"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

domenica 8 settembre 2024

MadeinItaly. 33 «Il “cazzo” è un organo di conoscenza, cioè di penetrazione. Dunque serve a capire» (l’aureo pensiero, di Vittorio Sgarbi, libratosi nel mese di giugno dell’anno 2023 al “Maxxi” di Giuli).


(…). …la prima doverosa premessa è che siamo tutti una manica di peccatori, alcuni anche molto teneri, ma irrimediabilmente stupidotti. (…). Senza partire dalla Bibbia o dai poemi omerici in passato tutto era comunque molto più facile. «Tre cose un uomo politico deve evitare per campare tranquillo - era una delle battute preferite di Ronald Reagan, classe 1911: - Le donne, le donne e poi ancora le donne». Seguiva risata, con relativa esibizione di dentiera. E insomma, pure in Italia quanto avveniva era sempre più o meno colpa delle donne. Perfino Claretta Petacci, che pure pagò un prezzo terribile, venne indicata come una causa della rovina del fascismo: «Fa più male lei al Duce che dieci battaglie perse» sentenziava il capo dell’Ovra Guido Leto. La faccenda oltretutto andava ben al di là dell’ideologia. Alla Costituente Secchia e D’Onofrio, l’ala dura del Pci, erano convinti che Nilde Iotti, la giovane amante di Togliatti, fosse una spia del Vaticano e dopo aver a lungo negato una casa a quella coppia irregolare, gliela riempirono di microfoni. (…). …anche sulla successione di Alcide De Gasperi volteggiò l’inesorabile “femmina fatale”, con tanto di soprannome, “il Cigno nero”, al secolo Annamaria Moneta Caglio, le cui rivelazioni diedero la stura all’affare Montesi. Del resto è pur vero che di tanto in tanto i potenti perdono la testa per amore - ah, quanto dileggiato, quel sentimento, nei palazzi del potere! O almeno così si tramanda nelle narrazioni collettive che mezzo secolo fa animavano le carte di polizia, trent’anni orsono i rotocalchi del parrucchiere e ora i siti dediti a quel gossip che Meloni ha (…) deciso sdegnosamente di “lasciare ad altri”. Qui di seguito, giusto tre esempi al volo di preteso rimbambimento, com’è ovvio tutti da sostanziare. Dunque, Craxi che mandò a picco il glorioso Psi per via del turbolento rapporto con Ania Pieroni; Fini che si giocò la carriera cadendo fra le braccia di un’aspirante soubrette (e della sua vorace famigliona); e un importante ex ministro dell’Interno, sciarada caritatevole, che combinò diverse scemenze per via di una vistosa signora fattasi fotografare accucciata su una Ferrari. Di solito le istituzioni prediligono la monogamia e sconsigliano le pulsioni sessuali. A differenza dei proverbi, mai così utili come nella stagione post-ideologica, la pubblicistica del comando trascura questo genere di variabili. Ma nel tronfio, goffo e buffo repertorio delle sbandate “all’italiana” trova un posto d’onore la commedia amorosa che nel 1993, proprio quando stava venendo giù la Prima Repubblica, terremotò gli Stati Maggiori delle Forze Armate: un generale responsabile delle operazioni di pronto intervento aveva appunto perso la testa, e pare di ricordare anche un po’ di soldi, appresso alla loquace moglie di un colonnello, donde l’istantaneo soprannome di “Lady Golpe”. A questo punto la domanda è inevitabile: ma Berlusconi? E la risposta, a costo di spedire con forza il pallone in tribuna Vip, è: che nostalgia! Rispetto all’annaspante pochade sangiulianesca il Cavaliere si staglia come un imperatore, un gigante, un idolo dell’avventura, del desiderio e della follia. Il Cavaliere non si accontentava di una sola passione e come il Faust di Goethe, con uno dei suoi fantastici sorrisi, avrebbe potuto spiegare: «Donne, dico: perché, una volta per tutte, / sia chiaro, io le belle le penso al plurale»; con il che ecco che l’eccesso quasi ne riscatta il ricordo. Certo, guai ne ha avuti, anzi se li è andati proprio a cercare, col risultato che senza tutte quelle amichette forse oggi sarebbe ancora tra noi, magari al Quirinale. Ma pure da lassù c’è da credere che in questi giorni si sarebbe divertito: a proposito, «conoscete la storiella di Sangiuliano e della Boccia?». (Tratto dal testo di Filippo Ceccarelli “Da Petacci a Lady Golpe quando il potere prende una sbandata”, pubblicato sul quotidiano “la Repubblica” del 4 di settembre 2024).

«Il Druido “Argonauta” inquieto cultore destro da “Libero” a Gramsci» di Pino Corrias pubblicato su “il Fatto Quotidiano” di oggi, domenica 8 di settembre 2024: Alessandro Giuli, il nostro nuovo ministro addetto all’egemonia culturale basata sulla competenza, è dinoccolato, come la sua storia: fascista, postfascista, neopagano, romanista. Veste color panna montata e anche la produce: “Invece di politicizzare la cultura dobbiamo culturalizzare la politica”. Indossa panciotto, cravatta, fermacravatta. Un anello per dito, una pietra per anello. A cornice degli occhi cerulei, gli arreda le guance una coppia di scopettoni che un tempo venivano chiamati “favoriti”: sono il suo personale omaggio ai secoli passati, quando li usavano i marescialli asburgici a caccia di medaglie, e da noi il conte padano Alessandro Manzoni, devoto della Provvidenza. Quando parla tiene il sorriso in folle. Ogni tanto dà gas e insieme con gli occhi guizzanti, dice cose tipo: “Mi sento un progressista conservatore. Sono a sinistra della destra”. O addirittura: “Ma sì, sono un vecchio camerata che oggi ammira Gramsci”. Quando cede alla confidenza notturna e in tv suona il flauto del dio Pan, si dichiara “estimatore del paganesimo” dei folletti e addirittura “delle radici precristiane”. Non per nulla porta tatuata sul petto un’aquila. E sul braccio lo scettro di Spoleto, che è roba di antichi scavi funerari umbri, con tori in calore. Giuli è romano. Famiglia di piccola borghesia, padre camerata, madre democristiana. Nascendo nel 1975, gli anni di Piombo li trascorre all’asilo. Tuttavia a 16 anni va a destra della destra di Pino Rauti. Fonda la banda di Meridiano Zero, che sono fascistelli dediti a molestare gli immigrati e i collettivi studenteschi della Pantera. Frequenta le sezioni missine di Colle Oppio e Garbatella, dove conosce la biondina che dirige Azione studentesca, tale Giorgia Meloni, di cui tutti ammirano la giovinezza e l’ostinazione. Giuli è pigro, fa il militante a singhiozzo. Si ravvede dal Meridiano, o almeno lo dice: “Dobbiamo superare la logica neofascista che comunque abbiamo rappresentato e di questo siamo fieri”. Si iscrive a Filosofia, legge Evola. Fa gli esami, ma non la tesi. Per sbarcare il lunario scrive per Libero. Bazzica la casa editrice Settimo sigillo che pattina tra antisemitismo, esoterismo, massoneria e nichilismo un guazzabuglio culturale che infine si scioglie nella chiarezza della biografia di Hitler. Quando incontra Giuliano Ferrara se ne invaghisce, “mi ha assunto dopo un colloquio di tre secondi”, dirà vantandosene. Dentro al Foglio fa carriera. Ma quando il capo sceglie come suo successore Claudio Cerasa, Giuli si abbottona il panciotto e se ne va. Cerca fortuna in Rai, dove gode di così tanto credito professionale da inanellare una serie di trasmissioni senza capo né coda, tipo “Seconda linea”, “L’Argonauta”, “Povera Patria” e altre sciocchezze qualche volta chiuse in anticipo. Sarebbe ancora lì, in carico permanente alla Rai colonizzata, se la sua amica Giorgia non avesse pescato le tre ciliegie elettorali, sbancando la sinistra litigiosa. Giuli, – insieme con Pietrangelo Buttafuoco e il povero Gennaro Sangiuliano – forma la triade culturale della destra di governo e di vendetta. A Pietrangelo, che sa di letteratura e Islam, tocca chissà perché la Biennale di Venezia. Gennaro diventa “o’ ministro”, a sentir lui per diretta discendenza dantesca. A Alessandro che “non distingue la cornice dal quadro” (copy Dagospia) tocca la presidenza del Maxxi, che sarebbe il maggiore museo nazionale per l’Arte contemporanea. Ci entra per la prima volta facendosi spiegare da pazienti collaboratrici la differenza tra il figurativo e l’astratto; tra il “Bevitore” di Teomondo Scrofalo e un monocromo di Schifano. Sui giornali ci finisce una sola volta, giugno 2023, quando credendosi spregiudicato invita Vittorio Sgarbi e Morgan, impegnandoli in un dibattito che subito scivola su quello che hanno di più caro, la prostata. Sgarbi ci mette un attimo a entrare in argomento: “Il cazzo è un organo di conoscenza, cioè di penetrazione. Dunque serve a capire. Ma dopo i 60 anni ci tocca avere a che fare con questa troia di merda della prostata”. Va avanti così per mezzora. Morgan e il pubblico ridono beati. Giuli frigge sulla sedia, si gratta i favoriti, capisce e non capisce, salvo che il putiferio scoppiato nella notte, lo obbliga a scrivere una scivolosa lettera di scuse ai lavoratori e alle lavoratrici del Maxxi “per il disagio suscitato dal turpiloquio”. Promettendo che “per il sessismo non c’è diritto di cittadinanza nel discorso pubblico e in particolare nei luoghi della cultura”. Da lì in poi i luoghi della cultura, Giuli li frequenta tutti, convegni, presentazioni di libri, talk show. Dove sfoggia citazioni preferibilmente di filosofi ante domini, tipo Socrate, Platone, Anassimandro. Ma non disdegnando i più recenti Battiato e Battisti. Gli piace dire cose sorprendenti: “Il Mediterraneo è un mare che unisce, non separa”. E poi: “Dobbiamo ragionare in termini euroafricani, allargare il nostro sguardo attraverso la cultura, il linguaggio universale dell’arte”. E ancora: “Il Ponte sullo Stretto è una necessità immateriale oltre che materiale, perché è un corridoio culturale con il Nord Africa, la nostra koinè d’origine”. In quanto alla politica si è perfettamente aggiornato. Fino a un paio di anni fa ammirava “Putin il patriota” e “Trump, il comandante in capo”. Se la intendeva con l’anti-satanista Steve Bannon. Sfilava a Atreju abbracciato a tutto lo stato maggiore dei Fratelli d’Italia e pure dei cognati, visto l’incarico della sorella, portavoce prima di Lollobrigida poi di Arianna, anche lei assunta per merito. Ora s’è fatto sempre più moderato. O almeno lo dice: “Considerato che la sinistra ha perso la capacità di capire e di rappresentarsi, serve una destra moderata che interpreti il presente”. Che sappia “intendere la cultura come base di civiltà. E sto citando Spengler”. Che sappia curare “il grande malanno delle nostre classi dirigenti, affette dall’ipertrofia del desiderio acquisitivo”, che sarebbe quello di fare soldi con lo scopo di fare soldi, ma senza “un punto di approdo”. Per Giuli il punto di approdo è la caducità del corpo e “il tempo transeunte” perché “siamo tutti di passaggio. E sto citando Eraclito”. Il suo passaggio transeunte – dopo il matrimonio e due figli – è la corona di ministro. All’ultimo incontro pubblico con Sangiuliano ha detto: “Chi è di destra dovrebbe avere a cuore la cosa pubblica come una cosa sacra”. Chissà se in queste ore a Jenny Delon, cascato con lacrime tra le ceneri di Pompei, stanno fischiando le orecchie.

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