"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

venerdì 22 novembre 2024

Lastoriasiamonoi. 21 Marco Mondini: «Lo squadrista non è (solo) un esaltato che desidera sentirsi parte di una milizia in missione per la patria, a volte con un passato militare. È qualcuno che corteggia la morte».


Un anziano, in pieno centro, è stato aggredito e derubato del suo orologio. "Nun sai quanto te capisco", ha commentato Totti. Ecco, speravamo in notizie come questa, o al limite quelle sulla ludopatia di certi calciatori, dato che l'ultima volta che avevamo sentito parlare di "Scommesse e Fagioli" c'era in tv la Carrà con un barattolo. Insomma, eravamo pronti a tutto, ma non a una nuova carneficina. "La prosecuzione della politica con altri mezzi" è una bellissima definizione, ma "gli altri mezzi" sono di merda. Quando al vile e terroristico attacco di Hamas Netanyahu ha risposto dispiegando la forza militare, assediando Gaza e tagliando l'acqua alla popolazione civile, qualcuno ha pensato che stesse rifacendo, ma più in grande stile, tutto quello che aveva provocato il vile e terroristico attacco di Hamas. Le cose sono ovviamente molto più complesse, ma di molto semplice c'è che abbiamo ancora morti e persecuzioni. Non se ne abbia a male il professor Barbero, ma a volte sembra davvero che la Storia insegni solo una cosa: che la Storia non insegna nulla. (Tratto da “Se la storia non insegna alcunché” di Dario Vergassola pubblicato sul settimanale “il Venerdì di Repubblica” del 3 di novembre dell’anno 2023).

LaStoriaDimenticata”. “L’assalto fascista che svelò Mussolini”, testo di Marco Mondini pubblicato sul quotidiano “la Repubblica” di ieri, giovedì 21 di novembre 2024: Bologna, pomeriggio del 21 novembre 1920. Sono trecento, forse un po’ di più, gli uomini armati che fanno irruzione in Piazza Maggiore. A guidarli è Leandro Arpinati, uno degli arrabbiati del nuovo Fascio di combattimento. L’ha rifondato qualche mese prima, l’ha trasformato in un piccolo ma agguerrito esercito pronto a ogni violenza. E l’ha condotto all’assalto dei luoghi simbolo della Bologna rossa. I fascisti hanno distrutto le sedi delle associazioni operaie, saccheggiato la Camera del lavoro, aggredito e cacciato dalla città militanti e capi del Partito socialista. Ora si preparano a conquistare l’ultimo obiettivo: Palazzo d’Accursio, la sede del municipio. Si sono tenute da poco le elezioni amministrative, i socialisti hanno vinto e quel giorno è previsto l’insediamento del nuovo consiglio comunale. Arpinati e i suoi non intendono permetterlo. Armi alla mano, si scagliano contro il palazzo. Scoppia il caos. In piazza si comincia a sparare, qualcuno getta bombe a mano. La folla presente per assistere alla cerimonia sbanda mentre centinaia di militari e poliziotti in servizio di ordine pubblico, che fino a quel momento non hanno mosso un dito, cominciano a tirare a caso, un po’ contro le finestre del municipio, un po’ ad altezza d’uomo. Si spara anche nella grande sala del consiglio. Alla fine, si contano undici morti e una sessantina di feriti. Tutti di parte socialista tranne Giulio Giordani, esponente della minoranza, colpito non si saprà mai da chi, che morirà prima di raggiungere l’ospedale. Da oltre cento anni, la Strage di Palazzo d’Accursio è considerata l’alba dello squadrismo nero. Gaetano Salvemini, esule ad Harvard, ha scritto che l’eccidio di Bologna ha scatenato la reazione fascista in tutta Italia. In realtà, alla fine di quel 1920 le bande paramilitari legate al movimento dei Fasci si sono già distinte per la ferocia nell’eliminare i «sovversivi», o i «rossi» come amano etichettarli (si ignora se usino anche il termine «zecche», ma non pare). In estate a Trieste è stato incendiato il Narodni Dom, ed è partita la caccia agli slavi. In Toscana già si vedono scorrazzare vecchi camion militari con a bordo squadre di giovanotti armati di tutto punto, intenzionati a rimettere in riga i contadini che reclamano troppi diritti. Però è vero che dopo Palazzo d’Accursio i fascisti in tutto il paese si sentono galvanizzati dalla vittoria, politica e mediatica. Invece di arrestare Arpinati e gli altri banditi che hanno scatenato una battaglia per rovesciare le sorti di una regolare elezione democratica, la polizia se la prende con i dirigenti del Psi. Molti vengono arrestati, alcuni condannati dopo un processo farsa. La maggior parte della stampa si allinea all’idea che la colpa sia proprio dei socialisti, bersaglio di una sistematica campagna di disinformazione. Si sparge la voce che il neoeletto sindaco, Gnudi, abbia avuto intenzione di ritirare il tricolore da Palazzo d’Accursio e di esporre uno stendardo rosso, segnale dell’avvento della repubblica sovietica, e che i fascisti abbiano reagito solo per tutelare l’onore della bandiera e della nazione. È falso. Ma è sufficiente agli squadristi per accreditarsi di fronte all’opinione pubblica come i patrioti che hanno impedito a Bologna di diventare la Pietrogrado d’Italia. Bravi ragazzi in camicia nera mentre i consiglieri rossi sono «tiranni sanguinari, non vittime», come avrebbe scritto Luigi Albertini sulle pagine del Corriere della Sera. Infine, il Consiglio comunale viene sciolto e nominato un commissario prefettizio. La storia della democrazia a Bologna termina qui, per un ventennio. Per il fascismo è un trionfo di immagine. E questo, più di tutto, fa di Palazzo d’Accursio ancora oggi un episodio fondamentale per capire cosa sia successo poi. Il collasso dello Stato liberale, il dilagare della violenza politica e l’ascesa al potere di un leader improbabile come Benito Mussolini. È utile tornare a rifletterci oggi, quando termini chiave per leggere il passato e il presente, come «fascismo» e «squadrismo», vengono utilizzati con troppa leggerezza nel dibattito pubblico. Perché non basta radunare gruppi di estremisti che marciano col braccio alzato inneggiando a nazione e onore per parlare di squadrismo. Nel 1920, lo squadrista non è (solo) un esaltato che desidera sentirsi parte di una milizia in missione per la patria, a volte con un passato militare. È qualcuno che corteggia la morte. Molti membri delle squadre sono veterani degli assalti alla baionetta sul Carso. Tutti gli altri vorrebbero tanto esserlo. Non ci si dovrebbe stupire. Dopo anni di trincee e centinaia di migliaia di morti, gli italiani si dividono fondamentalmente in due schiere. Coloro che credono che la rivoluzione russa abbia segnato l’alba di una nuova età dell’oro. E coloro che credono che la Grande guerra abbia rigenerato la nazione, che Vittorio Veneto abbia finalmente rivelato la parte migliore di un’Italia eroica e marziale. E che valga la pena eliminare tutti coloro che non sono d’accordo, nel corso di una guerra civile combattuta in nome del destino, della Storia e del potere. Una guerra civile in cui gli apparati dello Stato, o buona parte di essi, scelgono di schierarsi. Quel giorno, a Palazzo d’Accursio, carabinieri e soldati fanno ala al passaggio degli squadristi. E se proprio devono usare la forza contro qualcuno lo fanno contro i «rossi», sovversivi e traditori della patria. Il culto della morte dopo una guerra lunga e sanguinosa, la volontà di annientare propri concittadini, il tradimento di chi ha giurato di proteggere tutti. Quali di questi elementi ricorrono nelle società europee o negli Stati Uniti di oggi? Come ha scritto lo storico di Harvard, Charles Maier, infastidito dall’inflazione del termine «fascismo» durante le ultime presidenziali statunitensi, viene da chiedersi che senso abbia continuare a usare ossessivamente le categorie del passato per parlare dell’oggi. Perché le democrazie liberali sono sotto attacco, certo, a opera di chi vuole restringere il perimetro delle libertà e dei diritti. E la violenza verbale della destra estrema è minacciosa e preoccupante, a Casa Pound come altrove in Europa. Ma forse è il caso di individuare nuove parole per descrivere i problemi del nostro presente, piuttosto che inseguire vecchi fantasmi. Rischiando di non vedere i pericoli reali.

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