudizio guidò Alberto Sordi fino all'Orso di Berlino e che nei primi anni Sessanta, in Specchio segreto, raccontava con curiosità, ironia e misericordia, italiani che non esistono più. In attesa di giudizio è stato per tutta la sua esistenza anche Remo Remotti. Avrebbe compiuto cento anni a metà novembre e per oltre novanta, dipingendo, recitando, scrivendo libri, poesie e canzoni, viaggiando tra la Germania e il Sudamerica, trottò da «buffone, da pagliaccio, da persona molto fortunata. Sarebbe potuta andare peggio». E peggio, in una vita romanzesca in cui dare sfogo ai generi, a tratti, era andata. Orfano di padre a dodici anni, smarrito a Lima a venticinque tra compagnie di taxi, fabbriche di plastica e risse al tennis club, appoggiato qui e là dalla forza pubblica, «da pericolo inclassificabile e in coincidenza con qualche mattana», nudo e in catene negli agghiaccianti ospedali psichiatrici tedeschi e sudamericani. Frequentatore della fumosa Brera raccontata da Bianciardi, dell'arte dalle tasche vuote, dei Dondero e dei Pomodoro, delle figure epiche, da Fontana - «era curioso, generoso, simpaticissimo, già molto famoso, sempre all'inseguimento dei minuti. La prima volta che mi vide prima ancora di salutarmi mi disse "non ho neanche il tempo di andare a pisciare"» - a Vedova: «grande artista con un animo dispotico, a Ruggero Albanese chiede-va di lavargli la macchina, a me di pulire il pavimento e preparargli il caffè». A un lavoro «rispettabile» Remotti non era destinato. Provò mille impieghi e dai mille impieghi, prima che altri si incaricassero dell'incombenza, si autoesiliò. Fece un colloquio con Furio Colombo per la Olivetti: «Mi congedò con i suoi migliori auguri, non andò bene, corsi a ubriacarmi», lavorò alla Lepetit, controllò biglietti dietro il bancone di una compagnia aerea e poi scelse il palco e le tele, in democratica alternanza, con una fiducia nell'avvenire che confinava con la follia. Mario Gozzano, il direttore della Clinica di malattie mentali dell'Università di Roma, gli spiegò che era un «nevrotico senza rimedio», ma non poteva ancora sapere che quella nevrosi confinava con la poesia. Remo l'aveva sempre inseguita. Come le occasioni. Dopo aver diviso qualche settimana con Marco Bellocchio sul set de Il gabbiano si fece coraggio e telefonò a Nanni Moretti. Si incontrarono, Moretti lo scritturò per Sogni D'oro, Bianca e Palombella rossa. In Sicilia, Remotti incontrò l'amore, nuovamente e per sempre, con Luisa Pistoia, diventando padre di Federica a sessantacinque anni. Luisa e Federica, agenti cinematografiche, sono rimaste a presidiare un pezzo di mondo che Remo conosceva benissimo. Custodi prima ancora che delle celebrazioni di un centenario, di una ricorrenza o di un'occasione, dell'idea che l'arte non abbia bisogno di funerali. Remotti era vitale e sapeva prendersi in giro: «Grazie alla barba ho interpretato Marx, Freud ed Eugenio Scalfari. Tutte persone intelligenti, no?». Da Roma, scrivendo Roma addio, un'invettiva che oggi è diventata un inno, era fuggito da ragazzo per poi tornare, con i capelli già bianchi come l'onda ritorna al mare. Era invecchiato a un passo diverso dalla città. Non ne era contento: «L'età è una fregatura. Una porcheria, devi chiedere aiuto e arrivi a farti schifo», ma sapeva come sor-ridere, consolarsi, cercare I'umorismo, non piangersi addosso: «Abito in una città in cui, se escludi il sole, non è rimasto più niente e non ho più consigli. Solo desideri residuali. Aiutano a vivere anche quelli. Mi passerebbe un bicchiere d'acqua?».

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