Il fruscio delle Carte da gioco, il muoversi delle mani, il murmure monotono del cronofono nel soffitto della Caserma del fuoco «... una e trentacinque, mattino, martedì, 4 novembre… una e trentasei... una e trentasette, mattino...". Il lieve battito delle carte sul piano sudicio del tavolo, tutti i rumori raggiungevano Montag dietro i suoi occhi chiusi, dietro la barriera che aveva eretto momentaneamente. Poteva sentire la Caserma del fuoco piena di scintillii, di luminosità e di silenzio, di colori bronzei, i colmi delle monete, dell'oro, dell’argento. Gli uomini invisibili dall'altra parte tavola stavano sospirando sulle loro carte, in attesa di «...una e quarantacinque…» e la voce del cronofono si rattristava sulla fredda ora di un freddo mattino di un ancor più gelido anno». (Tratto da “Fahrenheit 451” – 1953 – di Ray Bradbury).
“LaPoliticaVuota”. “Libertà è partecipazione”, testo di Filippo Ceccarelli pubblicato sul settimanale “d” del quotidiano “la Repubblica” del 26 di ottobre 2024: In un tempo ormai abbastanza lontano, grosso modo dal secondo dopo-guerra ai primissimi anni 80, l'unione non solo ha fatto la forza, ma pure la Grande Politica, ciò di cui al momento ci si è dimenticati. Così, se i proverbi hanno anche un valore retrospettivo, converrà qui ricordare che quando c'era da prendere una decisione, effettuare una nomina, battezzare una formula, inaugurare una riforma, dar vita a un altro governo o a una campagna d'opposizione, ecco, quante più persone partecipavano al processo, tanto più stabile e durevole si rivelava la soluzione - ma che fatica! C'era dunque un rapporto molto stretto fra il tempo e le moltitudini coinvolte nel processo decisionale. In quel meraviglio-so saggio che è Massa e potere, Elias Canetti dimostra come la suprema legge regolatoria, il motore segreto su cui si alimenta la vita dei popoli non è altro che il numero, il quale a sua volta ha la tendenza ad autoaccrescersi secondo modalità di tempo, spazio e relazioni che ai nostri occhi appaiono sempre uguali e al tempo stesso differenti. Per portare il suo partito al centrosinistra Aldo Moro impiegò anni di inauditi sforzi e inverosimili tessiture. Dovette vedersela con pontefici diffidenti, vescovi riottosi, imprenditori spaventati, alleati internazionali contrari, servizi segreti che remavano contro. C'era pure un bel pezzo del suo partito che apertamente non era d'accordo sul progetto di apertura a sinistra; altri suoi colleghi sarebbero stati anche disponibili, ma di continuo fissavano paletti, chiedevano garanzie, imponevano contrappesi. Al congresso di Napoli, gennaio 1962, Moro parlò alla platea per più di sei ore. Andreotti, che sul centrosinistra aveva parecchie riserve, paragonò la relazione all'enciclica Casti connubii; l'abilità morotea fu quella di non annunciare mai esplicitamente l'alleanza organica con i socialisti, ma di porre una serie di condizioni e premesse che la resero, prima ancora che possibile, accettabile. In altre parole, per conseguire il risultato, da parte dei vertici occorreva sempre e pregiudizialmente chiedersi come avrebbe reagito la base del partito e in che modo era opportuno agire perché la maggior parte degli amici, dei compagni o dei camerati - a seconda delle denominazioni che facevano riferimento alle varie culture politiche - fossero ben convinti della scelta. La base, appunto, era considerata un'entità quasi magica, una sorta di centralina o scatola nera della rappresentanza, per cui lungo una filiera di responsabilità che procedeva nei due sensi ciascuno accordava fiducia a qualcun altro, il quale si sentiva obbligato a farne buon uso e, prima o poi, a renderne conto. In questo senso le scorciatoie leaderistiche furono a lungo proibite mentre quelle oligarchiche, ancorché abbondantemente praticate, malviste. Il circuito politico pullulava di discorsi: persuasivi, accorati, razionali; le parole non erano mai considerate uno spreco di tempo e di energie. Dopo la morte di Berlinguer il suo assistente e portavoce Tonino Tatò ha raccontato la genesi dell'espressione "compromesso storico" con cui nel settembre del 1973 il leader del Pci offriva agli storici avversari dello scudo crociato una sorta di alleanza perché consapevole che le condizioni geopolitiche dell'Italia non consentivano ai comunisti di accedere al governo: «Lui sta seduto in pizzo in pizzo alla poltroncina, dinanzi al tavolo tondo del soggiorno, in canottiera, pantaloni di flanella, pianelle di cuoio ai piedi, sigaretta accesa tra le labbra (allora fuma¬va le Turmac rosse), occhio sinistro semichiuso per evitare il fumo, biro con inchiostro nero nella mano destra, davanti a parecchi fogli». Berlinguer aveva quasi finito, ma l'ultima frase dell'articolo per Rinascita era tanto decisiva quanto incompiuta. Tatò chiese il foglio: «La gravità dei problemi - c'era scritto - le minacce incombenti di avventure reazionarie e la necessità di aprire finalmente alla nazione una sicura via di sviluppo economico, di rinnovamento sociale e di progresso democratico rendono sempre più urgente e maturo un...». E qui Berlinguer si era fermato. Ma la parola che gli ronzava in testa era sempre quella: "Compromesso". Ma occorreva affiancarla a un aggettivo che le assegnasse «un senso di durata strategica». Anche da questi sforzi prendeva vita l'epopea corale che segnò la vita democratica di due generazioni. La vita di sezione del resto era parte dell'esistenza di chi s'impegnava non si dirà per il bene comune, ma per quello, comunque, di milionidi persone. Però tutto era sempre lentissimo, procedeva millimetro dopo millimetro, occorreva soprattutto saper aspettare e nemmeno alla fine ci si rendeva conto che milioni di individui avevano speso il loro tempo e le loro energie per un medesimo obiettivo. È difficile stabilire quando di preciso il numero e la pazienza che avevano fatto grande la storia esaurirono la loro potenza, ma se ne videro chiaramente gli effetti in termini di sfiducia collettiva nei confronti della politica. La perdita dell'anima portò rapidamente alla decadenza degli ideali, le piazze si svuotarono, addio ai grandi raduni, si aprì l'era della tv e dei divani, la solitudine degli schermi e delle nevrotiche tastiere.
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