Un anziano, in pieno centro, è stato
aggredito e derubato del suo orologio. "Nun sai quanto te capisco",
ha commentato Totti. Ecco, speravamo in notizie come questa, o al limite quelle
sulla ludopatia di certi calciatori, dato che l'ultima volta che avevamo
sentito parlare di "Scommesse e Fagioli" c'era in tv la Carrà con un
barattolo. Insomma, eravamo pronti a tutto, ma non a una nuova carneficina.
"La prosecuzione della politica con altri mezzi" è una bellissima
definizione, ma "gli altri mezzi" sono di merda. Quando al vile e
terroristico attacco di Hamas Netanyahu ha risposto dispiegando la forza
militare, assediando Gaza e tagliando l'acqua alla popolazione civile, qualcuno
ha pensato che stesse rifacendo, ma più in grande stile, tutto quello che aveva
provocato il vile e terroristico attacco di Hamas. Le cose sono ovviamente
molto più complesse, ma di molto semplice c'è che abbiamo ancora morti e
persecuzioni. Non se ne abbia a male il professor Barbero, ma a volte sembra
davvero che la Storia insegni solo una cosa: che la Storia non insegna nulla.
(Tratto da “Se la storia non insegna
alcunché” di Dario Vergassola pubblicato sul settimanale “il Venerdì di
Repubblica” del 3 di novembre dell’anno 2023).
“LaStoriaDimenticata”. “L’assalto fascista che svelò Mussolini”,
testo di Marco Mondini pubblicato sul quotidiano “la Repubblica” di ieri,
giovedì 21 di novembre 2024: Bologna, pomeriggio del 21 novembre 1920.
Sono trecento, forse un po’ di più, gli uomini armati che fanno irruzione in
Piazza Maggiore. A guidarli è Leandro Arpinati, uno degli arrabbiati del nuovo
Fascio di combattimento. L’ha rifondato qualche mese prima, l’ha trasformato in
un piccolo ma agguerrito esercito pronto a ogni violenza. E l’ha condotto
all’assalto dei luoghi simbolo della Bologna rossa. I fascisti hanno distrutto
le sedi delle associazioni operaie, saccheggiato la Camera del lavoro, aggredito
e cacciato dalla città militanti e capi del Partito socialista. Ora si
preparano a conquistare l’ultimo obiettivo: Palazzo d’Accursio, la sede del
municipio. Si sono tenute da poco le elezioni amministrative, i socialisti
hanno vinto e quel giorno è previsto l’insediamento del nuovo consiglio
comunale. Arpinati e i suoi non intendono permetterlo. Armi alla mano, si
scagliano contro il palazzo. Scoppia il caos. In piazza si comincia a sparare,
qualcuno getta bombe a mano. La folla presente per assistere alla cerimonia
sbanda mentre centinaia di militari e poliziotti in servizio di ordine
pubblico, che fino a quel momento non hanno mosso un dito, cominciano a tirare
a caso, un po’ contro le finestre del municipio, un po’ ad altezza d’uomo. Si
spara anche nella grande sala del consiglio. Alla fine, si contano undici morti
e una sessantina di feriti. Tutti di parte socialista tranne Giulio Giordani,
esponente della minoranza, colpito non si saprà mai da chi, che morirà prima di
raggiungere l’ospedale. Da oltre cento anni, la Strage di Palazzo d’Accursio è
considerata l’alba dello squadrismo nero. Gaetano Salvemini, esule ad Harvard,
ha scritto che l’eccidio di Bologna ha scatenato la reazione fascista in tutta
Italia. In realtà, alla fine di quel 1920 le bande paramilitari legate al
movimento dei Fasci si sono già distinte per la ferocia nell’eliminare i
«sovversivi», o i «rossi» come amano etichettarli (si ignora se usino anche il
termine «zecche», ma non pare). In estate a Trieste è stato incendiato il
Narodni Dom, ed è partita la caccia agli slavi. In Toscana già si vedono
scorrazzare vecchi camion militari con a bordo squadre di giovanotti armati di
tutto punto, intenzionati a rimettere in riga i contadini che reclamano troppi
diritti. Però è vero che dopo Palazzo d’Accursio i fascisti in tutto il paese
si sentono galvanizzati dalla vittoria, politica e mediatica. Invece di
arrestare Arpinati e gli altri banditi che hanno scatenato una battaglia per
rovesciare le sorti di una regolare elezione democratica, la polizia se la
prende con i dirigenti del Psi. Molti vengono arrestati, alcuni condannati dopo
un processo farsa. La maggior parte della stampa si allinea all’idea che la
colpa sia proprio dei socialisti, bersaglio di una sistematica campagna di
disinformazione. Si sparge la voce che il neoeletto sindaco, Gnudi, abbia avuto
intenzione di ritirare il tricolore da Palazzo d’Accursio e di esporre uno
stendardo rosso, segnale dell’avvento della repubblica sovietica, e che i
fascisti abbiano reagito solo per tutelare l’onore della bandiera e della
nazione. È falso. Ma è sufficiente agli squadristi per accreditarsi di fronte
all’opinione pubblica come i patrioti che hanno impedito a Bologna di diventare
la Pietrogrado d’Italia. Bravi ragazzi in camicia nera mentre i consiglieri
rossi sono «tiranni sanguinari, non vittime», come avrebbe scritto Luigi
Albertini sulle pagine del Corriere della Sera. Infine, il Consiglio comunale
viene sciolto e nominato un commissario prefettizio. La storia della democrazia
a Bologna termina qui, per un ventennio. Per il fascismo è un trionfo di
immagine. E questo, più di tutto, fa di Palazzo d’Accursio ancora oggi un
episodio fondamentale per capire cosa sia successo poi. Il collasso dello Stato
liberale, il dilagare della violenza politica e l’ascesa al potere di un leader
improbabile come Benito Mussolini. È utile tornare a rifletterci oggi, quando
termini chiave per leggere il passato e il presente, come «fascismo» e
«squadrismo», vengono utilizzati con troppa leggerezza nel dibattito pubblico.
Perché non basta radunare gruppi di estremisti che marciano col braccio alzato
inneggiando a nazione e onore per parlare di squadrismo. Nel 1920, lo
squadrista non è (solo) un esaltato che desidera sentirsi parte di una milizia
in missione per la patria, a volte con un passato militare. È qualcuno che
corteggia la morte. Molti membri delle squadre sono veterani degli assalti alla
baionetta sul Carso. Tutti gli altri vorrebbero tanto esserlo. Non ci si
dovrebbe stupire. Dopo anni di trincee e centinaia di migliaia di morti, gli
italiani si dividono fondamentalmente in due schiere. Coloro che credono che la
rivoluzione russa abbia segnato l’alba di una nuova età dell’oro. E coloro che
credono che la Grande guerra abbia rigenerato la nazione, che Vittorio Veneto
abbia finalmente rivelato la parte migliore di un’Italia eroica e marziale. E
che valga la pena eliminare tutti coloro che non sono d’accordo, nel corso di
una guerra civile combattuta in nome del destino, della Storia e del potere.
Una guerra civile in cui gli apparati dello Stato, o buona parte di essi,
scelgono di schierarsi. Quel giorno, a Palazzo d’Accursio, carabinieri e
soldati fanno ala al passaggio degli squadristi. E se proprio devono usare la
forza contro qualcuno lo fanno contro i «rossi», sovversivi e traditori della
patria. Il culto della morte dopo una guerra lunga e sanguinosa, la volontà di
annientare propri concittadini, il tradimento di chi ha giurato di proteggere
tutti. Quali di questi elementi ricorrono nelle società europee o negli Stati
Uniti di oggi? Come ha scritto lo storico di Harvard, Charles Maier,
infastidito dall’inflazione del termine «fascismo» durante le ultime
presidenziali statunitensi, viene da chiedersi che senso abbia continuare a
usare ossessivamente le categorie del passato per parlare dell’oggi. Perché le
democrazie liberali sono sotto attacco, certo, a opera di chi vuole restringere
il perimetro delle libertà e dei diritti. E la violenza verbale della destra
estrema è minacciosa e preoccupante, a Casa Pound come altrove in Europa. Ma
forse è il caso di individuare nuove parole per descrivere i problemi del
nostro presente, piuttosto che inseguire vecchi fantasmi. Rischiando di non
vedere i pericoli reali.
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