"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

domenica 17 novembre 2024

CosedalMondo. 19 “In quel mondo di Trump”.


Il claim dell'attuale mega-sputtanamento potrebbe essere "La mia banca dati è differente"; sì, perché fornisce dati sensibili con grandissima insensibilità. Con veri e propri dossieraggi, oggi, chiunque può essere controllato in modo incontrollato. Le cronache infatti pullulano di intercettatori di cellulare, gran figli di trojan, informatici in grado di informarsi su qualunque cosa. Ormai la riservatezza è riservata agli hacker che ficcanasano raramente nei server della gleba, e più spesso nelle vite di politici e imprenditori influenti, come se questi il peggio non lo facessero già in pubblico. Per questo, forse, il mal di malware ci riguarda pochino. Un tempo si diceva "è un libro aperto", oggi si dice "è un tablet craccato", ma la solfa non cambia: la gente comune non ha tanto bisogno di violare archivi secretati per pensar male di chi siede ai posti di comando di questo Paese. Perché, sebbene circondati da furbi digitali, non siamo ancora diventati "così coglioni da non capire che non esistono poteri buoni". Diciamo che ci fidiamo della loro malafede.
(Tratto da “Libri aperti e tablet craccati” di Dario Vergassola pubblicato sul settimanale “il Venerdì di Repubblica” del 15 di novembre 2024).

InQuelMondodiTrump. 1 “Da paura”, testo di Diego Bianchi: “Metto a confronto i quattro anni di Trump con i quattro anni di Biden. Col primo nessuna guerra, col secondo tante guerre. Quindi io voterei per la pace», mi ha detto l'autista Uber pakistano che mi ha accompagnato a vedere un seggio elettorale nel Maryland, poco fuori Washington D.C., nel giorno conclusivo delle elezioni americane. L'autista usava il condizionale in quanto, non essendo ancora cittadino americano, e mancandogli un mese al completamento della procedura che spera lo renderà ufficialmente tale un giorno, non ha potuto votare. Tuttavia, esercitandosi all'ipotesi di dover compiere prima o poi il proprio dovere di elettore, non sembrava avere dubbi. Trump è la risposta, la soluzione, la cura anche per lui che sta negli Usa da appena sette anni, e che non si è lasciato influenzare nel giudizio dal linguaggio razzista e xenofobo del candidato repubblicano. «Chiama "selvaggi" solo i migranti irregolari», sosteneva a riguardo, sentendosi fuori dal mazzo, e quindi fuori pericolo. Per avere un'idea di come sarebbero finite le elezioni, salire in macchina con autisti Uber quasi sempre immigrati è stato il sondaggio migliore. Un altro, di origine indiana, accompagnandomi alla Howard University dove era previsto che la Harris avrebbe seguito lo spoglio, mi ha detto di non aver votato, autodenunciandosi, con malcelato orgoglio, come «double hater», vale a dire doppiamente odiatore. «La Harris da vicepresidente non ha fatto niente, e quell'altro è un criminale», ha chiosato prima di farmi scendere tra gli studenti afroamericani dell'università che fu della candidata e che quella sera non sarebbe arrivata mai. Ed era pieno di figli di migranti, soprattutto "latinos forTrump", anche il piccolo palazzetto dello sport di Reading, Pennsylvania, uno degli swing state (presunti decisivi stati in bilico che poi in bilico, si sarebbe scoperto a spoglio ultimato, non erano affatto). Quando ho visto e ascoltato Marco Rubio, senatore repubblicano della Florida, nato a Miami da genitori cubani, aizzare il pubblico in attesa di Trump con parole di fuoco contro l'immigrazione irregolare e il caos generato dai democratici incapaci di gestirla, nella mia testa ho visto gli Usa colorarsi rapidamente di rosso (che qui è un colore meno bello che nel resto del mondo). Proteggere se stessi, anche dai propri simili, quando non in linea teorica dai propri avi, sembra essere la basica priorità di questo tempo egoista e senza scrupoli, impaurito di tutto e di niente, figuriamoci di Trump.

InQuelMondodiTrump. 2 “I miei zii d’America”, testo di Massimo Giannini: (…). …la variante della vecchia Legge di Murphy: se qualcosa può andare a destra, ci andrà. Infatti ci sta andando. Chissà, sarà questione di cicli storici, tipo ere geologiche. Negli anni 80 dominarono il campo gli iper-liberisti Reagan e Thatcher, nemici delle classi sociali e affamatori delle bestie statuali. Nei 90 arrivarono i riformisti guidati da Clinton e Blair, teorici della Terza Via e dell’Ulivo mondiale. Nella prima decade dei Duemila toccò alle destre militariste comandate da Bush il Giovane, seguito da Sarkozy, Berlusconi e i dissennati “esportatori di democrazia”. All’inizio della seconda decade spuntarono i neo-progressisti di Obama, con i “magnifici cinque” europei in camicia bianca: Renzi, Post, Valls, Sánchez e Samson. Ora è di nuovo il tempo delle destre dure e pure. “The Donald” e i populisti-sovranisti della Ue, numi tutelari di elettori impauriti e impoveriti. Le Meloni e gli Orban sono già in partita, i lepenisti francesi e i neonazisti tedeschi scaldano i muscoli a bordo campo. Per provare a comprendere l’incomprensibile – cioè la rielezione di un presidente autoritario, pregiudicato, bugiardo e sessista – adotto sempre una regola: mi rivolgo ai miei zii d’America. In senso proprio: ne ho due, marito e moglie, carissimi, affezionatissimi, italianissimi, che vivono oltre Atlantico da 60 anni. I primi 9 in Australia e Canada, poi sempre negli States: Pittsburgh, Denver, Houston. Belle persone: istruite, intelligenti, integerrime. Gli voglio un bene dell’anima. E sono testimone della loro progressiva metamorfosi. Lui era un laico e libertario, lei una democristiana di buon senso. Oggi lui è un born again, un “cristiano rinato” che ha sentito la «chiamata di Dio» mentre viaggiava in macchina in Nevada, mentre lei è una soldatessa di Gesù che «per fortuna mi ha salvata da una malattia mortale». Si sono costruiti uno chalet in Montana, per fuggire da un Texas «invaso dagli ispanici». Non fanno beneficenza, «perché abituano i poveri a non fare niente». Contestano i sussidi statali, «perché deresponsabilizzano i giovani». Approvano la pena di morte, «perché ha un fondamento etico». Hanno due figli, ciascuno dei quali ne ha altri due. Il maschio più grande viveva in Colorado, Stato democratico, ma si è trasferito con moglie giapponese e bambini in una piccola comunità dell’Idaho, Stato repubblicano, «perché qui le leggi riflettono il nostro modo di vivere e di pensare». Tutta la famiglia allargata ha votato e rivotato Trump, approvato l’assalto a Capitol Hill, vissuto Biden come «un incubo». Non è andata mai più a New York, «dove la gente si accoltella per strada», né a Philadelphia, dove «i ragazzi muoiono tutti per droga». Oggi i miei zii d’America sono di nuovo felici: Lui è tornato, loro si sentono protetti.

N.d.r. I testi sopra riportati sono stati pubblicati sul settimanale “il Venerdì di Repubblica” del 15 di novembre 2024.

Nessun commento:

Posta un commento