"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

sabato 21 settembre 2024

MadeinItaly. 35 Massimo Giannini: «Longanesi e Flaiano dicevano che in Italia la rivoluzione non si può fare perché ci conosciamo tutti».


Ha di nuovo pagato lui, e stavolta non con la sua carta di credito, ma con quella di discredito. La brutta notizia è che Sangiuliano non è più ministro della Cultura. Brutta per lui, chiaramente, non per la Cultura. Siamo tutti amanti dell'Arte e del Bello, solo che evidentemente qualcuno era più amante degli altri. Nelle scorse settimane abbiamo assistito al più grande avanspettacolo dopo il Big Bang, un classico del Kamasutra politico: la posizione del "Dimissionario", cioè "lui sopra" e "la dignità sotto". Da quando i panni sporchi si lavano al Tg1, in interviste a mezzo busto ma a figuraccia intera, ci è toccato sorbirci le "lacrime napulitane" di chi mostrava i suoi biglietti come prima avevamo visto fare solo al gate degli aeroporti. Ma alla fine, implacabilmente "memizzato" e dipinto come un "ipertrofico lepidottero" perché "farfallone" suonava male, Gennaro detto Genny ha dovuto cedere, invischiato in una torbida relazione a metà tra auto blu e cronaca rosa. Cose che capitano, tutto il nostro rispetto per questo governo senza macchia... e con giusto qualche macchietta. (Tratto da “Un classico da kamasutra politico” di Dario Vergassola, su “il Venerdì di Repubblica” del 20 di settembre 2024).

TuttoGiuli”. “Il divo Giuli” di Massimo Giannini, pubblicato sul settimanale “il Venerdì di Repubblica” di ieri, venerdì 20 di settembre 2024: Avevano visto giusto, Longanesi e Flaiano, quando dicevano che in Italia la rivoluzione non si può fare perché ci conosciamo tutti. Siamo il Paese dell’amichettismo, praticato nella modica quantità dalla sinistra, elevato a sistema dalla destra. Siamo il Paese delle igieniste dentali, lanciate in tv e nelle liste elettorali dal Cavaliere e candidate nelle istituzioni museali dai suoi epigoni. Lo dico con tutto il rispetto per la categoria: la mia igienista dentale è seria, professionale, colta e brillante, le chiederò se hanno proposto anche a lei la reggenza del Maxxi, lasciato libero da Alessandro Giuli neo ministro della Cultura. (…): la pulizia della placca e l’ablazione del tartaro, sotto il profilo culturale, sono un deposito di conoscenza infinitamente più prestigioso, rispetto alla pur qualificante esperienza maturata nelle sagre enologico-letterarie di paese. Lo dirò al mio amico Giuli, pronto a sospendere le ultime nomine varate poche ore prima delle dimissioni da Caligola-Sangiuliano, che giustamente ha promosso anche qualche suo cavallo. Conosco Alessandro dai tempi del Foglio (purtroppo ho bucato gli anni d’oro della sua militanza nel Fronte della Gioventù, abbandonato per le posizioni politiche incomprensibilmente moderate degli iscritti, e della sua educazione ai riti esoterici e al culto di Odino, praticati per le evidenti implicazioni moderne delle teogonie pagane). Giuli è uomo colto ancorché non laureato, ma in questi tempi meloniani e vannacciani di “merito al contrario” questo è uno skill imprescindibile (…). Con lui, al Salone del Libro, ho fatto un bel dialogo sulla “nuova egemonia culturale della destra”. Nel suo dotto libro, intitolato Gramsci è vivo, il successore del “Bombolo del Golfo” evoca l’intero pantheon delle sinistre, da Togliatti a Berlinguer. Invita i camerati a uscire dalle “prigioni ideologiche”. Gli spiega Calogero, e “il dovere di comprendersi”. Gli insegna Bobbio, e “la fecondità del dialogo”. Gli ricorda Ciampi, e la necessità di “accettare le differenze”. Gli illustra Mounk, e il “patriottismo costituzionale e inclusivo”. Se fa politica culturale usando il suo libretto, sarà il primo ministro bolscevico in un governo neofascista. Alessandro mi incanta, con pensieri altissimi sul concetto di “imperium”, sull’“eterno presente delle cose”, sull’imperitura lezione di Nietzsche e dell’uomo che “non è, diviene”. Ma appena lo vedo voglio capire: l’igienista dentale, adesso, dove la metti?

EccellentiBiografie”.  “Quel passato un po’ nazista” di Diego Bianchi su “il Venerdì di Repubblica” del 20 di settembre 2024: «Ma no, non era fascista, da giovane era proprio nazista, faceva riti sacri col sangue, metteva svastiche ovunque», sento dire da un gruppo di persone vicino a me. Tra di loro ci sono giornalisti e gente che segue la politica per interesse e per lavoro e che ne sa mediamente più di me. Ritrovandoci tutti improvvisamente orfani del fu ministro Sangiuliano, la tentazione di romanzare sul ministro subentrante è inevitabilmente tanta. Anche perché il livello del racconto di vizi e virtù della nostra classe politica, ormai lontani dal pionierismo inarrivabile di Berlusconi, è arrivato a livelli di tragicomico, morboso e scadente cinepanettonismo da far pensare che al peggio non ci sia mai fine. Su Twitter, poche ore dopo la nomina di Giuli, qualcuno ha scritto che era la prima volta che facevano ministro uno che gli aveva menato da giovane, e nonostante siano proprio i social la patria dei mitomani, le prime informazioni sugli anni di formazione del ministro potevano lasciar spazio anche a dubbi del genere. Rilassato e divertito, o forse rassegnato ad accettare in maniera disincantata la banale realtà dell'inverosimile, il crocchio di persone al mio fianco commenta ciò che comincia a essere sempre più condiviso, anche tra i non addetti, del curriculum del nuovo ministro della Cultura, Alessandro Giuli. Il tema principale sono gli anni giovanili della formazione e militanza politica presso Meridiano Zero, una roba neonazista ispirata alla contrapposizione di un meridiano zero nostrano passante da Battipaglia, in provincia di Salerno, da contrapporre al più noto meridiano di Greenwich, il tutto senza nesso alcuno con le più note mozzarelle di bufala locali. Simbolo di Meridiano Zero, invece di una mozzarella di bufala, come sarebbe stato più sensato e patriottico fare, era una runa, già simbolo di un movimento nazista femminile tedesco del 1933. In ragione di tutto ciò, la parola "nazista" associata al nuovo ministro italiano della Cultura esce molto spesso come incipit di conversazione; rapidamente però si vira tutti a discettare della sua crescita professionale e giornalistica, del suo saper stare a tavola con tutti per un ostentato riposizionamento moderato ma non troppo, assai utile a scalar poltrone. Ma non basta. «Era anche satanista», rincara qualcuno per dovere di completezza, ma l'informazione mi rimbalza addosso. Sono fermo a "nazista", che per quanto la gioventù sia un periodo tumultuoso per tutti, mi sembra comunque troppo per poter prendere in considerazione il resto del cv.

QuellicheFannolaStoria”. “Più che ministri sono personaggi da opera buffa” di Loredana Lipperini pubblicato sul settimanale “L’Espresso” del 13 di settembre ultimo”: Se abbiamo una gloria nazionale, questa è  l'opera buffa,  che  peraltro  nasce  con  l'intento  di  avvicinare  i  nobili personaggi della lirica agli spettatori comuni. Ci è riuscita talmente bene che, alla fine di una settimana dove un ministro della nostra Repubblica è diventato oggetto di meme e parodie, il paragone che salta alla mente è quello con Despina. Appare in "Così fan tutte", musica di Mozart, libretto di Lorenzo Da Ponte: è un'astuta servetta che, un po' per noia e un po' per soldi, accetta di celebrare un matrimonio finto vestita da notaio. Viene scoperta, ma mente meravigliosamente, dicendo che si era solo mascherata per un ballo, e gorgheggia: «Una furba che m'agguagli, dove mai si troverà?». Ecco, nelle vicissitudini del ministro Gennaro Sangiuliano e nelle reazioni e decisioni della presidente del Consiglio c'è molto di Despina. Ma, risate a parte, i problemi che emergono da questa storia sono almeno due: la sfacciataggine con cui ci si fa beffe delle istituzioni che si dovrebbero rappresentare e la memoria corta di tutti noi. Perché va bene inarcare tutte e due le sopracciglia per il trascorso neofascista di Alessandro Giuli, ma, per usare un espediente che all'opera buffa è caro, bisognerebbe anche dare un'occhiata al catalogo dei ministri della Cultura del passato. Sandro Bondi, per esempio. Pochi, credo, dimenticano la sua poesia "A Silvio" (Berlusconi): «Vita assaporata/Vita preceduta/Vita inseguita/Vita amata» (e qui ci fermiamo, perché neanche i Vogon di "Guida galattica per gli autostoppisti", che sterminavano i nemici con i loro orridi versi, resisterebbero a tanto). Ma molti hanno dimenticato il crollo della Domus dei Gladiatori a Pompei (che evidentemente è fatale ai ministri della Cultura) nel 2010, per piogge e mancati investimenti dovuti al taglio, due anni prima, di oltre un miliardo di euro. Exit Bondi, enter Giancarlo Galan, che verrà condannato nel 2017 a un risarcimento di quasi sei milioni di euro per tangenti legate al Mose (nel 2021 erano stati recuperati solo 1.800 euro). Non fu il solo inquisito: c'è anche, fra gli altri, Giuliano Urbani, condannato per abuso d'ufficio. Ah, e Giulio Andreotti e qui bastano nome e cognome.

Ma nella galleria di ministri c'è stato anche Rocco Buttiglione, quello disse che l'omosessualità è «indice di disordine morale». E l'indimenticato Alberto Bonisoli che non solo molto prima di Sangiuliano aveva dichiarato di non avere tempo per leggere i libri del Premio Strega, ma che osò pure questo parallelo con i migranti: «Quando arrivano alcune specie di piante da fuori, se non c'è un processo artificiale che regola l'acclimatamento, possono diventare infestanti». Cosa si deduce dal catalogo? Che l'Italia, che vanta non solo l'opera buffa, ma un patrimonio culturale impressionante e amato in tutto il mondo, non ha mai tenuto in seria considerazione il suo ministero chiave, quello che dovrebbe valorizzare e far conoscere e preservare quanto nei secoli è stato ideato da uomini e donne. (…). …se il ministro Giuli ha presidiato i festival con il suo "Gramsci è vivo", qui si propone un altro Gramsci, quello che amò Giulia Schucht, sparita dalla storia perché donna, e perché non convenzionale, e perché sapeva vedere le cose come sono. Magari ci riuscissimo anche noi.

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